[Cerchio] Re:_[Cerchio]_Solidarietà_ai/lle_compagni/e_dei_Co…

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Author: corrispondenze metropolitane
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Old-Topics: [Cerchio] Re: [Cerchio] Solidarietà ai/lle compagni/e dei Cobas. Fermiamo la controrivoluzione preventiva
Subject: [Cerchio] Re:_[Cerchio]_Solidarietà_ai/lle_compagni/e_dei_Cobas._Fermiamo_la_controrivoluzione_preventiva
> Sono d'accordissima sul discorso di fondo, con
voi,
> e non solo perché cobas
> anche io.


e della cosa siamo contenti oltre a ringraziarti della
attenzione che hai riservato al nostro scritto.

> Ma non so cosa volete dire con: " dobbiamo evitare
> di elidere/eludere la
> pagina
> > scritta da migliaia di giovani spesso provenienti
> dal
> > proletariato metropolitano, che -nell'esprimere in
> > modo immediato la propria rabbia- hanno riproposto
> una
> > prassi che fa parte del nostro "patrimonio
> genetico".


Non si può eludere la questione vuol dire che si parla
spesso di Genova 2001 in termini assai discutibili. In
pratica da come si dice c'era una massa pacifica e
qualche centinaio di provocatori. Non si fa mai
riferimento al fatto che in migliaia hanno risposto
alle forze dell'ordine senza tenere le mani alzate. E'
evidente che sono proprio queste migliaia di persone a
mettere in imbarazzo coloro che vogliono confezionare
una certa immagine del movimento, quella che si è
spacciata nelle giornate di commemorazione dell'anno
successivo.
Non si può elidere vuol dire invece diverse cose
assieme. Anzitutto costituisce un paradosso portare
avanti per mesi un dibattito sulla violazione della
zona rossa (obiettivo dal forte impatto simbolico e
politico ma rispetto al quale andava fatta una seria
valutazione delle forze in campo prima di lanciarlo) e
poi attaccare duramente chi quel proposito lo ha
portato avanti coerentemente.
In secondo luogo, una determinata prassi, che attua il
"diritto di resistenza" su cui si è speso un recente
documento di "Vis-à-vis, quaderni per l'autonomia di
classe" appartiene alla tradizione di gran parte delle
strutture che fanno parte del movimento o che erano
presenti a Genova nel 2001.
Ragion per cui risulterebbe ignobile un atteggiamento
di denuncia di questa stessa prassi. Al limite si può
esprimere pubblicamente il proprio mutamento di
opinioni dicendo in modo esplicito che certe cose non
ci appartengono più e motivandolo. Ma anche questo
non autorizzerebbe ad un atteggiamento di
criminalizzazione. E dovrebbe portare ad uno sforzo
analitico ed autocritico che vada ben al di là di una
operazione di maquillage condotta per crearsi
l'immagine giusta per i tempi attuali.


>
> In pratica, cosa comporta?
> e due,
> questo: " Rispetto al quale va
> > precisato che è sbagliato pensare di salvarsi
> > ammorbidendo i toni ogni qualvolta il movimento si
> > ritrovi sotto tiro.
> > L'eventuale spinta a "riposizionarsi" dando di sè
> > un'immagine più rassicurante può ottenere come
> > risultato solo la spaccatura verticale del
> movimento,
> > l'isolamento di coloro che scelgono di non
> mitigare i
> > propri contenuti. " ???????


Se prima di essere attaccati si aveva una posizione
non si vede perchè dopo l'attacco se ne debba
esprimere un'altra, con toni più morbidi. Se si è
incitato alla rivoluzione, non si vede perchè dopo
esser stati messi sotto processo si decantano le lodi
del gradualismo e del riformismo. E' questo che si
intendeva. E' chiaro che chi fa così, chi si muove in
questo modo da un lato spinge alla spaccatura del
movimento, dall'altro non si para neanche lui, nel
senso che alla controparte (cioè allo Stato) le
rassicurazioni non bastano mai...
>
> In che modo pensate di agire ciò? Stando al gioco
> della violenza di fronte a
> chi ne ha il monopolio vero e proprio??


La questione è in parte sganciata dalla precedente. In
ogni caso, qualsiasi spinta alla trasformazione
radicale dell'esistente necessità dell'uso della
forza. Poi cosa questo voglia dire, come si articoli
nel concreto, va visto di volta in volta. L'uso della
forza può rimandare anche ad atti come gli assalti ai
forni che le donne portavano avanti durante la
resistenza. Assalti che i mistici della "nonviolenza"
per rivendicarsi la resistenza senza modificare i
propri assunti di fondo, hanno curiosamente definito
"resistenza nonviolenta"...


>
> Io credo che occorra parlare di questo..dal nostro
> punto di vista..che a
> genova e a napoli o a Goteborg ci sono stati/e...io
> nelle prime due
> città..ma senza bastoni..ché pure se l'avessi avuto
> un bastone non avrei
> saputo usarlo...
> tuula



"solo violenza aiuta dove violenza regna" diceva il
grande Bertolt Brecht e non alludeva certo ad una
mistica della violenza, ad una esaltazione dell'atto
di forza. Semplicemente si riferiva alle circostanze,
ai contesti in cui ci veniamo a trovare. Che ci
possono spingere a compiere o meno certe azioni. In
sostanza, neanche chi scrive vanta grandi virtù
militari (nè le vuole raggiungere perchè il problema
proprio non è questo). Però se lo Stato ci attacca
dobbiamo difenderci ed allora si impara a cavarsela in
certi frangenti. Lo dice una struttura che a Genova è
andata fondamentalmente per raccogliere testimonianze
di soggetti sociali sfruttati nel tentativo dicapire
come vedevano il nesso tra quel momento di
mobilitazione e le loro lotte nel quotidiano. Una
struttura che, nel suo complesso, ha trovato noiosoun
dibattito sulla zona rossa e sui comportamenti di
piazza spesso totalmente scisso dalla questione dei
contenuti che in quelle giornate si voleva portare
avanti.
>
>
>
> ----- Original Message -----
> From: "corrispondenze metropolitane"
> <cmetropolitane@???>
> To: <cerchio@???>; <forum.ldc@???>
> Sent: Friday, January 17, 2003 9:31 AM
> Subject: [Cerchio] Solidarietà ai/lle compagni/e dei
> Cobas. Fermiamo la
> controrivoluzione preventiva
>
>
> > SOLIDARIETA' AI/LLE COMPAGNI/E DEI COBAS. FERMIAMO
> LA
> > CONTRORIVOLUZIONE PREVENTIVA.
> >
> > Ancora un attacco contro il movimento.
> > Un attacco portato avanti nelle forme singolari
> che
> > tutti conosciamo, con l'annuncio su un quotidiano
> > della ricerca dell'identità di due militanti
> romani
> > immortalati in una foto. Due militanti dei Cobas.
> > Già, i Cobas. Negli ultimi mesi, la spinta a
> stroncare
> > il movimento nato a Seattle si è tradotta -in
> Italia-
> > anche e soprattutto nell'accanimento persecutorio
> nei
> > confronti di questa realtà del sindacalismo
> > autorganizzato.
> > Sicuramente la magistratura ne registra il sempre
> > maggior peso sia nel social forum che nel
> movimento
> > nel suo complesso.
> > Ma basta questo dato ad indirizzare verso i Cobas
> > l'attenzione degli apparati repressivi?
> > Evidentemente no.
> > Si può dire, anzi, che i Cobas non vengono colpiti
> > solo per quello che rappresentano, ma anche per
> quello
> > che potrebbero rappresentare in un futuro
> prossimo.
> > Quel che si teme è la definitiva assunzione, da
> parte
> > del movimento, della centralità della
> contraddizione
> > capitale/lavoro, l'ancorarsi del rifiuto dello
> stato
> > delle cose al concreto dispiegarsi della lotta di
> > classe.
> > In sostanza, ci si preoccupa del possibile
> passaggio
> > del movimento o di una cospicua parte di esso, da
> una
> > posizione genericamente antiliberista ad un'altra
> > legata alla prospettiva del superamento del
> > capitalismo. Certo, si tratta di un esito non
> scontato
> > per un movimento che a Firenze, almeno nelle sue
> > componenti organizzate, discuteva del destino del
> > "Vecchio continente" in un'ottica prettamente
> > riformista, auspicandone l'evolversi nella
> direzione
> > di un'Europa sociale e dei diritti.
> > Ma al di là degli obiettivi perseguiti dai
> "dirigenti"
> > del Social Forum, vi è anche la dinamica reale del
> > conflitto che, qualora andasse a radicalizzarsi,
> > sospingerebbe il movimento verso posizioni più
> > avanzate. Il rischio c'è e si lega alla presenza
> nel
> > movimento stesso di componenti classiste.
> Lorsignori
> > lo sanno, d'altra parte. Per questo ricorrono alla
> > forza di cui dispongono gli organi repressivi
> dello
> > Stato. Lo hanno già fatto a Genova nel 2001. In
> quel
> > contesto la ferocia inusitata delle forze
> dell'ordine
> > non fu nè il portato di un governo dalla vocazione
> > fortemente autoritaria nè la conseguenza diretta
> delle
> > cosiddette provocazioni di Black Bloc.
> > Essa, anticipata dalle efferatezze del marzo
> > napoletano e dagli spari nella socialdemocratica
> > Goteborg, fu l'espressione di una precisa
> strategia.
> > Quella della controrivoluzione preventiva. Da
> parte
> > dello Stato, in sostanza, si trattava e si tratta
> di
> > impedire qualsiasi avanzamento del conflitto, di
> > prevenire l'ipotesi di una ricomposizione tra
> settori
> > sociali sfruttati. Un'ipotesi già prefigurata
> nelle
> > stesse piazze gremite, primo momento di incontro
> tra
> > soggetti che -spersi nel territorio metropolitano
> o
> > nei mille rivoli in cui si svolge la produzione
> delle
> > merci- poche occasioni hanno per comunicare tra di
> > loro.
> > E' di fronte al configurarsi di tale possibilità
> che
> > lo Stato esercita quello che Max Weber definisce
> il
> > "monopolio dell'uso legittimo della forza".
> Proprio il
> > sociologo tedesco, osservando lo svolgersi della
> prima
> > guerra mondiale e il connesso fenomeno della
> > coscrizione obbligatoria, arrivò a vedere nel
> potere
> > di disporre totalmente della vita dei propri
> cittadini
> > -al di là di qualsiasi habeas corpus e tutela
> > individuale- un tratto saliente dello Stato
> > capitalistico contemporaneo.
> > Il normale funzionamento del diritto, infatti, è
> > tipico di fasi a bassa intensità conflittuale,
> fasi
> > nelle quali predomina il tentativo di coptare e di
> > istituzionalizzare i movimenti sociali; laddove
> > subentra lo scontro sociale aperto,o vi è la
> > possibilità che esso si profili all'orizzonte,
> subito
> > si ricorre a quella che, sulla scia di Johannes
> > Agnoli, può esser considerata per lo Stato
> l'ultima
> > ratio, cioè alla repressione.
> > Una repressione che -nell'interesse del sistema
> nel
> > suo complesso- può anche spingersi sino alla
> > sospensione temporanea del cosiddetto Stato di
> > diritto.
> > Così è stato con l'omicidio di Carlo Giuliani.
> Così è
> > stato alla Diaz.
> > Così, ancora, è per tutte le montature e le
> > persecuzioni giudiziarie che segnano il cammino
> del
> > movimento.
> > Questo bisogna ribadire, oggi, di fronte allo
> > scatenarsi di una autentica recrudescenza
> repressiva
> > nei confronti di chi non si riconosce
> nell'esistente.
> > Altro che prendersela con i Black Bloc! Su questo
> > fenomeno, da parte nostra, ci limitiamo a
> sottolineare
> > che esso è coessenziale all'attuale movimento sin
> > dalla sua genesi. Seattle, primo manifestarsi
> > dell'ondata contestativa che stiamo vivendo, non
> ha
> > forse visto i Black Bloc colpire di continuo
> obiettivi
>

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