Autore: carlo Data: To: forumgenova Oggetto: [NuovoLab] DIAZ, il sangue dimenticato
da il secolo xix, 25 giugno 2011
--------------------------------------------------------------------------------
G8 di Genova - Primo ciak a Bucarest
DIAZ, il sangue dimenticato
Iniziano oggi in Romania le riprese del film che in Italia fa paura
Michele Anselmi
ALLA fine sono dovuti andare a Bucarest. Dopo i no di Raicinema, Medusa e ministero ai Beni culturali, per mettere insieme i 7,5 milioni di euro necessari a girare "Diaz, Don't Clean Up This Blood" il produttore Domenico Procacci ha dovuto coinvolgere i romeni di Mandragora e i francesi di Le Pacte. Stamattina primo ciak nella capitale romena, dove è stato ricostruito il complesso scolastico Diaz - Pertini - Pascoli teatro dieci anni fa, era la notte tra il 21 e il 22 luglio 2001, della «macelleria messicana» durante un G8 già funestato dalla morte di Carlo Giuliani. Solo ad agosto la troupe volerà a Genova per i raccordi e gli esterni. E pensare che, a parte qualche interprete straniero, come la tedesca Jennifer Ulrich o la francese Emilie De Preissac, sul set sono tutti italiani: dal regista Daniele Vicàri, che ha scritto il copione con Laura Paolucci, agli attori principali Elio Germano, Claudio Santamaria, Rolando Ravello, Alessandro Roja, Paolo Calabresi, Pietro Ragusa.
Ma tant'è. Siamo in Italia. "Diaz" nessuno voleva farlo, magari anche per ragioni commerciali. Quei maledetti giorni genovesi restano una ferita aperta, mai sanata nemmeno dopo il processo, e ogni volta che il cinema se n'è occupato, da "Ora o mai più" di Lucio Pellegrini ai reportage di Davide Ferrario e Francesca Comencini, sono fioccate le polemiche. Stavolta Vicàri, il regista di "Velocità massima", ha scelto di affrontare il toro per le corna. Senza farsi condizionare dai sospetti venuti pure dal variegato mondo no-global: ha protestato il Comitato verità e giustizia per Genova, si sono detti preoccupati i genitori di Giuliani, in rete si leggono cose del tipo «Sarà uno schiaffo alle compagne ed ai compagni che hanno subito la violenza di Stato», un centro sociale romano, Zona Rischio, ha negato uno spazio per le prove al regista.
Tutto perché a Cannes Procacci aveva confessato di aver spedito il copione ad Antonio Manganelli, attuale capo della Polizia. Ne scaturì un putiferio, col produttore accusato di compiacenza nei confronti dei manganellatori, fors'anche di voler annacquare la ricostruzione degli. eventi per quieto vivere. Sciocchezze, conoscendo lo spirito barricadero dell'uomo. Che proprio giovedì, presentando il libro "Diaz. Processo alla polizia" di Alessandro Mantovani, edito da Fandango, ha scandito: «Avevo detto che il film non sarebbe stato fatto pregiudizialmente contro la Polizia, e nemmeno di nascosto. Confermo. Vogliamo raccontare il pestaggio alla Diaz e i successivi fatti di Bolzaneto attraverso gli atti del processo». E l'incontro con Manganelli? «Non c'è stato. Comunque intendevo solo informarlo, non ricevere un'autorizzazione o un semaforo verde. Infatti la Polizia ci ha negato ogni collaborazione, al contrario di quanto avviene abitualmente».
Non succede sempre così, in verità. Anche "Tatanka" ha avuto i suoi guai. E d'altro canto come stupirsi del niet? Dice Procacci: «In Italia, per i film difficili, si cerca di accontentare tutti: vittime, forze dell' ordine, istituzioni. Ma poi spetta agli autori decidere il metodo: noi abbiamo parlato con ragazzi pestati, black-bloc, magistrati, poliziotti, carabinieri, testimoni. Non solo: l'intero processo di scrittura è stato coordinato con il Genova Legal Forum». Insomma, "Diaz", secondo il produttore, «è un film "necessario", non un argomento esaurito», e torna utile ricordare che Amnesty International parlò di quella notte come della «più grave sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la Seconda guerra mondiale».
Concorda il regista, da giorni a Bucarest. Tutto cominciò il14 novembre 2008, all'indomani della sentenza di primo grado. Vicàri e Procacci si scambiarono opinioni e pensieri, convenendo entrambi su una cosa: «Quella storia non deve finire così». Ma ci sono voluti tre anni e mezzo per partire con un film che fuori Italia si chiamerà solo "Don't Clean Up This Blood", non pulire questo sangue.
Estenuato dalle polemiche preventive, Vicàri si accinge alla prima delle dieci settimane di lavorazione con un'idea chiara in testa. «Non racconto vicende private, sarà un film corale con 140 personaggi ispirati alla realtà ma con nomi di fantasia». Così Germano non sarà direttamente l'inviato Lorenzo Guadagnucci del "Resto del Carlino" né Santamaria quel Michelangelo Fournier della Mobile romana che fermò il massacro. Tuttavia la ricostruzione degli eventi si preannuncia rigorosa, anche per evitare querele e contestazioni. Ammette Vicàri: «"Diaz"è un film scomodo, nessuno lo vuole. Credo faccia parte del prezzo che si paga se vuoi avere indipendenza di giudizio. Detto questo, il mio compito è fare un buon film. Sapete: mediando per motivi produttivi con tutte le parrocchie, si finisce per non convincere nessuno, tanto meno gli spettatori». Vero.