Re: [Hackmeeting] presentazione di "Comment Homo devint Fabe…

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Autor: Giacomo Tesio
Data:  
Para: HackMeeting
Assunto: Re: [Hackmeeting] presentazione di "Comment Homo devint Faber"
Ciao karlessi,

Il 12 Febbraio 2024 15:37:37 UTC, karlessi <karlessi@???> ha scritto:
>
> a me sembra degno di approfondimento il concetto di "partage de l'attention"
> perché comporta una tensione del corpo-mente impegnato nell'azione attrezzata
> ("action outillée") verso il mondo esterno, ovvero verso l'interazione con la materia, molto
> diversa da quella "a corpo libero"
>
> "partage" è una spartizione/divisione; "partager" significa "condividere"
>
> quando ci si impegna in un'azione attrezzata, l'attenzione si divide fra il corpo che interagisce,
> l'attrezzo implicato e la materia esterna, il mondo. Ci sono tre poli (umano, attrezzo, materia)
> e non solo due (soggetto, oggetto).


Per quanto ne so, stai sottovalutando enormemente la funzione del cervelletto.


Quando parlo, la mia attenzione non è sulla lingua, sulle labbra, sui denti o sulle corde vocali.

Quando scrivo, la mia attenzione non è sulla matita o sulla carta, ma sul concetto
che intendo esprimere.

Quando suono un pezzo (che conosco) al pianoforte, non sono attenti al pianoforte
o alle mie dita: il movimento è espressione inconsapevole della mia volonta consapevole.


Pianoforte e matita sono estensioni del mio corpo indistinguibili dalla mia lingua.


L'attenzione è effettivamente suddivisa fra soggetto, strumento e obiettivo solo
quando stiamo imparando, quando non dominiamo ancora pienamente lo strumento.

Ma in tale contesto, la distinzione fra mondo/oggetto/obiettivo e strumento è fuori luogo:
lo strumento che non è trasparente per la mia coscienza è parte del mondo che sto manipolando.


> Quando ci si impegna in un'azione attrezzata con altre persone, l'attenzione "divisa" viene anche
> "condivisa", perché ci si coordina, si scambia, ecc ecc in vista di uno "riuscire insieme".


Vero, ma qui l'aspetto rilevante dal punto di vista evolutivo è la comunicazione, non l'attrezzo.

E la comunicazione non dipende dall'uso di strumenti: possiamo cantare insieme
senza usare attrezzi.

>
> Da cui è ragionevole supporre un ruolo attivo dell'attrezzo nella speciazione umana.
> perciò l'autore sostiene provocatoriamente che è l'attrezzo a fare l'umano, e non l'opposto.
> direi che si fanno insieme, co-evolvono, si selezionano reciprocamente.


"Come mossa artistica è meglio di altre", ma come teoria a me (come sai) sembra una pericolosa
forma di animismo, che antropomorfizza cose, proiettando su di esse caratteristiche che non
possono avere (e non potranno mai acquisire).

Pericolosa perché antropomorfizzando le cose, si finisce inevitabilmente a oggettificare le persone.


Gli attrezzi non sono neutrali semplicemente perché sono espressione di esseri umani.

Non hanno bisogno di una propria evoluzione: la loro storia è quella degli esseri umani che
li creano e li utilizzano.

Per altro, per parlare di co-evoluzione di persone e oggetti costruiti da quelle persone dobbiamo
ignorare il fatto che gli strumenti non evolverebbero da soli (contrariamente
ad una specie vivente).

Al contrario, se riconduciamo sempre gli oggetti all'uomo che li costruisce o usa, emerge
un modello più semplice: gli attrezzi sono espressione di esseri umani e dei loro interessi.


Qui temo purtroppo di averti attratto critiche di antropocentrismo che non meriti con la
mia prima risposta: è stato però molto divertente osservare come diverse urgenze politiche
sentano il bisogno di fare proprio un tema prettamente tecnico.


> la principale ragione di interesse, per me, è che questo approccio giustifica un interesse per
> l'evoluzione tecnica.


Non serve una giustificazione per ciò che ti interessa.

Però come approccio mi sembra più poetico che analitico.


> fra gli aspetti più insoddisfacenti per me delle filosofia della tecnica, e in generale delle
> riflessioni sulla tecnica, sta il fatto che gli "strumenti tecnici" tendono a svanire,
> o come supporti neutri dell'azione umana (es. "dipende da come lo usi", "dipende da
> te" > posizioni antropocentriche), oppure come manifestazioni di un'essenza
> non-tecnica, "nascosta" dietro le quinte (es. orizzonte ineluttabile dell'era della
> Tecnica, posizioni heideggeriane e post-heideggeriane)


Boh... voi filosofi la fate complicata. :-)

È semplice: gli strumenti sono espressione di esseri umani (con la propria cultura
e i propri interessi e obiettivi) e come tali non possoni essere neutrali o ininfluenti.

Ma non hanno bisogno di una propria dignità altra.

Anche quando ammiriamo la qualità di uno strumento, stiamo ammirando l'ingegno di
coloro che l'hanno costruito.

E anche quando esprimono automatismi, non sono ma agiscono.

Per questo, per quanto poetica sia l'espressione "esseri tecnici", rimane fuorviante e pericolosa.
Meno violenta di "intelligenza artificiale", ma altrettanto ingannevole.

Per questo preferisco parlare di strumenti (o, quando operano automaticamente, di
"agenti cibernetici").


> https://eleuthera.it/materiali/MILANI_CARLO/approfondimenti_tecnologie-conviviali_milani.html#FilosofiaETecnica


> Esisterebbe quindi un soggetto umano che si serve di oggetti non umani.
>
> Abbiamo già contestato questa convinzione; in ogni caso basta notare che «servirsi» significa
> «adoperare come servi», e questa semplice spia linguistica dovrebbe già metterci sul chi va là.
> Quando poi arriviamo al digitale di massa, il linguaggio industriale, violento, brutale,
> sessista e schiavista è sotto gli occhi di chiunque voglia vederlo.



Te la canti e te la suoni :-)

Tu usi il verbo servire e poi lo critichi come espressione "sessista e schiavista".


Ma se avessi scritto "Esisterebbe quindi un soggetto umano che utilizza utensili non umani"
non ci sarebbe stato nulla da criticare.

Non preoccuparti: agli utensili non importa di essere stati strumentalizzati per veicolare la tua tesi.
Ma non li tange nemmeno l'empatia che proietti su di loro con quella tesi.

Non "sono" neanche quando agiscono.
Si limitano ad esistere perché costruiti/manutenuti dall'uomo.

Se ne stanno lì, privi di una essenza propria che trascenda quella degli esseri umani
di cui sono espressione.


> Le macchine sono esplicitamente considerate come minatori in miniera.


Povere! :-D

Però ammetterai che se le avessero chiamate "gabbafessi" invece di "miner" tutta
la fuffa delle criptoMENATE veniva meno!

Nessun ASIC è stato maltrattato, comunque!

E tanti fessi sono stati convinti a comprare la promessa di trovare altri fessi a cui rivendere
tale promessa!

E nel caso dei minatori di criptomenate, non si può nemmeno dire che siano neutrali:
sono esplicitamente progettati per fregare i fessi!

Sono esseri tecnici cattivi?
No: semplicemente non sono esseri!


> oggetto tecnico viene per così dire obliterato.


Ed è sciocco ignorare una parte così rilevante dell'espressione umana!

Nessuno si sognerebbe di ignorare opere d'arte come la divina commedia o la cappella sistina.
Eppure chissà perché nessuno si sente in dovere di studiare Oberon, 9front o TempleOS.

Come se il software non fosse letteratura.


La tecnologia è espressione umana.

Se la analizzi semplicemente come tale, buona parte dei problemi che descrivi perde
ogni alone di mistero per diventare semplice politica.

Politica di cui la tecnologia è mezzo.


Giacomo