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Siniora punta sugli Usa e sfida l'opposizione
di Stefano Chiarini
su Il Manifesto del 14/11/2006
Libano sul baratro. Dopo i ministri sciiti se ne vanno gli ortodossi.
Il premier tira dritto. Il presidente: «Sei fuori legge»
La crisi libanese, apertasi sabato con il no del fronte filo-Usa,
guidato dal premier Fouad Siniora, ad un governo di «unità nazionale»
- con un maggior peso degli Hezbollah e degli sciiti in generale e
l'ingresso nell'esecutivo del generale maronita Michel Aoun, loro
alleato - proseguita, sabato pomeriggio, con le dimissioni di cinque
ministri sciiti e, ieri mattina, di un altro ministro greco-
ortodosso, Yakoub Sarraf, in poche ore è diventata anche
istituzionale, con il presidente della repubblica Emile Lahoud che ha
definito ormai «illegittimo» l'esecutivo sulla base dell'articolo
cinque della costituzione («tutte le confessioni devono essere
rappresentate nel governo) e quindi «nulle e prive di effetto» tutte
le sue decisioni. Il premier sunnita Fouad Siniora, forte del
sostegno americano e francese, rasentando il golpe bianco, invece di
limitarsi al disbrigo delle pratiche correnti ha invece convocato
ieri mattina una riunione straordinaria del governo, nonostante
l'assenza del presidente e dei ministri sciiti, e ha messo all'ordine
del giorno l'approvazione della bozza Onu sul tribunale «libanese-
internazionale» che dovrà giudicare eventuali sospettati per
l'omicidio dell'ex premier libanese Rafik Hariri, saltato in aria nel
febbraio del 2005 sul litorale di Beirut. Con l'accettazione della
bozza Onu in poche ore - senza neppure discutere la legittimità, i
particolari e il funzionamento del nuovo organismo giudicante - se ne
è così andato, per di più ad opera di un governo ormai di minoranza,
un altro pezzo di sovranità libanese ed è stata aperta la strada ad
un'ulteriore strumentalizzazione da parte degli Usa dell'inchiesta e
del processo Hariri tendente ad esercitare una sorta di mandato sul
Libano e a colpire il regime di Damasco, sulla base di testimoni
prezzolati e indizi più che discutibili.
A tale proposito ieri a Beirut gli avvocati del generale Jamil Sayyed
- uno dei quattro responsabili dei servizi libanesi in carcere da
quindici mesi perché sospettati dal giudice Detlev Mehlis, ex
inquisitore della commissione di inchiesta Onu, di essere coinvolti
nel complotto per uccidere Hariri- hanno tenuto una conferenza stampa
denunciando la detenzione del loro cliente senza che suo carico vi
sia alcun elemento di prova. Non solo. Gli avvocati - Akram Azoui
Malek Sayyed, coadiuvati dai colleghi francesi Antoine Korkmaz,
Raphaelle Neron e Jerrod Brawel - hanno poi accusato il giudice
Mehlis di aver proposto al generale Sayyed la libertà - attraverso il
suo assistente Gerhard Lehman - in cambio del sostegno ad un
testimone che avrebbe accusato dell'omicidio il governo di Damasco.
Di fronte al rifiuto del generale libanese, Mehlis ne avrebbe
ordinato l'arresto. Gli avvocati hanno poi denunciato anche il ruolo,
totalmente subalterno ai voleri di Detlev Mehlis, del procuratore
generale libanese Elias Eid ridottosi a «semplice esecutore degli
ordini della commissione Onu» al punto di aver confermato la
detenzione dei quattro alti ufficiali «senza che vi fosse alcuna
prova». In altri termini, come ha sostenuto l'avvocato francese
Korkmaz, jamil Sayyed sarebbe in carcere da 14 mesi «senza essere
stato arrestato ufficialmente» e in tal modo i suoi avvocati non
possono rivolgersi a nessun altra istanza della magistratura per
chiederne la liberazione. La decisione del governo Siniora di
accettare la bozza Onu sul tribunale è stata definita «nulla e
illegittima» dal presidente Emile Lahoud ed è stata duramente
condannata dal generale Michel Aoun, il leader cristiano-maronita,
già protagonista della rivolta anti-siriana del 1989, secondo il
quale il governo avrebbe violato la costituzione e gli stessi accordi
di Taif che nel 1989 misero fine a quindici anni di guerra civile.
----- Fine messaggio inoltrato -----
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