[Cerchio] Fw: [libertari] intervista domenio losurdo su Niet…

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Author: clochard
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Subject: [Cerchio] Fw: [libertari] intervista domenio losurdo su Nietzsche-
E' 1 pugno nello stomaco x me, ke tanto amo Nietzsche - pur consapevole
delle sue zone d'ombra. Tuttavia nemmeno Losurdo è il Vangelo:-))! Ha anke
frequentato tipacci come Preve!!!
Gentile Malega, ti sto parassitando, ma penso ke i tuoi msg meritino 1
platea + ampia.
1 abbraccione
e

----- Original Message -----
From: "malega" <cutigae@???>
To: <libertari@???>
Sent: Thursday, August 14, 2003 6:59 PM
Subject: [libertari] intervista domenio losurdo su Nietzsche-


>
> http://italy.indymedia.org/news/2003/07/339757.php
>
> malega
>
>
>
> INTERVISTA A DOMENICO LOSURDO
>
> Professor Losurdo, Lei apre il suo saggio con una citazione di Tucholsky
> ("Chi non lo può rivendicare? Dimmi ciò di cui hai bisogno e ti troverò

una
> citazione di Nietzsche [...]. Per la Germania e contro la Germania; per la
> pace e contro la pace; per la letteratura e contro la letteratura.") dalla
> quale sembra emergere la frammentazione e le diverse interpretazioni a cui

è
> soggetto il discorso nietzscheano, è possibile invece rintracciare una
> chiave di lettura coerente di Nietzsche?
>
> E' la denuncia della rivoluzione a costituire il filo conduttore del
> pensiero di Nietzsche. Solo in tal modo è possibile cogliere l'interna
> coerenza del discorso del filosofo, pur nel passaggio da una tappa

all'altra
> della sua evoluzione. Ogni altro tipo di lettura finisce col comportare

una
> dolorosa mutilazione. Si vuole vedere in Nietzsche il teorico di una
> acuminata e impietosa critica dell'ideologia che fa a pezzi i miti del
> germanesimo e dell'antisemitismo? A parte ogni altra considerazione, resta
> il fatto che tale interpretazione implica la liquidazione delle opere
> giovanili, che riecheggiano i motivi teutomani e giudeofobi assai diffusi
> nella cultura del tempo e che, tuttavia, sono straordinariamente

fascinose.
> Si vuole vedere in Nietzsche il campione dello "spirito libero" e il

teorico
> della riabilitazione della carne in contrapposizione all'ascetismo
> dell'Occidente cristiano? Di nuovo saremmo costretti a tagli e rinunce
> dolorose: negli anni giovanili, in quanto discepolo di Schopenhauer,
> Nietzsche esprime tutto il suo disprezzo per la galoppante
> "mondanizzazione", evoca con accenti accorati le conseguenze catastrofiche
> del "triste crepuscolo ateo" e difende contro Strauss "il lato migliore

del
> cristianesimo", quello degli eremiti e dei santi. In difficoltà analoghe

si
> imbatterebbe chi volesse assumere come filo conduttore la critica del
> nichilismo. Esso si esprime - osserva un frammento del primavera 1888 -
> nella tesi per cui "non essere è meglio di essere" e "il nulla è la cosa

più
> desiderabile". Come dimenticare che La nascita della tragedia fa proprio

il
> motto terribile di Sileno ("Il meglio è [.] non esser nato, non essere,
> essere niente")? D'altro canto, gli scritti della maturità rimproverano al
> cristianesimo, più che il nichilismo, la sua sciagurata incompletezza, che
> tiene ancora aggrappata alla vita una massa innumerevole di miserabili e
> malriusciti. Chi poi volesse prendere le mosse, nella sua interpretazione,
> dalla critica della ragione e della scienza, avrebbe serie difficoltà a
> spiegare il pathos "illuministico" e "positivistico" di certi scritti,
> impegnati a fiutare non solo gli errori e le distorsioni, ma anche le
> patologie che sono a fondamento di visioni del mondo prive del senso della
> realtà e inclini ad abbandonarsi a fantasie e visioni. Né si deve
> dimenticare che l'ultimo Nietzsche si esprime con grande calore su Galton,
> cugino di Darwin e inventore dell'eugenetica, la nuova "scienza" chiamata

a
> conferire ordine e razionalità all'"allevamento" della specie umana. Meno

di
> tutte riuscirebbe a superare le difficoltà qui accennate la chiave di
> lettura che fa ruotare tutto attorno alla celebrazione dell'arte. Mentre
> sbeffeggia "l'art pour l'art", Nietzsche celebra l'arte in quanto benefico
> antidoto all'universalismo della morale e della scienza: "La scienza e la
> democrazia fanno tutt'uno (checché ne dica il signor Renan), certamente

come
> fanno tutt'uno l'arte e la "buona società"". All'auspicato "rovesciamento
> dei valori" dominanti, quelli del gregge, possono fornire un prezioso
> contributo "certi artisti insaziabilmente ambiziosi, che lottano
> inesorabilmente e assolutamente per i diritti speciali degli uomini
> superiori e contro l'"animale del branco", e che con i mezzi di seduzione
> dell'arte addormentano negli spiriti eletti tutti gli istinti del gregge e
> le prudenze del gregge". D'altro canto, i grandi uomini chiamati a farla
> finita coi dogmi della ""parità di diritti"" e della ""pietà per tutti
> quelli che soffrono"" devono dar prova di una "volontà artistica
> (Künstler-Willen) di altissimo ordine". L'arte svolge una funzione di
> primissimo piano solo nella misura in cui ribadisce la gerarchia. Non si
> dimentichi che "per il Greco, la creazione artistica ricade nel concetto
> disonorante del lavoro, allo stesso modo di ogni opera banausica": ma non
> per questo l'Ellade cessa di essere uno splendido modello. Il richiamo
> all'arte è strumento di lotta del radicalismo aristocratico e del "partito
> della vita". Particolarmente significativo è un frammento databile estate
> 1886-primavera 1887: "Noblesse: che cos'è la bellezza? Espressione

dell'uomo
> che ha vinto ed è diventato signore". Sul versante opposto, senza appello

è
> la condanna per "i demagoghi in arte - Hugo, Michelet, Sand, R. Wagner".

Gli
> artisti contagiati dalla modernità sono "i malati di mente", e fanno corpo
> coi "criminali", con gli "anarchici", coi "ciandala", coi falliti della
> vita, con tutto ciò che vi è di più repellente al mondo. In conclusione:
> "L'estetica è indissolubilmente congiunta a questi presupposti biologici:
> esiste un'estetica della décadence, esiste un'estetica classica - un

"bello
> in sé" è una chimera, come tutto quanto l'idealismo". I diversi aspetti

via
> via elencati, e altri ancora, della personalità e della storia evolutiva

di
> Nietzsche meno che mai potrebbero essere compresi in base
> all'interpretazione in chiave psicologica: alla mutilazione si

aggiungerebbe
> in questo caso il riduzionismo, come se fosse stato estraneo al nostro
> autore il tormento per abbracciare e comprendere la realtà nella sua
> totalità e l'assillo di intervenire attivamente su di essa. La figura del
> "fannullone viziato nei giardini del sapere" fa orrore a Nietzsche e non

si
> vede perché sotto di essa debba essere sussunto il filosofo che così
> efficacemente e impietosamente l'ha tratteggiata; tanto più poi se questi
> giardini dovessero rivelarsi un misero orticello caratterizzato da una
> noiosa monocultura artistica o psicologica. Solo non rimuovendo l'elemento
> che l'attraversa in profondità, solo tenendo ben presenti la critica e la
> denuncia militante della rivoluzione e della modernità, è possibile

cogliere
> l'unità del pensiero di Nietzsche e la sua interna coerenza nel corso di
> un'evoluzione pur scandita da diverse tappe, da diversi approcci alla
> critica e alla denuncia, mai perse di vista, della rivoluzione e della
> modernità.
> Per cogliere l'unità del pensiero di Nietzsche, è necessario liberarsi

dalla
> tendenza acritica a immergerlo in un bagno di innocenza politica e
> considerarlo esclusivamente come un artista o un teorico dell'arte. Si
> tratta di un'interpretazione che viene respinta in anticipo, e con forza,
> dal nostro filosofo: "Non ci si potrebbe fare torto maggiore di quello di
> supporre che solo l'arte ci interessi: quasi che essa dovesse valere come

un
> farmaco o un narcotico, con cui si possano eliminare da sé tutte le altre
> miserie dell'esistenza". I giudizi che Nietzsche esprime sui grandi
> protagonisti della letteratura, della musica, dell'arte sono sempre

giudizi
> politici. Celebrati negli anni giovanili quali antidoti all'illuminismo e
> alla rivoluzione, Beethoven e Wagner sono successivamente sottoposti a

dura
> critica, allorché vengono sospettati di esprimere, in un modo o

nell'altro,
> le idee e i gusti della rivoluzione. La nascita della tragedia invoca
> l'"annientamento" del melodramma e lo invoca, ancora una volta, per

ragioni
> politiche: diffondendo l'"ottimismo", esso stimola la rivolta degli

schiavi,
> illusi di poter conseguire la felicità. D'altro canto, fortissimo è
> l'interesse che Nietzsche nutre per la storia. Sin dall'adolescenza, egli

si
> impegna nella lettura e nel confronto coi più grandi storici del suo

tempo,
> non solo tedeschi ma europei: Treitschke, Sybel, Mommsen, Niebuhr, Guizot,
> Michelet, Tocqueville, Taine, Macaulay, Burckhardt. E' proprio

quest'ultimo
> ad osservare in due successive lettere al filosofo: "In fondo Lei insegna
> sempre storia"; "ciò che soprattutto comprendo della Sua opera sono i
> giudizi storici e, in particolare, i Suoi sguardi sul tempo storico". Ben
> lungi dall'irritarsi per tali apprezzamenti che lo collocano in un terreno
> ben diverso dalla pura filosofia, poesia, metafora, care agli odierni
> ermeneuti dell'innocenza, Nietzsche si sente così lusingato che per un
> attimo sembra persino accarezzare l'idea di tornare all'insegnamento
> universitario, questa volta nella veste di storico. Così commenta,

scrivendo
> a Lou Salomé, la prima delle due lettere di Burckhardt qui citate: "Forse

mi
> vedrebbe volentieri come successore sulla Sua cattedra".
>
> Quale è secondo Lei la metodologia corretta per analizzare un filosofo

della
> portata di Nietzsche?
>
> Per chiarire la metodologia da me seguita, vorrei prendere le mosse da un
> motivo che accompagna come un'ombra l'opera di Nietzsche in tutto l'arco
> della sua evoluzione. Apriamo uno scritto giovanile: la "schiavitù rientra
> nell'essenza stessa della civiltà". Sul finire della sua vita cosciente,

il
> filosofo ribadisce: "Se si vogliono degli schiavi - e di essi si ha

bisogno
> - non si devono educare come padroni". Impartire loro l'istruzione,
> disadattarli rispetto alla condizione che subiscono e che devono subire

può
> avere conseguenze catastrofiche, dato che - secondo La nascita della
> tragedia - non vi è "nulla di più terribile che una barbarica classe di
> schiavi che abbia imparato a considerare la sua esistenza come
> un'ingiustizia". Si comprende che, per un autore così fascinoso e spesso
> letto come un teorico dell'emancipazione dell'individuo, gli interpreti
> siano propensi a considerare il tema che ossessivamente ritorna della
> schiavitù come una metafora, tanto più che proprio l'autore oggetto di
> indagine definisce la verità come "un mobile esercito di metafore".

Epperò,
> a rinviarci alla storia sono i testi stessi di Nietzsche, che, a proposito
> del tema in questione, contengono riferimenti sprezzanti a Beecher-Stowe,
> l'autrice della Capanna dello zio Tom, il celebre romanzo abolizionista

che
> tanto eco ha in Europa e nella stessa Germania.
> E' ben tener presente che gli inizi dell'attività letteraria di Nietzsche
> cadono nel mezzo della guerra di Secessione, in un periodo di tempo in cui
> all'abolizione della schiavitù negli USA corrisponde l'abolizione della
> servitù della gleba in Russia. Negli anni successivi, mentre forme di
> servaggio o semiservaggio persistono nei due paesi, il dibattito relativo

a
> tali temi è quanto mai acuto a livello internazionale. L'Inghilterra, che
> nel 1833 ha abolito la schiavitù nelle sue colonie, precede poi, negli

anni
> '70 e '80, al blocco navale delle coste dell'Africa orientale per impedire
> la persistente tratta dei neri in direzione soprattutto del Brasile che
> abolisce la schiavitù, e il relativo commercio degli schiavi, solo nel
> 1888, l'anno in cui ormai volge al termine la vita cosciente del filosofo.
> Lukács ha pienamente ragione a rifiutarsi di leggere come una metafora
> innocente e fascinosa la celebrazione della schiavitù. Dobbiamo allora
> concludere che Nietzsche è il profeta del lavoro servile di massa cui fa
> ricorso il Terzo Reich? In realtà, come abbiamo visto, la vita del

filosofo
> si colloca in un periodo di tempo tutto attraversato dal dibattito sulla
> schiavitù nonché dalla diffusione, nonostante l'abolizionismo, del lavoro
> servile di massa sull'onda dell'espansione coloniale dell'Occidente. Con
> una schematizzazione scherzosa ma non troppo, potremmo formulare in questi
> termini il dilemma dell'interprete che si è lasciata alle spalle
> l'ermeneutica della metafora e dell'innocenza: Nietzsche e il Terzo Reich
> oppure, Nietzsche e il Secondo Reich (il tempo storico e il contesto
> internazionale in cui si colloca il Secondo Reich)? Tra le due chiavi di
> lettura emerge un Reich di differenza, e non è poco. Certo, è legittimo e
> doveroso interrogarsi sull'eventuale linea di continuità tra affermazione
> dell'eternità e fecondità della schiavitù da una parte e la celebrazione
> della Herrenrasse dall'altra. Ma è in primo luogo dall'Ottocento che
> bisogna prendere le mosse.
> Ciò vale anche per le pagine più ripugnanti di Nietzsche. Sarebbe
> precipitoso leggerle come una diretta anticipazione del nazismo. Ad
> esempio, l'"annientamento delle razze decadenti" invocato dal filosofo è
> una pratica in atto nella seconda metà dell'Ottocento (si pensi alla
> cancellazione dalla faccia della terra dei pellerossa negli Stati Uniti e
> degli "indigeni" in Australia e nell'Africa del Sud); e questa pratica è
> così largamente accettata e condivisa che ad essa non hanno nulla da
> obiettare neppure autori che si dichiarano liberali (Burckhardt, Renan
> ecc). Certo, è a partire da questo contesto ideologico e politico che
> bisogna prendere le mosse per comprendere poi la genesi dell'ideologia
> nazista; ma questa vicenda va al di là non solo di Nietzsche ma anche

della
> Germania nel suo complesso.
> Respingendo sia la lettura in chiave di innocente "metafora" sia la

lettura
> in chiave di "anticipazione", il mio libro insiste sulla necessità di una
> precisa contestualizzazione storica.
>
> Qual è secondo Lei, anche se non è semplice esplicitarlo in poche righe,

il
> "vero" Nietzsche che definisce ribelle aristocratico? Qual è la sua
> originalità filosofica?
>
> E' lo stesso Nietzsche che per un verso si atteggia a "ribelle", per un
> altro verso fa professione di "radicalismo aristocratico". Com'è noto,
> questa espressione si deve alla penna di Georg Brandes, amico e ammiratore
> del filosofo che subito l'accoglie con entusiasmo. Essa sembra ben
> caratterizzare un atteggiamento politico che non si limita a condannare

come
> espressioni di "decadenza" e "degenerazione" lo Stato sociale, i

sindacati,
> la diffusione dell'istruzione, la democrazia, il regime parlamentare.
> Nietzsche va ancora oltre: rivendica la permanente validità dell'istituto
> della schiavitù quale fondamento della civiltà e invoca l'intervento
> dell'eugenetica, al fine di allevare e tener ben distinte la "razza dei
> signori" e la "razza dei servi". Uno degli aspetti più rilevanti
> dell'originalità di Nietzsche è già nel modo in cui egli procede alla
> denuncia della rivoluzione. Alle spalle della rivoluzione del 1789 in
> Francia c'è la rivoluzione americana, con la partecipazione in primo piano
> di personalità e circoli ispirati dal puritanesimo: sono i discendenti

della
> rivoluzione puritana del Seicento inglese. Ma il nostro filosofo non si
> ferma qui. Procede ancora più a ritroso e si imbatte nella Guerra dei
> contadini e nella Riforma protestante, e cioè in sconvolgimenti politici e
> sociali e rivolte servili ispirate direttamente dal cristianesimo. Ancora
> prima abbiamo i movimenti pauperistici medioevali che spesso agitano

parole
> d'ordine desunte, "agitatori cristiani" che sono i "Padri della Chiesa":

sì,
> secondo Nietzsche, nel cristiano "concetto dell'uguaglianza delle anime di
> fronte a Dio" è da vedere "il prototipo di tutte le teorie della parità

dei
> diritti", quelle che poi si sono espresse politicamente nella rivoluzione
> francese e nel movimento socialista. Con un ultimo salto all'indietro, il
> filosofo collega la predicazione evangelica all'opera di sovversione di
> quegli "agitatori sacerdotali" che sono i profeti ebraici, animati anche
> loro dall'odio contro la ricchezza e il potere. E' così che la condanna
> della rivoluzione francese si trasforma in Nietzsche nella denuncia della
> rivoluzione ebraico-cristiana, di un interminabile ciclo rivoluzionario

che
> ha preso le mosse oltre duemila anni fa dalla religione dominante in
> Occidente.
>
> In un paragrafo del suo libro (pag. 1033) Lei sottolinea la critica che
> Nietzsche fa della "guerra umanitaria" e dell'"imperialismo dei diritti
> umani", ci può spiegare questo passaggio? La critica ante litteram di
> Nietzsche può essere ritenuta valida per la nostra attualità?
>
> Abbiamo visto che trasformare in un'innocente metafora il discorso di
> Nietzsche sulla schiavitù significa fare grave torto ad un autore che, sin
> dalla sua adolescenza, si è misurato profondamente con la storia e la
> politica. Proviamo ora a far intervenire il contesto storico. Ecco allora
> che la stessa celebrazione della schiavitù finisce col dispiegare
> un'insospettata efficacia critica. Essa cade nel momento in cui il
> colonialismo europeo trasfigura la sua espansione come un contributo
> decisivo alla causa della lotta contro la barbarie della schiavitù. Viene
> così bandita una Crociata, talvolta intesa nel senso letterale e cristiano
> del termine; senonché, la sua avanzata va di pari passo con
> l'assoggettamento della popolazione "indigena" al lavoro più o meno coatto
> e persino con una vera e propria recrudescenza del lavoro servile, nonché
> con la disgregazione e la distruzione della cultura indigena. E dunque, la
> celebrazione nietzscheana della schiavitù s'intreccia, paradossalmente,

con
> la demistificazione delle reali pratiche coloniali di asservimento ed
> etnocidio: ""L'abolizione della schiavitù", questo presunto contributo

alla
> "dignità dell'uomo", è in realtà l'annientamento di una stirpe

profondamente
> diversa, mediante l'affossamento dei suoi valori e della sua felicità".
> Negli ultimi decenni dell'Ottocento, Bismarck decide di agitare anche lui

la
> parola d'ordine dell'abolizione della schiavitù nel mondo coloniale e
> dell'espansione della civiltà e dei principi umanitari. Ed ecco rivolgersi

a
> suoi collaboratori in questi termini: "Non sarebbe possibile reperire
> dettagli raccapriccianti su episodi di crudeltà?". Sull'onda
> dell'indignazione morale da essi suscitata sarebbe stato poi più agevole
> bandire la crociata contro l'Islam schiavista e rafforzare il ruolo
> internazionale della Germania. Si potrebbe commentare con Al di là del

bene
> e del male: "Nessuno mente tanto quanto l'indignato". Non c'è dubbio che

una
> critica della "guerra umanitaria" e dell'"imperialismo dei diritti umani"
> non possa prescindere dalla lezione di Nietzsche.
>
> Per quali motivi Lei dissente dalle interpretazioni di Nietzsche, che

hanno
> "recuperato" a sinistra questo pensatore, mi riferisco ad esempio a

Vattimo?
>
> In Nietzsche possiamo leggere sia la legittimazione della schiavitù che la
> celebrazione dell'emancipazione dell'individuo, sia la rivendicazione di

un
> sapere critico attento alla totalità che la condanna dell'istruzione per
> coloro che sono destinati ad essere schiavi e macchine da lavoro...E' una
> contraddizione? Pressappoco in quello stesso periodo di tempo, in un
> eminente autore americano, Calhoun, che è stato anche vice-presidente

degli
> USA, la teorizzazione dell'assoluta inviolabilità della sfera di libertà
> individuale va di pari passo con la difesa intransigente di quel "bene
> positivo" che è la schiavitù. Calhoun si richiama a Locke, e anche nel
> liberale inglese la ferma condanna dell'assolutismo monarchico è solo una
> faccia della medaglia, l'altra essendo costituita dalla tranquilla
> accettazione del potere assoluto che, nelle colonie, i proprietari di
> schiavi esercitano sugli schiavi stessi. In Nietzsche giunge a compimento

e
> trova espressione consapevole la tendenza di fondo della storia
> dell'Occidente: una celebrazione dell'individuo emancipato che si fonda
> sull'asservimento di coloro che sono esclusi dallo spazio sacro della
> "civiltà". Leggere la tradizione liberale e leggere il pensiero di

Nietzsche
> in chiave solo di emancipazione significa rimuovere le paurose clausole di
> emancipazione che caratterizzano l'una e l'altro. Neoliberalismo e
> postmoderno sono due facce della stessa medaglia.
> Detto questo, devo aggiungere che la polemica con Vattimo è anteriore al
> mio libro su Nietzsche. Il 14 aprile 1999, mentre infuriava la guerra
> contro la Jugoslavia, su "la Stampa" appariva una breve lettera firmata da
> Gianni Vattimo che così suonava o tuonava: "Ma Domenico Losurdo, Luciano
> Canfora, Costanzo Preve, Livio Sichirollo e gli altri firmatari della
> lettera di solidarietà al popolo serbo, che invitano Milosevic a
> "ristabilire la convivenza tra i diversi gruppi etnici" nonostante
> l'aggressione imperialista (colpevole di averla turbata?), hanno sentito
> parlare della Bosnia, degli stupri etnici, dei campi di concentramento,
> della pulizia razziale cominciata da Milosevic dieci anni fa?". Due giorni
> dopo, sempre "la Stampa" ospitava una replica firmata dal sottoscritto.

Dopo
> una ricostruzione assai diversa della vicenda del Kosovo, la mia lettera
> così si concludeva: "Vattimo si è meritatamente conquistato una fama
> internazionale come interprete di Nietzsche e Heidegger. Peccato che ora
> sembri perdere di vista un aspetto essenziale della loro lezione: il

pathos
> morale può veicolare le peggiori crociate sterminatrici". Prescindiamo qui
> dagli aspetti più immediatamente politici di questo scambio di lettere
> (d'altro canto, sulla nuova guerra che si profila all'orizzonte, Vattimo
> sembra per fortuna voler assumere un atteggiamento del tutto diverso). E'
> più importante un altro aspetto. Già dalla polemica appena vista emergeva

un
> contrasto filosofico, che verteva e verte non sulla grandezza del filosofo
> in questione, bensì sugli insegnamenti che da lui si possono e si devono
> ricavare. Anzi, dal mio punto di vista era ed è chiaro che la lettura
> innocentista di Nietzsche gli fa un grave torto, rendendo impossibile la
> comprensione della possente carica demistificatrice che dispiega il suo
> "radicalismo aristocratico".
>
> Il suo è un volume monumentale, Lei come si spiega il fatto che su oltre
> mille pagine di studio che ha condotto, l'attenzione intorno al suo libro

si
> sia focalizzata sull'Appendice, in cui Lei polemizza con l'edizione
> Colli-Montinari?
>
> Lasciamo da parte gli aspetti più meschini della polemica, l'incapacità di
> rispondere in modo argomentato alle critiche mosse ad un'edizione viziata,
> almeno per quanto riguarda la versione italiana, da rimozioni che rendono
> impossibile o assai difficile la comprensione del rapporto istituito dal
> giovane Nietzsche tra socratismo e ebraismo; ovvero l'incapacità di
> rispondere in modo argomentato alle critiche mosse ad una traduzione sulla
> quale pesano negativamente la confusione tra "civiltà" e "civilizzazione",
> nonché le metamorfosi del finanziere ebraico che da "apolide" si trasforma
> in "apolitico", della "casta" che si ingentilisce in "classe",
> dell'"allevamento" che si sublima in "educazione", del "trattamento dei
> malati" che, scrollatosi di dosso il suo sinistro significato eugenetico,

si
> trasfigura in amorevole "cura dei malati". Tali rimozioni e tali sviste

sono
> il risultato di una lettura destoricizzante, alla quale gli ermeneuti
> dell'innocenza fanno fatica a rinunciare. La sorella Elisabeth è un comodo
> capro espiatorio! Già nel 1886, in riferimento a Al di là del bene e del
> male, un fine filologo quale Rohde parla di "morale cannibalesca". Qualche
> anno dopo è un fervido ammiratore di Nietzsche, Brandes, a sottolineare,
> compiaciuto, come il filosofo intenda farla finita con "l'igiene che
> mantiene vivi milioni di esseri deboli e inutili". Conviene allora

ricordare
> la saggia osservazione formulata da Gadamer, nel 1986: "Più d'uno ha

creduto
> che la nuova edizione critica, pubblicata da Colli e Montinari, provocasse
> un nuovo e decisivo arricchimento e approfondimento della comprensione di
> Nietzsche. Ora è certamente vero che per la prima volta possediamo i
> quaderni di appunti di Nietzsche in forma criticamente sicura e
> cronologicamente ordinata e che non dipendiamo più dalla redazione e dalla
> selezione in cui la sorella di Nietzsche e gli editori successivi avevano
> compilato i suoi frammenti postumi; tuttavia è ingenuo credere che oggi,

con
> a disposizione il vero Nietzsche, siamo definitivamente affrancati dalle
> preoccupazioni che hanno tormentato gli interpreti precedenti".
>
>
>
>
>
>
>
>
>
> sito della lista:
> http://it.groups.yahoo.com/group/libertari/files/sito/index.htm
>
>
>
>
>
> L'utilizzo, da parte tua, di Yahoo! Gruppi è soggetto alle

http://it.docs.yahoo.com/info/utos.html
>
>
>