> Il 13 Febbraio 2024 20:00:46 CET, Accattone via Hackmeeting <hackmeeting@???> ha scritto:
>> On 2/13/24 00:11, Giacomo Tesio wrote:
>>> [...]
>>>
>>>> Da cui è ragionevole supporre un ruolo attivo dell'attrezzo nella speciazione umana.
>>>> perciò l'autore sostiene provocatoriamente che è l'attrezzo a fare l'umano, e non l'opposto.
>>>> direi che si fanno insieme, co-evolvono, si selezionano reciprocamente.
>>> "Come mossa artistica è meglio di altre", ma come teoria a me (come sai) sembra una pericolosa
>>> forma di animismo, che antropomorfizza cose, proiettando su di esse caratteristiche che non
>>> possono avere (e non potranno mai acquisire).
>>>
>>> Pericolosa perché antropomorfizzando le cose, si finisce inevitabilmente a oggettificare le persone.
ciao,
non è mia intenzione antropomorfizzare strumenti e apparecchiature, ma
porre domande su come funzionano gli esseri umani nella loro evoluzione
con la tecnologia
sull'animismo non mi dilungo, ma rilevo che storicamente ha dato luogo a
sistemi sociali meno nocivi, quantomeno su larga scala, rispetto alle
società strutturate dai monoteismi e dai politeismi. Quindi mi pare ben
poco pericoloso, se si evita la tendenza all'irrazionalismo: mai sentito
di dittature ispirate dall'animismo (esistono???). Inoltre gli animismi
(espressione chiaramente colonialista formulata da osservatori
occidentali che così giudicano dei "selvaggi" che non credono nell'unico
dio loro...) sono più vicini alla fisica moderna di altre forme di
religiosità mono-politeiste, se intendiamo con animismo l'idea che
esistano "forze" naturali che "muovono" ("animano") le cose, gli
animali, ecc. e che pervadono il mondo circostante. In effetti pare che
esistano delle forze perlopiù invisibili: la gravità,
l'elettromagnetismo, l'interazione forte e quella debole. Combinandole
variamente, si fa il mondo.
>>
>> Non è affatto inevitabile.
>
> Ahimé è talmente inevitabile che persino karlessi, nel passaggio che ho citato, difende
> le povere macchine "considerate come minatori in miniera" invece dei minatori in miniera
> evidentemente stereotipo dei più sfortunati fra gli uomini.
>
non sono io ad aver coniato termini come "mining" per le blockchain
(catene di blocchi) tipiche delle criptovalute. la constatazione
fattuale, al di là della metafora, è che ammassi di macchine ronzanti
che producono un frastuono assordante e sperperano quantità colossali di
energia mi provocano tristezza e disgusto. gradirei spegnerle. oppure
farle girare per far altro, se proprio proprio devono girare.
> Non è paradossale per una persona sensibile ed intelligente come karlessi?
grazie. davvero.
>
> Eppure, appunto è inevitabile.
>
>> Io non vedo pericolosità nella teoria delle Tecnologie Conviviali, così come in nessuna
>> teoria che - come questa - non pretende affatto di essere Vera con la "v" maiuscola,
>> ontologicamente, ma piuttosto utile, ossia che ha dei riscontri e produce benessere.
>
> Beh ovviamente tutti i modelli della realtà sono sbagliati ma alcuni sono utili.
>
> Il punto è: utili a chi?
>
> Le tecnologie conviviali sono una splendida idea, ma non necessitano di "esseri tecnici".
> La convivialità è scelta e vissuta dalle persone che costruiscono e usano strumenti progettati
> per realizzare un sistema cibernetico conviviale.
> Gli oggetti sono utili o dannosi per quelle persone e i loro obiettivi, ma non convivono
> perché non sono vivi.
>
sembri proporre una visione per cui le persone hanno obiettivi chiari e
utilità evidenti. Non penso che le cose stiano così, primo perché gli
esseri umani sono capaci di mentire persino a se stessi, assai spesso;
secondo perché discipline abominevoli come l'economia comportamentale
hanno ben mostrato che il mito dell'individuo razionale che massimizza
il proprio utile in vista dei propri scopi è, appunto, un mito. Vedi
alla voce "bias cognitivi", dall'anchoring in poi: tutte cose già note
da tempo immemorabile dai manipolatori di masse e di individui,
oggigiorno a portata di chiunque faccia lo sforzo di leggersi qualcosa
sul nudge, la gamification, behavioural economics, ecc.
come antidoto esiste la magia gentile, il mentalismo militante,
l'iniezione costante di meraviglia, a profusione nella biblioteca magica
del popolo:
https://www.marianotomatis.it/index.php?page=biblioteca
poi, mai detto che oggetti o macchine sono vivi. sono solo esseri, nel
senso che esistono, sussistono, presentano caratteristiche proprie e
quindi hanno pienezza ontologica, ergo non mi pare scorretto definirli
esseri. sono dispostissimo a smettere di impiegare l'espressione, anche
perché non c'entra nulla con la questione che ho posto, che è: "come
funziona l'evoluzione umana CON/TRAMITE la tecnologia?"
> Parlare di "esseri tecnici" a chi giova?
>
a rigor di logica esistono anche "esseri immaginari", tipo gli unicorni
ul Pidrus, la Buba, ul Busatèl...
https://www.bestiariopodiense.it/elencobestie.html Eco e tanta semiotica
ne hanno discusso a lungo. a chi giova? ai venditori di favole? mah,
senz'altro, epperò anche alla letteratura, alla poesia, all'arte, per
dire tre cose che trovo giovevoli :D
>
>> Essa è utile a vivere il rapporto con la tecnologia in modo soddisfacente,
>> sia individualmente che collettivamente, e ciò le basta per essere attraente.
>
> Certamente l'intenzione di karlessi è questa.
>
> Ma in un contesto in cui l'alienazione cibernetica (la riduzione dell'autonomia delle persone
> che operano in un sistema cibernetico) è attivamente perseguita dalle più potenti e
> pervasive organizzazioni della storia umana, la narrazione sugli "esseri tecnici" (così come
> altre, altrettanto in buona fede) facilita tale alienazione.
>
> Lo fa, indipendentemente dalle intenzioni di chi la propone, nascondendo le intenzioni politiche
> di cui gli strumenti in questione sono espressione.
>
>
ci tengo a sottolineare che l'espressione "esseri tecnici" non è mia.
l'ho solo ripresa da Gilbert Simondon, filosofo francese misconosciuto,
che ha scritto due tesi scritte male (IMHO), nel senso che c'è da
scavare per capirci qualcosa; ma ha scritto anche ottimi pezzi brevi
sulla tecnica, vedi la raccolta "Sulla Tecnica"
https://www.orthotes.com/sulla-tecnica/
a mio parere, Giacomo, hai dei timori fondati. Ma i tuoi timori sono
opinioni su una possibilità, cioè il fatto che l'espressione "esseri
tecnici" favorisca l'alienazione. Grazie tante. Da quando esistono
intrighi per la supremazia, ogni espressione, decontestualizzata, nelle
mani dei pubblicitari, può essere impiegata per mandare al rogo
chiunque. Nell'epoca dei deepfake... ancora di più! Ad ogni modo,
ripeto, non ho alcuna difficoltà ad accantonare l'espressione "esseri
tecnici" che ti infastidisce tanto. Tuttavia, da materialista convinto
[1], ritengo che le differenze fra vita e non vita siano espresse in
maniera un po' troppo manichea, tranciata con l'accetta.
esistono tante vie di mezzo... alcune di queste, fra l'altro,
tecnologicamente mediate. è vivo un essere umano con encefalogramma
piatto, alimentato artificialmente? opinioni benvenute, ma cmq opinioni.
Personalmente non sono un fan della "vita" in quanto tale, cioè ritengo
che la "vita" non sia un valore assoluto, tanto meno un valore sacro.
Esistono vite degne di essere vissute, altre meno, altre per niente, e
non parlo solo di vite umane: sempre opinione mia. e non sto tirando in
ballo "bios" e "zoe", la nuda vita ecc ecc
un amico peruano mi ha detto: "la vida es una enfermedad sexualmente
transmissible". hostia...
d'altro canto, qualche biologo comincia a studiare quel che "sta tra",
fra la vita e la non-vita. traducendo Kupiec ho scoperto Thomas Heams,
"Infravies. Le vivant sans frontières"
https://www.afis.org/Infravies
IMHO è ragionevole pensare a un continuum fra la vita e la non vita. il
binarismo è letteralmente un binario morto. le cose sono sfumate,
variabili, mutevoli, in divenire. se tutto è fatto degli stessi
componenti elementari, atomi ecc, ha senso.
cmq, materia a parte, il fatto è che le contrapposizioni nette sono
utili per la dialettica e per fare a chi ha ragione, cosa che non mi
appassiona; ma se cerchiamo di capirci, e di tirare dei fili insieme,
magari addirittura di tessere una rete di significati condivisi, sono
controproducenti.
>>> Qui temo purtroppo di averti attratto critiche di antropocentrismo che non meriti con la
>>> mia prima risposta: è stato però molto divertente osservare come diverse urgenze politiche
>>> sentano il bisogno di fare proprio un tema prettamente tecnico.
>>
>> Non c'è niente di più antropocentrico dell'Umanesimo.
>
[QUI TAGLIO]
>
> Per quel che conta io non credo che abbia senso definire gerarchie fra uomini e macchine.
>
> Le macchine sono cose che costruiamo, smontiamo e usiamo per perseguire i nostri scopi.
>
> Questo non ci rende superiori o inferiori alle macchine: evidenzia anzi come metterci
> a confronto con esse sia già sintomo di forte alienazione.
non è una questione di gerarchia: è una questione di relazione. Mi
spiace poi dover muovere un appunto meta-discorsivo, metodologico:
quando lanci delle questioni così generali, si perde il filo, perché
ogni singola affermazione è contestabile ("Le macchine sono cose che
costruiamo": ma chi le costruisce? io no... gli operai nelle fabbriche
cinesi? i minatori che estraggono il coltan? gli ingegneri dei materiali
che progettano? i programmatori? costruiamo, come "umanità", idea tanto
astratta da infastidirmi... insomma, mi fa perdere il filo!
lo riprendo, il filo. il mio intento era sottolineare che nel "partage
de l'attention", l'attenzione divisa (perché nell'azione attrezzata non
c'è solo il corpo e la materia, ma anche l'utensile) e condivisa (perché
ci sono anche altri umani che si coordinano) si verifica una situazione
in cui è ragionevole pensare che l'evoluzione tecnologica abbia profonde
ragioni sociali. E che il "mutuo appoggio" (cit. Kropotkin) sia
favorito, nelle dinamiche eusociali, dal piacere di "riuscire insieme" a
fare qualcosa, in particolare con ausili tecnologici.
>
> Al più potremmo discutere di complessità: il più semplice degli esseri umani è infinitamente
> più complesso della più complessa delle macchine.
> Infatti possiamo potenzialmente costruire migliaia di macchine identiche (date le
> materie prime necessarie), ma non esistono due esseri umani identici e non potremmo
> costruirne uno come lo vogliamo pur avendo tutte le materie prime necessarie.
>
[QUI TAGLIO]
> Parlare di "esseri tecnici" rischia di supportare questo accumulo di potere.
>
> Spingerà magari qualcuno a guardare dentro questi artefatti, ma non dietro di essi.
>
>>
>> Invece parlare di interdipendenza tra esseri umani e macchine ha analogie
>> con i pensieri ecocentrici che riconoscono l'interdipendenza tra esseri umani e ambiente.
>
> Certo, il richiamo è evidente.
>
> Ricorda un po' i pokemon, in effetti.
>
> Ma il problema è proprio che un artefatto non è un essere.
>
> Proiettando sull'artefatto l'empatia che dovremmo provare per l'ambiente, finiamo
> per proteggere il primo (e gli interessi che veicola) a danno del secondo.
>
OK, "esseri tecnici" non va bene, perché ti irrita. OK. non cambia nulla
all'ipotesi di cui sopra. nessuno (non io, cmq) ha pensato che esista
davvero l'intelligenza artificiale: QUELLO sì è un concetto pericoloso,
alienante e manipolatorio, infatti la discussione partiva proprio dal
disagio nei confronti dell'espressione: mi sembra che siamo d'accordo.
Al più si può parlare di "Intelligenza inesistente", come fa Stefano
B.B. in uno dei libri citati, prendendo a prestito da Calvino il
"cavaliere inesistente".
>
>> Trovo interessante questo parallelismo tra natura e tecnologia nella ricerca di un
>> rapporto olistico con l'umano. Nel libro "Cosmotecnica", Yuk Hui lo utilizza
>> per riformulare processi di sviluppo della tecnologia auspicabilmente meno
>> problematici di quelli imperanti dalle nostre parti (e non solo dalle nostre, ormai).
>
> La tecnologia è politica: è inutile auspicarla, bisogna realizzarla o rimane fantasia.
dissento. la politica prefigurativa, l'utopia, l'immaginazione
individuale che si fa immaginario condiviso sono potenti motori di
cambiamento. "Realizzare" è solo parte del compito. Esiste anche il polo
del potenziale, dell'attuale, del virtuale, e sono in continuo
interscambio fra loro. ma la sto buttando in filosofia, e non ti piace.
ma giova.
>
> Utile a svagarsi o vendere libri magari, ma non a cambiare qualcosa.
>
dissento anche da questa espressione sprezzante. certi libri possono
cambiare un sacco di cose. Per esempio a me succede di sentirmi triste e
scoraggiato, vedo lugubre il presente e tanto più il futuro, e leggendo
un libro può capitare di imbattersi in un'idea luminosa che riempie
l'oscurità, mi motiva e mi dà voglia di fare. anche, fa fare bei sogni.
può essere anche uno svago: in un mondo che incita al lavoro prezzolato,
per conto di qualche padrone, come tanti "piccoli Eichmann" (cit. Lewis
Mumford), ingranaggi di Megamacchine che fanno solo il loro dovere...
beh, svagarsi sarebbe cosa buona e giusta, meglio certo che andare
allavorare :D
>> Chissà che non ci sia qualcosa da imparare smettendo di vedere homo sapiens
>> come prometeicamente separato dalla natura/dalla tecnologia.
>
> Siamo tutti sulla stessa barca.
>
> Un sistema cibernetico estremamente complesso, abbarbicato su una roccia
> in rotazione attorno ad una stella di periferia.
>
> Ma mentre la natura ci trascende, la tecnologia esiste solo fintanto che qualcuno di noi la costruisce.
>
> Non cogliere la differenza fra natura e tecnologie non è solo pericoloso per
> il pianeta, ma anche più direttamente per gli uomini che ignorano chi controlla tali tecnologie.
>
>
vorrei chiudere questo mio sproloquio con un punto filosofico e uno
esperienziale.
filosofico:
Molta filosofia consiste in una sequela di farneticazioni, perlopiù di
maschi bianchi variamente etero. Possiamo con gioia dimenticarcene, al
più presto. Tuttavia, in duemilacinquecento anni di svaghi, la filosofia
ha già affrontato moltissime faccende che ritornano, ogni tot anni,
decenni, ogni tot secoli, come fossero nuove, con parole "nuove" che in
fondo ripetono cose vecchie stantie. Affrontare non vuol dire trovare
risposte: vuol dire perderci tempo, magari pure il sonno. Vuol dire
soprattutto imparare a porre le domande, domande chiare e distinte.
Domande filosofiche.
Ci sono svariati secoli di filosofia politica rivoluzionaria, dico per
fare rivoluzione; non è facile discernere, anche di quella molta è
robaccia autoritaria, nichilista e machista, ma non è tutto da buttare.
d'altra parte, chi fa scienza e ricerca, anche se non lo sa, anche se
dice di no (soprattutto se nega!), assume e porta avanti posizioni
filosofiche e politiche, nel senso di codificate ed esprimibili in
termini filosofico-politici. se esprimesse la propria posizione situata
sarebbe meglio, invece di spacciarla per "neutralità", "scientificità",
"giustizia", "governance" et similia.
la mia situazione è che mi interessa coltivare un'attitudine hacker, che
in pratica per me significa operare per ridurre l'alienazione tecnica,
in senso simondoniano; cioè, traduco io, operare per ridurre quel
sentimento di lontananza che genera atteggiamenti "cultuali" (tipo
macchine-oracolo, ecc.), così come angoscia, rabbia, paura, eccitazioni
ecc nei confronti delle manifestazioni tecnologiche.
ritengo che si possa convivere e abitare sul pianeta Terra senza
obbedire, senza comandare ovvero senza alcun governo, in quanto ogni
governo è illegittimo per definizione [2], nonché nocivo. per tale
scopo, rilevo che c'è bisogno di più potere, cioè di poter-dire,
poter-fare, poter far-fare, da parte di chi si sente privo di potere: è
quindi necessario far circolare più potere possibile, diffonderlo
affinché non si accumuli come gerarchia e quindi dominio. La tecnologia
è fonte di potere, perciò mi intessa. Tutto ciò è moooolto astratto...
ehhh, la filosofia, mannaggia!
invece, esperienziale concreto, ogni volta che si ci trova e si apre un
computer e ci si mette lì a vedere come funziona, per svagarsi o con
qualche vaga idea, e poi magari si tira fuori un citofono (se c'è Peppo
si può fare senz'altro una puntata di "Hacking sul Nudo Metallo"); ogni
volta che ci si mette a cablare, smanettare motori, antenne, argani o
pulegge che siano; ogni volta che l'attenzione si divide e si condivide,
è possibile che si creino delle condizioni di intelligenza, di
intelligenza fra le persone e con le cose. ogni volta che si gioca a
smontare, capire, immaginare, ricombinare, ricostruire, non è
impossibile evolvere in maniera diversa.
comunque vada è più divertente della TV e di quasi tutta l'Internet
pure, quindi,
chiamala come vuoi, ma non vedo perché no
>
> A presto!
>
> Giacomo
ciao
k.
[1] materialista: siccome la materia è perlopiù vuota, sparuti elettroni
lontanissimi da nuclei piccolissimi, anch'essi fatti perlopiù di vuoto,
potrei anche definirmi vuotista... un breve testo divulgativo
sull'argomento che ho apprezzato, comprensibile anche a chi non pratica
troppo la fisica delle particelle, è Guido Tonelli, "Materia. La
magnifica illusione",
https://annas-archive.org/
[2] ogni governo (da kubernetes, quindi c'entra con la cibernetica: è
chi guida la barca...) è illegittimo per definizione in quanto indebita
proiezione di un'arché, di un principio-fondamento, da un piano
temporale, "vengo prima nel tempo", a un piano spaziale "vengo prima
nello spazio, cioè sto sopra, sono in cima, quindi comando". Questo
giustifica per esempio la gerontocrazia, e da lì tutte le altre forme di
governo. Così sostiene Catherine Malabou, "Al ladro! Anarchismo e
filosofia", in particolare CAPITOLO TERZO La virtù dei direttori del
coro. Archia e anarchia nella Politica di Aristotele. Elèuthera, 2024.
https://eleuthera.it/scheda_libro.php?idlib=576
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