Di fondo noto un’idea di controllo che rimane in tutti i punti di vista.
In effetti per agire si deve avere presa sulla realtà, però...
Butto lì dei riferimenti diversi, tipo il libro di Katherine Hayles,
L’impensato [0]
Autrice poco nota in Italia, parte dall’idea di cognizione nonconscia
per pensare ecologicamente alle macchine, agli esseri umani e alle forme
di vita non umane. ma crea un'altra distinzione (con tutti i limiti del
caso) tra cognizione conscia o cognizione nonconscia. L’idea di poter
controllare o gestire certi sistemi così complessi è un po’ romantica.
Hayles usa teorie neuroscientifiche recenti, che riguardano l’idea di sé
e coscienza, non associandola a quello che di solito definiamo pensiero
ma proprio quelle attività automatiche e inconsapevoli che acquisiamo e
di cui non ci accorgiamo più (“ho spento il gas?”).
Parla di piante e altre cose che possono far storcere il naso ma serve
per creare un immaginario diverso. Poi lei è critica letteraria di
fantascienza (prevalentemente) e quindi nel libro c’è tanto di più, con
riferimento al rapporto essere umano/oggetto, rileggendolo
nell'immaginario letterario.
Di solito si attribuisce al linguaggio la capacità di creare comunità ma
siamo troppo abituati a pensare il linguaggio in quel caso come
strutturato in concetti e idee, mentre come si faceva notare nel canto,
la comunità è creata più dalla risonanza. Per questo suggerisco invece
il libro di Adriana Cavarero “A più voci. Filosofia dell'espressione
vocale”. Se la si vede in termini solo economicisti la capacità di
linguaggio è ormai totalmente “sussunta” (sta cosa della sussunzione non
la reggo e non la condivido, crea depressione e realismo capitalista,
sti apocalittici io non li reggo più [1]). Nel libro di Cavarero invece
il tentativo è quello di sottrarre il linguaggio al dominio semantico
(non più qualcosa che rivela le cose) per farlo diventare esperienza di
libertà, spostamento, pratica politica, più orientata sul “dire” come
azione che sul “cosa si dice”, risonanza, riconoscimento.
Mi viene in mente perché mi pare che nella discussione ci sia una
tensione a sottrarre i meccanismi di memoria procedurale e azione coatta
(più che sfruttati nel marketing) dalle piattaforme. Nelle neuroscienze
ormai quei meccanismi sono considerati i momenti della vera percezione
di sé[2]. Mi sembra si rifiuti uno schiacciamento in una visione
economicista o tecnologicista (la totale sussunzione senza via di fuga).
Sembra un tentativo di creare una filosofia politica dell’attenzione
tecnica, in un ottica di condivisione e comunità. Difficilissimo, forse
va disarticolato dal senso e dall’obbiettivo, per riportarlo a un’idea
di risonanza e riconoscimento nell’altr*, un riconoscersi, un
presentarsi all’altr*.
Boh magari ho creato più casino, sono uscita fuori tema, complicando il
tutto... non so, ma va anche bene il caos
lo
[0]
https://www.iltascabile.com/scienze/impensato-hayles/
[1] "Poiché è chiaro che lo spettacolo è il linguaggio, la stessa
comunicatività è l’essere linguistico dell’uomo. Ciò significa che
l’analisi marxiana va integrata nel senso che il capitalismo [...] non
era rivolto solo all’espropriazione dell’attività produttiva, ma anche e
soprattutto all’alienazione del linguaggio stesso, della stessa natura
linguistica e comunicativa dell’uomo [...]. Ciò che impedisce la
comunicazione è la comunicabilità stessa, gli uomini sono separati da
ciò che li unisce [...]. Nella società spettacolare [...] il linguaggio
non soltanto si costituisce in una sfera autonoma, ma nemmeno rivela più
nulla di tutte le cose".[Agamben, in La società dello spettacolo]
[2] L’idea di flusso di Csikszentmihalyi, riguardava prevalentemente
attività come le arrampicate in montagna, lo yoga, non le interazioni
tecnologiche, quell'idea è stata sfruttata nelle interfacce utente dopo.
Il 18/02/24 12:01, Andrea Collina via Hackmeeting ha scritto:
> Grazie di aver condiviso lo scambio, dandoci la possibilità di inquadrare meglio, e quindi comprendere le questioni.
> Personalmente condivido molto delle tesi esposte senza identificarmi in alcuna.
> Ritengo fondamentale la condivisione della conoscenza e dele abilità tecniche perché l'espropriazione della conoscenza coincide con l'esercizio del dominio su chi ne è privato.
> Non è una novità, chi possiede le armi stermina e sottomette chi non le possiede. Come liberarsi da questo giogo senza costruire altre armi è il paradosso degli utopisti e l'opportunismo di chi si cela fra le pieghe del potere e del benessere edificati sulla dominazione per sottrarsi al dominio.
> In una società tollerante e liberale come la nostra possiamo tranquillamente esprimere il dissenso pubblicamente, purché questo dissenso non metta in pericolo le relazioni di potere esistenti, cioè finché non costituisca una potenza, e quindi un contro-potere, ( che è sempre un potere).
> Nel frattempo l'accademia, sempre più privatizzata, sussume il dissenso in forme digeribili per l'intrattenimento engagé e l'editoria.
>
> Sono d'accordo a morire per delle idee, si, ma di morte lenta.. ;-)
>
> Abbracci,
>
> A.C.
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