[Hackmeeting] critica della tecnologia [era: Re: intelligenz…

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Autor: karlessi
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A: hackmeeting
Assumptes nous: Re: [Hackmeeting] critica della tecnologia
Assumpte: [Hackmeeting] critica della tecnologia [era: Re: intelligenza artificiale (Andrea Collina)]

> Date: Tue, 30 Jan 2024 13:42:31 +0100 (GMT+01:00)
> From: Andrea Collina <andrew.hill@???>


ciao

colgo l'occasione per mettere insieme delle riflessioni su autori
variamente critici della tecnologia, se esiste la categoria.

>
> Il libro di Pasquinelli sembra molto buono, d'altronde ha sempre scritto ottimi saggi e con una prospettiva teorica che condivido pienamente.
> Riguardo al titolo si potrebbe aggiungere che "l'occhio del padrone,  ingrassa il cavallo"
> e quindi produce nella società il risultato atteso, ovvero la trasformazione dei rapporti sociali coerente con la proprietà privata del "General Intellect" estratto.
>


non ho letto, proverò se ne avrò l'occasione, mi permetto alcune
osservazioni

premetto che ho incontrato un paio di volte Pasquinelli anni fa in
conferenze varie (Amsterdam, forse) e mi è rimasto personalmente
piuttosto simpatico,

per quanto riguarda i contributi alla critica della tecnologia, i suoi
scritti (non ho letto tutto, ma una porzione sostanziosa sì) non mi
convincono. nella mia rozza classificazione, fa parte di accademici con
trascorsi più o meno funzionali alla loro carriera in attivismi vari,
che impiegano un gergo postmarxista, operaista e/o postoperaista, spesso
fantasioso, con categorie e concetti "nuovi", tipo
https://extractivism.online/

come mossa artistica è meglio di altre; come metodo critico, invece, non
capisco a cosa si riferisca, in pratica. O meglio, è un gergo che
funziona bene, perché immaginifico, ma non aiuta molto, almeno non aiuta
me a capire come fare. cioè leggo e da una parte mi rimane sempre il
sospetto di non aver capito fino in fondo; dall'altra mi sento un po'
preso in giro, non trovo appigli pratici.

a parte questo, la dico più in generale:

l'insistenza sul lavoro non centra il punto. Anzi, insistere sulla
dimensione economica, nel senso di "labour", fatica, di chi si rifà a
Marx in primo luogo, quindi a Gramsci (e a gran parte dei loro
trascurabili epigoni), manca completamente il punto fondamentale della
questione della tecnologia attuale.

<INCISO PEDANTE> di solito non si rifanno a tutto Marx, ma ai
Grundrisse, anzi, più precisamente al noto frammento sulle macchine, un
pezzettino minuscolo di quei libroni editati e pubblicati sessant'anni
dopo la morte dell'autore - qui
https://www.doppiozero.com/frammento-sulle-macchine ; quanto a Gramsci,
pochi hanno fatto peggio di lui alla causa socialista e libertaria con
la faccenda dell'egemonia... che infatti anche a destra piace tanto
</FINE INCISO PEDANTE>

Il punto mancato, a mio parere, è riconoscere che al di là di tutte le
costrizioni oppressioni ecc ecc il fatto è che ci piace stare in
meccanismi di autoabuso dopaminico. Nella "zona della macchina" (Dow
Schull), nello "stato di flusso", nella Skinner Box. Ciò non ha a che
fare con il capitalismo in senso stretto, ma più in generale con i
meccanismi co-evolutivi messi in opera dalla specie homo sapiens insieme
a macchine appositamente selezionate da... sì OK il capitalismo, ma non
solamente, a meno che non sia tutto capitalismo (la Cina, la Russia,
l'India, gli USA, l'EUropa ecc ecc, e naturalmente anche tutti gli
autoritarismi e totalitarismi passati presenti e futuri ecc ecc), il che
può darsi (ne dubito), ma non aiuta la critica, cioè la capacità di
vagliare e distinguere.

Il primo livello di (auto)sfruttamento è quello della persona che vive
con macchine serve, e ne vuole sempre di più, perché ci gode, persino
suo malgrado. Così facendo opera da ingranaggio in Megamacchine
complesse e contribuisce all'estensione del dominio, persino suo
malgrado.

Il primo punto critico dell'automazione, in particolare dell'industria
(sul cui sviluppo il marxismo è perlopiù in perfetto accordo con il
capitalismo), è l'alienazione tecnica, cioè la tendenza ad aumentare la
lontananza psico-sociale dell'individuo dal suo operare con la materia
in maniera tecnica. L'alienazione economica viene dopo. Prima viene la
sofferenza psico-fisica della perdita di senso del fare manuale,
l'incapacità di fare qualcosa di bello (penso all tecnoburocrazia, ad
esempio, oltre all'operaio alla catena di montaggio, "un pezzo, un
culo"); sofferenza che, forse in cerca di compensazioni, si è "evoluta"
in godimento perverso fornito da interazioni coatte con macchine schiave.

Quindi nel complesso, mancando il punto del "ci piace" e concentrandosi
sul lavoro-fatica, queste letture postmarxiste postqualcosa mi sembrano
molto intellettuali, poco attente alla realtà materiale, fisica,
corporea che pure dicono di privilegiare in quanto materialiste, ma
soprattutto povere di immaginazione per il futuro e anche per il
presente, a parte un generico invito alla denuncia. Il tutto con
paroloni molto complicati, oltre che abbondanza di "dati empirici".
Quando non sono pericolosamente inclini all'accelerazionismo (facciamo
l'IA della rivoluzione con la blockchain for social good, ognuno col suo
digital twin!), o, all'analogo opposto, cioè al primitivismo (le
macchine sono cattive, la natura è buona).

Alcuni termini che rientrano in questo vocabolario che non descrive
nulla di concreto sono: pollinizzazione; "general intellect"; lavoro
immateriale; lavoro cognitivo; estrazione e messa a valore del lavoro
immateriale; "apparato di cattura"; fordista e postfordista; Algoritmi
(di cui non si specifica mai nulla...).

a proposito di algoritmi, in fondo alla recensione l'autore fa
riferimento a un suo prossimo libro,

https://mitpress.mit.edu/9780262547420/algorithms-of-resistance/

Algoritmi di resistenza - La lotta quotidiana contro il potere dell
piattaforme

purtroppo non sembra parlare di algoritmi (temo che gli autori usino il
termine in maniera metaforica stiracchiata), ma di... resistenza agli
algoritmi dell'oppressione? L'autore lo cita come esempio di "resistenza
al potere dell'IA": ottimo esempio di critica nonsense, un algoritmo non
può essere oppressivo, è solo una sequenza finita di istruzioni per
ottenere un certo risultato... questo genere di confusioni, molto
diffuse nelle cosiddette scienze umane, confondono ancora di più le
acque. A me personalmente mi fanno pure sentire scemo, perché leggo,
cercando di capire, e poi scopro che ops, si tratta di fare interviste a
gente varia (se è un po' esotica meglio, mi pare - alias "Global South",
con spirito postcoloniale, s'intende eh!) per poi trarne delle
riflessioni su ciò che fanno e categorizzarle, in questo caso come
pratiche più o meno resistenti all'oppressione algoritmica, qualsiasi
cosa sia...

> Rispetto alla recensione non condivido l'elogio  all'approccio storico analitico di Pasquinelli e la svalutazione di un approccio  umanistico filosofico di altri critici della tecnologia ( si cita Byung Chul Han, ad esempio) perché riflettono entrambi una adesione convinta al "discorso del potere" connaturato all' "accademia del complesso militare-industriale" che si vorrebbe svelare come ideologica ( valgono i fatti misurabili e registrati e non le vane teorie dei filosofi).
>


concordo sul fatto che la filosofia potrebbe aver molto da dire sulla
tecnologia (ma ha detto troppo e male, per ora. pochissima quella da cui
si tira fuori qualcosa di utile). cmq i "fatti misurabili e registrati",
si sa, dipendono da cosa si vuole misurare e registrare, cioè dalla
prospettiva normativo-ideologica e dalle domande di ricerca, quindi
appunto sono "fatti" nel senso di costruiti. Molta ricerca, e non solo
nelle scienze umane, è specializzata nel registrare e misurare solo quel
che serve a dimostrare una tesi preconcetta. Ergo, non è che più dati e
più interviste sono per forza meglio di un pamphlet scritto di getto.

OK non entriamo nella diatriba costruttivismo ecc., la realtà esiste e
non scompare se chiudiamo gli occhi, ma, per passare a Byung-Chul Han,
nello specifico costui mi pare uno dei peggiori interpreti di una
postura filosofica autoritaria, che, dall'alto di una cattedra,
pontifica in maniera aneddotica su cose che evidentemente non ha mai
nemmeno toccato, o cmq non l'hanno mai toccato nelle sue incrollabili
convinzioni.

per quanto riguarda la tecnologia, a livello filosofico, mi pare
filiazione del peggior Heidegger. ma anche di quest'ultimo ho letto
poco. troppo inutilmente difficile.

Invece, siccome scrive breve, ho letto buona parte di quel che ha
scritto Han, in italiano; non mi era dispiaciuto il primo tradotto in
italiano, "La società della stanchezza", ma è roba di oltre dieci anni
fa; poi, cercando di leggerlo in tedesco, ho scoperto che scrive molto
molto "semplice", rispetto alla media dei filosofi da cui copia-incolla
(semplificando), talvolta senza citare. Ho il fondato sospetto che non
maneggi a sufficienza la lingua e quindi si limiti a frasette e
libriccini, che, bisogna dire, vendono molto. In genere, vaneggiano di
un mitico passato pre-tecnologico in cui non si stava "Nello sciame", in
cui "Eros (non era) in agonia", ecc ecc

spesso poetico, mi lascia un non so che di nostalgia, un "ah, come si
stava bene prima!", poi mi chiedo, ma prima di che? boh.

curiosamente (o forse no...), in qualche modo anche lui si aggrappa a
discorsi mitici in cui la tecnologia è, di fatto, l'incarnazione del
male. incarnazione che però è eterea, disincarnata, immateriale. cito
sempre dalla stessa fonte così rimaniamo lì e bon facciamo statistiche
su matomo
https://www.doppiozero.com/byung-chul-han-come-abbiamo-smesso-di-vivere-il-reale:

Dice Byung-Chul Han: “L’ordine terreno, l’ordine planetario, è
costituito da cose che assumono una forma durevole e creano un ambiente
stabile, abitabile. […] Oggi all’ordine terreno subentra l’ordine
digitale. L’ordine digitale derealizza il mondo informatizzandolo” (p.6)

è più o meno tutto così. a parte che non capisco l'affermazione iniziale
sull'ordine planetario (ma se arriva un meteorite? non mi pare che sia
durevole né abitabile) e, ancora una volta, mi dà l'impressione che ci
sia sotto qualcosa che non capisco (ma forse no...), poi che vuol dire,
il mondo sarebbe meno reale a causa dell'ordine digitale, meno reale nel
senso di incredibile, come i capannoni di server, insomma, i data
center, le miniere di terre rare, l'energia per alimentare il tutto (ma
chi l'ha deciso l'ordine digitale? ma quando? ma cos'è l'ordine
digitale? Si può ordinare su Amazon???). Quindi meglio l'ordine terreno?
Temo che in questo ordine vagheggiato ci sia la Natura. La Madre Natura,
immagino, e questo mi sembra problematico. Non dico reazionario eh...

> In fondo non è una gran scoperta che qualsiasi dispositivo tecnologico incorpora un sistema di relazioni sociali da cui permette l'estrazione di valore espellendone la componente animale, umana, arbitraria, conflittuale, violenta, tradizionale...


"estrazione di valore" ecc., non capisco.

senza la tecnologia gli umani non possono esistere per definizione,
IMHO. intendo senza linguaggio, arte (ars-techne), attenzione e
intenzionalità condivisa per la manipolazione del mondo (dalla selce
spaccata in poi).

la tecnologia è fonte di potere. il potere è funzione sociale neutra. si
può usare per schiacciare e opprimere (è la norma) oppure come fonte di
liberazione (è l'eccezione). Mi piacerebbe che l'eccezione di ieri e di
oggi diventasse la norma di domani.

>
> Nel riferimento a Graeber c'è una confusione ma è fondamentale.
> Per Bullshit Jobs Graeber intendeva "lavori del cazzo" e non "lavori di merda".


[TAGLIO]

mi sembra una traduzione senz'altro migliore e concordo: confusione
fondamentale.

[TAGLIO]

> Abbracci,


ciao

k.

--
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