Re: [Forumlucca] QUALE NUOVA SINISTRA ?

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Szerző: blanca
Dátum:  
Címzett: forumlucca
Tárgy: Re: [Forumlucca] QUALE NUOVA SINISTRA ?

Caro Aldo
non ho intenzione di continuare questo tête à tête, però almeno questo
mi va di dirlo.
Credo che se si riuscisse a trovare un collettore di tutti gli umori
politici saremmo in buona compagnia.
Penso che la gente non partecipi anche per questo, perché lo spazio del
dubbio e dunque della probabilità è sempre più risicato.
Noi riusciamo a vederci solo dall'interno, ci autorappresentiamo e basta.
Ma qui si è innescato uno scollamento progressivo tra come ci
rappresentiamo e come ci vede un qualunque osservatore esterno.
E intanto l'identificazione "popolare" nei valori di cui ci facciamo
portatori è andata a farsi benedire. Tanto per tornare a bomba, credo che
il nocciolo duro sia proprio questo, che non riusciamo e rivolgere lo
sguardo all'esterno.
Quello che a me pare stia succedendo adesso è, a livello palese, la
scomparsa di una intera fetta della cultura politica italiana dalla
rappresentanza di governo. Poi, a un livello più profondo, la crisi della
rappresentatività della sinistra. E però, ancora più a fondo, la perdita
di riferimento a quei diritti condivisi da cui è partita tutta la
parabola. Secondo me non è stata ancora completamente indagata la
relazione tra i diversi livelli della crisi. Che è poi diventata una crisi
identitaria, proprio perché, alla fin della fiera, sono venute a mancare
proprio le radici profonde e condivise. Non le radici a carota, quelle che
vanno a stringersi in un unico verbo, ma quelle ad albero che si allargano
tanto più quanto più si va in va in profondità. Da un punto di vista
storico è irrilevante il dibattito tra chi è più a sinistra di chi. Il
fatto è che in un modo o nell'altro la sinistra si è suicidata perdendo
di vista sè stessa: non semplicemente le proprie cosiddette "radici"
(equivocandone il concetto) ma i presupposti pre-politici. Ciò che dice
il sociologo Bauman non è applicabile anche all'oggi? Non è che si sta
cercando di "elevare la realtà ai parametri fissati dall’idea, per
rifare la realtà a somiglianza dell’idea". Ossia di definire
un'identità della sinistra a prescindere dai presupporti del qui e ora? E
se l'identità non fosse il punto di partenza? L'urgenza primaria? Se il
processo di definizione identitaria avesse un modo di affermarsi più
originale che non quello di definire i propri confini? Il progressismo non
è solo un esercizio esterno di pratica politica ma l'ambizione a
sviluppare un'elaborazione teorica capace di reggere il confronto con la
trasformazione.
Detto questo saluto te e tutti aspettando gli altri pezzi che avevi
annunciato.

ILa


-------- Original Message --------
Subject: Re: [Forumvalleserchio] [Forumlucca] QUALE NUOVA SINISTRA ?
Date: Sun, 21 Sep 2008 14:10:06 +0200
From: "Aldo Zanchetta" <aldozanchetta@???>
To: <forumlucca@???>, <forumvalleserchio@???>

Cara Blanca

conosci la storiella dell' omino buono che finito in Paradiso si lamentava
che ci fosse solom una paninoteca mentre in purgatorio c' era una bella
tavola calda e all' inferno un megaristorante ? San Pietro gli rispose :
che
vuoi, ma per il <Capo>, te e me mica si poteva mettere un ristorante.

Bene, non credo che una discussione si possa articolare intorno a me e alla

tua risposta. La sinistra ion parte è emigrata nell' indifferenza e quella

che resta prepara una nuova scissione nella scissione della scissione.
Problemi politici troppo gravi per perdersi in chiacchiere.

Io ci ho provato e ci riproverò ma per chi ha la sindrome del suicidio ci
vuole ben altro.

Grazie comunque. Non mi sono sentito del tutto solo

Aldo


----- Original Message -----
From: "blanca" <blanca@???>
To: <forumlucca@???>
Sent: Saturday, September 20, 2008 12:36 PM
Subject: [Forumlucca] QUALE NUOVA SINISTRA ?


Non posso farci niente riflessioni come quelle che propone Aldo, le
condivido.
Mi dispiace, ci ho provare ad essere ultra-critica della critica ma
proprio non ci riesco.
Come diceva un amico prete a proposito di un certo mio
anticlericalismo, le cose che non ti appartengono neanche ti toccano.
Quindi vorrei che fosse chiaro che se le persone di sinistra discutono
della sinistra e criticano la sinistra non è perché la schifano.
Mi sto occupando da anni di questioni identitarie. E mi ha colpito
leggere proprio un "invito pressante a rompere le incrostazioni
identitarie".
Perché non si era mai ancora innescato il cortocircuito tra ciò su cui
ho lavorato (eh si, la ricerca è un lavoro) e l'attualità politica
italiana.
Premetto che sono consapevole di quanto oggi della ricerca non
interessi niente a nessuno, tanto al governo quanto all'elaborazione
politica.
Però me ne frego perché sono convinta che lavorare sui concetti
fondanti delle nostre strutture mentali sia un modo di fare politica a
dispetto della politica.
Così ti rispondo con alcuni pezzetti del mio lavoro presi qua e la,
senza la pretesa di essere esaustiva ma con lo spirito di condividere
gli strumenti che abbiamo.
_____________________________________________________

Massimo Montanari

[...] L’assunto di base è che l’identità non si costruisce sul nulla,
ma nel confronto e nello scambio con identità diverse. Non solo: che
l’identità è tanto più forte, quanto più la capacità di confronto e
di
scambio è stata forte. [...]
In analisi come queste [demolizione e ridefinizione delle idee
tradizionali di radici e identità n.d.r.] i concetti-guida dovrebbero
essere due. Primo: l’identità si costruisce nello scambio. Secondo:
l’identità muta nel tempo. Ossia: l’identità è un fatto dinamico.

La domanda da porre a questo punto è molto semplice: dove abita
l’identità? Nel passato o nel presente? Laggiù o quassù? La risposta
è
molto chiara: l’identità è qui, l’identità siamo noi, così come la
storia ci ha costruiti. Eppure, un diffuso equivoco vuole che
l’identità sia qualcosa da cercare, da trovare, da conservare: che
abiti in fondo alla storia, là dove si ritrovano le nostre “radici”.

Le radici: altra parola equivoca, altro concetto pericoloso. Anche
qui, la mia domanda è semplice: come sono fatte, quale forma hanno le
radici? Da come spesso se ne parla, sembrerebbero fatte a forma di
carota: il vertice in fondo sarebbe il punto da ritrovare, il luogo
mitico delle nostre origini. Ma le radici sono fatte al contrario:
scendendo in profondità si allargano. Più scendiamo nel terreno, più
le radici si allargano. E si badi: la pianta, più le radici sono
ampie, più è forte e duratura.

Allora, se proprio vogliamo giocare al gioco delle radici, io propongo
di farlo seriamente e fino in fondo, di utilizzare fino in fondo la
metafora (perché una metafora è sempre specchio della realtà che
rappresenta). Cerchiamo le nostre radici? Benissimo. Più cerchiamo,
più ci allontaniamo da noi. Più cerchiamo, più troviamo il mondo.
Esattamente il contrario di quanto propongono certi mistificatori del
gioco.

______________________________________

Zygmunt Bauman

«L’idea di identità [...] non è un parto naturale dell’esperienza
umana, non emerge da questa esperienza come un lapalissiano “fatto
concreto”. [...] L’idea di identità è nata dalla crisi
dell’appartenenza e dallo sforzo che essa ha innescato per colmare il
divario tra “ciò che dovrebbe essere” e “ciò che è”, ed elevare
la
realtà ai parametri fissati dall’idea, per rifare la realtà a
somiglianza dell’idea.»

______________________________________

Più modestamente io

Benché l’identità non si definisca al centro ma ai confini, nel
contatto tra le differenze, la coesistenza e la divergenza tra il
punto di vista dell’osservatore e l’autorappresentazione del gruppo
rendono problematico ogni stabile senso di identificazione.





ILa










Dr.ssa Ilaria Sabbatini
cel. + 39 349 8733382
skype: ilariasabbatini
http://www.medievista.it



                                             · · · · · · · @@@@@@@
· ·
· · · · ·


                    Il terrore della tirannia finisce una volta cha ha
paralizzato
                    completamente la vita pubblica e trasformato tutti
i cittadini
                    in individui privati, spogliandoli di ogni
interesse e legame
                    con gli affari pubblici.


                     Annah Arendt


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