Epilogo di un processo esemplare
30 -- 11 -- 2007
Correva l'anno 1998, in tempi molto vicini alla rottura del secondo
tentativo di trattativa proposto dall'organizzazione basca Euskadi Ta
Askatasuna, in questo approvata da tutto il movimento indipendentista
basco di sinistra; la rottura era stata causata dall'atteggiamento
tenuto dal governo Aznar, aumento della repressione, con due esecuzioni
sommarie incluse, indurimento nelle condizioni di detenzione di
prigionieri e prigioniere politiche, come risposta alla tregua
unilaterale proclamata da ETA allo scopo di consegnare un processo di
negoziato al popolo basco.
Cominciarono col chiudere con la forza il quotidiano di sinistra Egin e
due radio libere, sempre di sinistra. Il direttore del quotidiano,
arrestato, denunciò torture.
Poi fu la volta di numerosi responsabili di relazioni internazionali,
tutti accusati di far parte di banda armata denominata ETA. Le
motivazioni, addotte dal famoso giudice Baltasar Garzon, stavano
nell'identità di obiettivo condivisa tanto da ETA quanto dagli
arrestati, l'indipendenza di Euskal Herria dalla dominazione spagnola e
dallo sfruttamento dell'uomo sull'uomo.
La grande operazione, che vide decine e decine di arrestati, fermati,
molti dei quali denunciarono torture atroci, venne denominata "sumario
18/98", e divenne tristemente celebre.
A questa seguirono sempre nuove operazioni, tutte contro la sinistra
basca, che colpirono organizzazioni giovanili, altre per i diritti dei
prigionieri, addirittura, una associazione contro la pratica della
tortura, Torturaren Aurkako Taldea, si vide iscritta nelle liste europee
delle organizzazioni terroriste, insieme a quasi tutte le altre
organizzazioni politiche e sociali della sinistra basca.
Iniziò il processo, a Madrid. Udienze quotidiane, alle quali tutti gli
inquisiti vennero obbligati a partecipare, col costo economico e fisico
che è facile immaginare. Le argomentazioni del'accusa, ovviamente, prese
per oro colato; le denunce di torture e di uno stupro ad opera della
guardia civil (denuncia fatta da Nekane Txapartegi) derise ed ignorate;
le testimonianze a favore rese nulle.
Nel frattempo era subentrato il governo del PSOE. Qualcuno si illuse che
questo partito fosse diverso da quello che aveva promosso e finanziato i
GAL in passato. Ci fu un'altra tregua illimitata unilaterale promossa da
ETA. Ma la repressione continuò. Si ruppe la tregua. Tutto come prima.
Anche la repressione, che nel frattempo aveva messo fuorilegge Batasuna
e tutti i partiti e liste di unità popolare che la sinistra basca aveva
in passato ed avrebbe in futuro proposto. Il nome dato all'operazione fu
Legge sui Partiti.
Tutto come prima, se non peggio. Continuano fermi, arresti, torture,
cariche contro manifestazioni, accanimento contro i prigionieri
politici, con vari casi di suicidio prodotti da dispersione ed isolamento.
Si arriva infine a questa sentenza, di cui ancora non si conoscono i
termini, ma che il governo già annuncia essere duri (ma come, il governo
stava in camera di consiglio? Ma non dicevano che non si trattava di un
processo politico?).
Molti a questo punto parlano di repressione nei confronti del popolo
basco, di chiusura di spazi democratici, di svolta autoritaria dello
stato spagnolo.
Verosimilmente, alla luce dei fatti che si verificano in spazi ben più
ampi, sottovalutano la questione. La repressione colpisce sì, in maniera
più dura, in alcune situazioni, e quella basca ne è senza dubbio un
esempio a livello europeo di notevole portata, ma se vogliamo toglierci
il velo dagli occhi, vedremo che anche lo stato italiano non è diverso,
con le sue grandi istruttorie dai nomi altisonanti contro aree del
"movimento antagonista", ma anche di lavoratori sindacalizzati,
lavoratori combattivi che subiscono arresti, detenzioni, perquisizioni,
incriminazioni coi vari articoli, primo fra tutti il 270bis, delegati
espulsi dal posto di lavoro ed incriminati, alla luce dei fatti solo per
essersi opposti alle manovre antiproletarie della borghesia.
Questo accade dovunque, dovunque ci sia sfruttamento, dovunque si muoia
massicciamente sul lavoro (quattro morti al giorno l'anno scorso in
Italia, più di cento morti dall'inizio dell'anno in Euskal Herria, a
fronte di una popolazione di poco più di tre milioni di persone).
Questo accade perchè quella che da tempo lancia anatemi contro le
dittature comuniste, contro i crimini del comunismo, la cosiddetta
democrazia occidentale, nella realtà, la si chiami indulgentemente
neoliberismo o altro, è la dittatura della borghesia sui lavoratori,
questa sì una vera dittatura, che ciancia di democrazia e diritti umani
nello stesso tempo in cui tortura, dà licenza di uccidere ai propri
guardiani, deteriora in modo progressivo le condizioni di vita e di
lavoro di milioni di persone, e li colpisce con tutti i mezzi possibili
ogni qualvolta tentino di alzare la testa.
Il succo del discorso, sta nel fatto che, se da un lato vale poco
appellarsi ai diritti democratici se non si lavora allo sviluppo di
coscienza e solidarietà di classe, internazionalista, dall'altro,
proprio in nome di questa coscienza, di questa solidarietà e
dell'internazionalismo, non si può e non si deve restare indifferenti
qui come altrove all'attacco sempre più violento che la borghesia
internazionale sta sferrando contro i proletari di tutti i paesi, in
maniera particolare contro quelli che maggiormente si espongono nella
lotta per l'emancipazione della classe, e del loro popolo, dallo
sfruttamento e dall'oppressione.
Solidarietà a compagni e compagne baschi colpiti nuovamente dalla
repressione di sempre.
Solidarietà a delegati, lavoratori e proletari colpiti dalla repressione
padronale e dello stato italiano.
Dovunque, la lotta è la stessa, lotta di classe.
Solidali con Euskal Herria - Genova
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