Re: [Hackmeeting] presentazione di "Comment Homo devint Fabe…

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Autor: Giacomo Tesio
Data:  
Para: HackMeeting
Assunto: Re: [Hackmeeting] presentazione di "Comment Homo devint Faber" (Giacomo Tesio)
Ciao karlessi,

Il 17 Febbraio 2024 02:44:11 CET, karlessi <karlessi@???> ha
scritto:
>
> non è mia intenzione antropomorfizzare strumenti e apparecchiature,
> ma porre domande su come funzionano gli esseri umani nella loro
> evoluzione con la tecnologia


Intenzione e domande assolutamente legittime!

Ma come ben sai, quando poni una domanda in pubblico accetti la
possibilità che qualcuno ti risponda, nonché il rischio che la risposta
non sia fra quelle che ti aspettavi (o che la domanda suggerisce. ;-)

Vi sono molti modi di affrontare questo tipo di risposte inattese:
dall'attaccare chi le propone ("antropocentrico!" "maschio bianco
eterosessuale" "terrone" etc...a seconda di ciò che si voglia segnalare
ai presenti) all'analizzarle per cercare di comprendere (e dunque
integrare nella propria prospettiva) la prospettiva che provano a
veicolare.

In quest'ottica insisto in questa conversazione cross-mediale: per
comprendere la tua prospettiva e permetterti di comprendere la mia,
alla ricerca di una (o più) sintesi miglore dei punti di partenza.


> sull'animismo non mi dilungo, ma rilevo che storicamente ha dato
> luogo a sistemi sociali meno nocivi, quantomeno su larga scala,
> rispetto alle società strutturate dai monoteismi e dai politeismi.
> [...]


A mio parere sottovaluti l'aspetto dirimente della questione e di
conseguenza il pericolo conseguente.

Le società animiste attribuivano sacralità a entità indipendenti
dall'uomo: che fosse il sole, la pioggia o un vulcano, l'attività
dell'oggetto su cui gli uomini proiettavano la propria esperienza di
vita era indipendente da ciascuno di loro e da tutti.

Di conseguenza i loro effetti cibernetici (o se preferisci "ecologici,
economici, sociali e politici") non erano espressione di una
intenzionalità umana, privilegiata rispetto alle altre.

Lo sciamano poteva adattare la propria narrazione alla loro attività
per convincere il resto della tribù, ma non poteva influenzarle davvero.

In tale contesto, l'animismo non costituiva un pericolo.


Ma che succede se la esperienza umana viene proiettata su automatismi
effettivamente controllati da un'élite?

L'automa diventa un proxy di chi lo controlla da remoto, un proxy che
ne esegue la volontà mentre lo sottrae alla responsabilità pubblica.

Vedi ChatGPT/Microsoft.


> Inoltre gli animismi (espressione chiaramente colonialista formulata
> da osservatori occidentali che così giudicano dei "selvaggi" che non
> credono nell'unico dio loro...)


Ho usato il termine in modo del tutto analogo a "monoteismo" o
"politeismo" per descrivere un insieme di credenze religiose analoghe
fra loro e diverse da altre, caratterizzate dall'attribuzione di
intenzionalità e sensibilità ad oggetti (talvolta astratti).

Puoi suggerirmi un termine migliore?


> sono più vicini alla fisica moderna di altre forme di religiosità
> mono-politeiste...


Discutibile: per quanto ne sappiamo le forze della natura non sono
senzienti o dotate di volontà per cui difficilmente una danza della
pioggia commuoverà i gravitoni.

Ma anche astraendo così tanto da individuare somiglianze fra fisica
moderna e animismo, la veridicità di tali religioni non le
renderebbero meno pericolose laddove proiettate non già su fenomeni
naturali fuori dal controllo umano, ma su agenti automatici controllati
invisibilmente e remotamente (nello spazio o anche nel tempo, attraverso
la loro programmazione).


> > Ahimé è talmente inevitabile che persino karlessi, nel passaggio
> > che ho citato, difende le povere macchine "considerate come
> > minatori in miniera" invece dei minatori in miniera evidentemente
> > stereotipo dei più sfortunati fra gli uomini.
> >
>
> non sono io ad aver coniato termini come "mining" per le blockchain
> (catene di blocchi) tipiche delle criptovalute.


No, ma sei tu che tratti il termine come svilente per le macchine.

Ovvero consideri svilente per delle cose essere paragonate ad alcuni
esseri umani.

Nel farlo, senza nemmeno accorgertene, svilisci quella categorie di
persone, disumanizzandola, trattandola come se persino delle cose
dovessero risentirsi di essere paragonate a loro.

> la constatazione fattuale, al di là della metafora, è che ammassi di
> macchine ronzanti che producono un frastuono assordante e sperperano
> quantità colossali di energia mi provocano tristezza e disgusto.
> gradirei spegnerle.


Condivido tristezza e disgusto, ma non per le macchine (che non provano
fatica o mal di testa per il rumore) bensì per lo spreco di risorse e di
lavoro umano, sacrificati all'avidità di chi le usa per truffare persone
ignoranti.

> oppure farle girare per far altro, se proprio proprio devono girare.


Sono macchine progettate esclusivamente per supportare un sistema di
produzione di truffe su larga scala. Non possono fare altro.

Possiamo però quasi sicuramente smontarle e usarne meglio i pezzi.


> > Le tecnologie conviviali sono una splendida idea, ma non
> > necessitano di "esseri tecnici". La convivialità è scelta e vissuta
> > dalle persone che costruiscono e usano strumenti progettati per
> > realizzare un sistema cibernetico conviviale. Gli oggetti sono
> > utili o dannosi per quelle persone e i loro obiettivi, ma non
> > convivono perché non sono vivi.
> >
>
> sembri proporre una visione per cui le persone hanno obiettivi chiari
> e utilità evidenti.


Beh, non necessariamente.

Rilevo però che molte persone hanno chiari alcuni dei propri obiettivi
e che molte funzioni di utilità sono per loro evidenti.

Nel contesto del nostro discorso, le tecnologie conviviali qualcuno le
costruisce ed adotta. Lo fa perseguendo gli obiettivi di cui è
cosciente e ne valuterà nel tempo vantaggi e svantaggi.

Il punto chiave del discorso era però la distinzione fra soggetto è
oggetto: non è l'utensile a convivere, ma una serie di esseri viventi
che usano l'utensile (magari per convivere meglio fra loro).

> il mito dell'individuo razionale che massimizza il proprio utile in
> vista dei propri scopi è, appunto, un mito.


Verissimo, per almeno due ragioni:

1. Gli esseri umani non sono sempre razionali come non sono sempre
irrazionali.

2. La separazione della nostra specie in individui è ridicola.

Ma poiché siamo d'accordo non mi è chiaro come questo sia rilevante.

L'irrazionalità delle persone può essere utilizzata per controllarle
statisticamente tramite automatismi: antropomorfizzare tali automatismi,
dotarli di una dignità propria, facilita e amplifica questo meccanismo.


> come antidoto esiste la magia gentile, il mentalismo militante,
> l'iniezione costante di meraviglia, a profusione nella biblioteca
> magica del popolo:
> https://www.marianotomatis.it/index.php?page=biblioteca


Come antidoto mi sembra francamente un po' blando, eccessivamente
astratto e troppo facile da cooptare alla bisogna.

Infatti, come puoi tu stesso osservare con uBlock Origin, tutti i
frequentatori della "biblioteca magica del popolo" sono schedati
almeno da Google, Cloudflare e Paypal.


> poi, mai detto che oggetti o macchine sono vivi. sono solo esseri,
> nel senso che esistono, sussistono, presentano caratteristiche
> proprie e quindi hanno pienezza ontologica, ergo non mi pare
> scorretto definirli esseri.


È tanto corretto quanto sarebbe corretto definire "essere" una pietra o
un elettrone.

Oltre alle caratteristiche che hai elencato, il termine "essere" evoca
nella mente della maggioranza delle persone qualità e caratteristiche
che questi oggetti non hanno.

Infatti, come tu stesso scrivi

> a rigor di logica esistono anche "esseri immaginari", tipo gli
> unicorni ul Pidrus, la Buba, ul Busatèl...


che sì, giovano alla letteratura, alla poesia e all'arte ma proprio
perché proiettano nella mente di chi la contempla esperienze
impossibili nella realtà.

Infatti gli esseri immaginari non esistono: è proprio la loro non
esistenza a qualificarli come immaginari.

Ma mentre siamo ormai abituati ad analizzare l'opera d'arte come
espressione delle intenzioni (spesso politiche) dell'artista e non ci
sognamo di attribuirgli una propria autonomia, lo stesso non si può
ancora dire degli automatismi da cui siamo circondati.

Ragione per cui ci suonerebbe strano definire "essere" la Divina
Commedia, mentre a molti (anche a causa della propaganda subita) suona
normale definire "essere" un artefatto.


> ci tengo a sottolineare che l'espressione "esseri tecnici" non è mia.


Se anche fosse tua, sarebbe altrettanto problematica.


> a mio parere, Giacomo, hai dei timori fondati. Ma i tuoi timori sono
> opinioni su una possibilità, cioè il fatto che l'espressione "esseri
> tecnici" favorisca l'alienazione. [...]
> Ad ogni modo, ripeto, non ho alcuna difficoltà ad accantonare
> l'espressione "esseri tecnici" che ti infastidisce tanto.


Il problema non è l'espressione né il mio fastidio karlessi.

Io ho compreso (credo) le intenzioni pedagogiche di questa scelta
terminologica, per cui posso conversare con te traducendo mentalmente
l'espressione "esseri tecnici" con "strumenti" senza alcuna difficoltà.

Il problema è che per la maggioranza delle persone esposte alla
propaganda martellante sulle "intelligenze artificiali", per le persone
che non comprendono come quei software programmati statisticamente
funzionino, la contro-narrazione che accompagna tale scelta
terminologica puntella la narrazione dominante!

Quando una persona informaticamente ignorante sente un esperto
(te tocca :-D) parlare di "esseri tecnici" "conviviali" in termini
sostanzialmente empatici e compassionevoli, riceve una conferma delle
baggianate sull'intelligenza artificiale che le vengono inoculate dalle
aziende che la sorvegliano 24/24 7/7!


Così la resistenza finisce di fatto per supportare l'oppressore.


> Tuttavia, da materialista convinto [1], ritengo che le differenze fra
> vita e non vita siano espresse in maniera un po' troppo manichea,
> tranciata con l'accetta. [...]
>
> d'altro canto, qualche biologo comincia a studiare quel che "sta
> tra", fra la vita e la non-vita. traducendo Kupiec ho scoperto
> Thomas Heams, "Infravies. Le vivant sans frontières"
> https://www.afis.org/Infravies


E poi sarei io a lanciare delle questioni troppo generali? :-D

Non credo di poterti rispondere su questa lista senza scatenare flame
infiniti cui purtroppo non avrei tempo da dedicare.

D'altro canto, non stiamo parlando di virus o di eutanasia: stiamo
parlando di cose inanimate costruite dall'uomo a partire da cose
inanimate.

Stiamo insomma parlando di oggetti che non hanno le caratteristiche
proprie di una forma di vita perché non abbiamo ancora alcuna idea di
come fare a fornirgliele. E stiamo parlando dell'opportunità di
confonderle con forme di vita, tenendo presente il contesto storico e
politico in cui viviamo.


> IMHO è ragionevole pensare a un continuum fra la vita e la non vita.
> il binarismo è letteralmente un binario morto. le cose sono sfumate,
> variabili, mutevoli, in divenire. se tutto è fatto degli stessi
> componenti elementari, atomi ecc, ha senso.


Beh, vivo o morto, un uomo ha sempre la stessa quantità di atomi.

Secondo questo ragionamento, potremmo fare tutte le guerre che
riteniamo di poter vincere, uccidendo tutti i civili necessari a
vincere perché tanto la quantità di materia sul pianeta non cambia.


La realtà è sempre più complessa dei nostri modelli, ma attenzione che
la scelta dei modelli di riferimento non è priva di conseguenze.



> cmq, materia a parte, il fatto è che le contrapposizioni nette sono
> utili per la dialettica e per fare a chi ha ragione, cosa che non mi
> appassiona; ma se cerchiamo di capirci, e di tirare dei fili
> insieme, magari addirittura di tessere una rete di significati
> condivisi, sono controproducenti.


Non è questione di contrapposizioni, ma di definizioni.

De-finire serve ad attribuire un significato ad un significante
distinguendolo dagli altri significati in modo da poter comunicare.
Significa anche stabilire un confine di significato, un limite oltre il
quale un termine non si applica.

Non so esattamente cosa significhi "tessere una rete di significati
condivisi" ma come ti scrivevo all'inizio, io cerco sempre una sintesi
con il mio interlocutore: cerco di comprendere la sua prospettiva e di
offrirgli accesso alla mia.

Per farlo però, l'unico veicolo disponibile è il linguaggio.
E tanto più un linguaggio è preciso ed espressivo, tanto più facilmente
riusciremo a comunicare. Un linguaggio evocativo ma impreciso ci darebbe
forse l'illusione di concordare, ma ci lascerebbe sostanzialmente
immutati e soli.


> quando lanci delle questioni così generali, si perde il filo, perché
> ogni singola affermazione è contestabile ("Le macchine sono cose che
> costruiamo": ma chi le costruisce? io no... gli operai nelle
> fabbriche cinesi? i minatori che estraggono il coltan? gli ingegneri
> dei materiali che progettano? i programmatori? costruiamo, come
> "umanità", idea tanto astratta da infastidirmi... insomma, mi fa
> perdere il filo!


Mi spiace di averti infastidito, ma la mia affermazione era proprio
banale banale: "le macchine sono cose che costruiamo" noi, io, te e
altri che le montano, le smontano etc...

E non fare tanto il santarellino che di macchine ne hai costruite tante
anche tu! :-)

Anche ogni software e ogni script è una macchina pur se simulata da
un'altra macchina.


> lo riprendo, il filo. il mio intento era sottolineare che nel
> "partage de l'attention", l'attenzione divisa (perché nell'azione
> attrezzata non c'è solo il corpo e la materia, ma anche l'utensile)
> e condivisa (perché ci sono anche altri umani che si coordinano) si
> verifica una situazione in cui è ragionevole pensare che
> l'evoluzione tecnologica abbia profonde ragioni sociali. E che il
> "mutuo appoggio" (cit. Kropotkin) sia favorito, nelle dinamiche
> eusociali, dal piacere di "riuscire insieme" a fare qualcosa, in
> particolare con ausili tecnologici.


Per la verità, io avevo inteso che tu suggerissi un'evoluzione delle
macchine ("esseri tecnici") in relazione con gli esseri umani.

Il che ovviamente è problematico per tutte le ragioni di cui sopra.


Ma ti ho già posto un'obiezione nel merito che temo ti sia sfuggita:
il piacere del riuscire insieme trascende gli ausili tecnologici.

Lo proviamo da milioni di anni cantando insieme.

Il piacere ed il coordinamento derivano dalla comunicazione, che deriva
dal linguaggio che necessita di definizioni sufficientemente chiare e
condivise per veicolare i messaggi di interesse.


> sono dispostissimo a smettere di impiegare l'espressione, anche
> perché non c'entra nulla con la questione che ho posto, che è: "come
> funziona l'evoluzione umana CON/TRAMITE la tecnologia?"
> [...]
> OK, "esseri tecnici" non va bene, perché ti irrita. OK. non cambia
> nulla all'ipotesi di cui sopra.


Cambia invece.

Se togli gli strumenti dall'equazione, la domanda diventa molto più
urgente: che impatto ha il dominio dell'uomo sull'uomo sull'evoluzione
dell'umanità?

Per quel che conta il mio parere (quello che poco sopra definivi
"timore fondato" ma anche "opinioni su una possibilità") se il dominio
dell'uomo sull'uomo continuerà ad aumentare di efficacia (tramite la
sua automazione), la pressione evolutiva inizierà ad essere tale da
spezzare la specie in due: da una parte un homo sapiens sclavus
completamente soggiogato e dall'altra un homo sapiens ciberneticus
capace di comprendere gli automatismi e governare il mondo tramite di
essi.

D'altro canto, non serve aspettare gli effetti evolutivi per osservare
i danni prodotte dalla concentrazione della tecnologia in poche mani.


> > La tecnologia è politica: è inutile auspicarla, bisogna realizzarla
> > o rimane fantasia.
>
> dissento. la politica prefigurativa, l'utopia, l'immaginazione
> individuale che si fa immaginario condiviso sono potenti motori di
> cambiamento. "Realizzare" è solo parte del compito.


Buona obiezione!

Purtroppo temo auspicare una tecnologia sia davvero poco utile, almeno
in questo momento storico. Più utile è provare a realizzarla,
scontrandosi con i limiti del fattibile da un lato e del comunicabile
dall'altro.

> ma la sto buttando in filosofia, e non ti piace. ma giova.


Se non mi piacesse non ti risponderei.

Il problema è che se astraiamo troppo, finiamo per disquisire del sesso
degli angeli, che poverini... avranno pur diritto alla propria
intimità! :-D


> > Utile a svagarsi o vendere libri magari, ma non a cambiare qualcosa.
>
> dissento anche da questa espressione sprezzante.


Non voleva essere sprezzante, ma semplicemente stringata.
Mi scuso però perché effettivamente poteva essere intesa in tal senso.


> la mia situazione è che mi interessa coltivare un'attitudine hacker,
> che in pratica per me significa operare per ridurre l'alienazione
> tecnica, in senso simondoniano; cioè, traduco io, operare per
> ridurre quel sentimento di lontananza che genera atteggiamenti
> "cultuali" (tipo macchine-oracolo, ecc.), così come angoscia,
> rabbia, paura, eccitazioni ecc nei confronti delle manifestazioni
> tecnologiche.
>
> ritengo che si possa convivere e abitare sul pianeta Terra senza
> obbedire, senza comandare ovvero senza alcun governo, in quanto ogni
> governo è illegittimo per definizione [2], nonché nocivo. per tale
> scopo, rilevo che c'è bisogno di più potere, cioè di poter-dire,
> poter-fare, poter far-fare, da parte di chi si sente privo di
> potere: è quindi necessario far circolare più potere possibile,
> diffonderlo affinché non si accumuli come gerarchia e quindi
> dominio. La tecnologia è fonte di potere, perciò mi intessa. Tutto
> ciò è moooolto astratto... ehhh, la filosofia, mannaggia!


Se comprendo cosa intendi, siamo in grande sintonia.

"se" perché io continuo a distinguere "potere" da "abilità", per le
ragioni che ho condiviso in una mail precedente.

Non ho problemi con il verbo "potere", ma il nome "potere" riguarda
sempre e solo il dominio dell'uomo sull'uomo proprio perché
cristallizza relazioni.


> ogni volta che l'attenzione si divide e si condivide, è possibile che
> si creino delle condizioni di intelligenza, di intelligenza fra le
> persone e con le cose. ogni volta che si gioca a smontare, capire,
> immaginare, ricombinare, ricostruire, non è impossibile evolvere in
> maniera diversa.


s/e con le cose// ;-)

Le cose possono esprimere l'intelligenza che vi imprimiamo, veicolando
tale intelligenza nel tempo e nello spazio. Ma sono portatrici sane. ;-)


A presto!

E grazie di questa chiacchierata...


Giacomo