eccovi la prima, spero non unica, risposta al mio invito a discutere di
come uscire da questa emergenza. Viene dalla nostra past-Presidente Doretta.
Il Presidente
Ivan Gottlieb
Su Silvia Romano, la banalità del male e l’indifferenza.
Raccolgo l’invito lanciato da Ivan Gottlieb, Presidente dalla Casa del
popolo di Settignano, con la sua mail del 10 maggio indirizzata ai soci
inviando una mia riflessione, per dare un contributo alla discussione ma
anche sperando di invogliare l’avvio di una qualche sorta di pratica.
Ivan, riferendosi al lungo periodo di distanziamento sociale collegato con
l’emergenza coronavirus, ha scritto:
“Questa vicenda ci obbliga a rifletter su alcuni temi per capire dove
stiamo andando , come potremo ripartire , come potremo contribuire a creare
una società più equilibrata, più giusta.
La CdP , in attesa di ritornare ad essere il luogo fisico di incontro, può
essere da subito lo strumento per lo scambio di opinioni, quindi per
l’individuazione di pratiche che prefigurino un diverso modo di stare
insieme.”
Inizio il mio ragionamento andando, perlomeno apparentemente, fuori tema
perché vorrei innanzitutto affrontare due argomenti che secondo me sono
fortemente collegati: la reazione alla liberazione di Silvia Romano e la
tesi di Hannah Arendt sulla banalità del male.
Ho riflettuto sulla tesi della Arendt quando, qualche sera fa, ho visto
“The Eichmann Show”, un film dove si racconta la storia di un produttore
televisivo (Milton Fruchtman) e di un regista (Leo Hurwitz) che seguirono
il processo ad Adolf Eichmann.
Adolf Eichmann, lo ricordo, è stato un ufficiale delle SS che fu catturato
a Buenos Aires e processato a Gerusalemme con l’accusa di aver commesso “in
concorso con altri” crimini contro il popolo ebraico, crimini contro
l’umanità e crimini di guerra sotto il regime nazista, in particolare
durante la seconda guerra mondiale.
Anche Hannah Arendt seguì quel processo, come inviata del “New Yorker”, e
successivamente riunì e riorganizzò i suoi articoli in un libro: “La
banalità del male. Eichmann a Gerusalemme”.
Senza dilungarmi oltre riporto semplicemente due righe tratte dal retro di
copertina del libro, che riassumono in maniera molto concisa la tesi della
Arendt:
“Il Male che Eichmann incarna appare alla Arendt “banale”, e perciò tanto
più terribile, perché i suoi servitori più o meno consapevoli non sono che
piccoli, grigi burocrati. I macellai di questo secolo non hanno la
“grandezza” dei demoni: sono dei tecnici, si somigliano e ci somigliano.”
Ecco, è sulle parole “ci somigliano” che mi sono soffermata a pensare. La
tesi della Arendt mi convince e, portandola fino ai giorni nostri, penso
che la si possa riconoscere in molto di ciò che caratterizza il mondo
attuale anche senza bisogno di spingersi a considerare gli esecutori
materiali dei tanti orrori che lo contraddistinguono.
Per esempio, secondo me la banalità del male la possiamo già riconoscere in
quello che sta succedendo in questi giorni: odio, sessismo e intolleranza
verso culture diverse hanno ora individuato un bersaglio in Silvia Romano,
rientrata in Italia dopo la sua liberazione.
Gli “odiatori”, i cosiddetti haters, hanno infestato per giorni i vari
media e inondato le pagine di facebook rivelandosi propugnatori di una
civiltà escludente e retrograda. Ma chi sono esattamente questi odiatori?
Io non lo so. Tralasciando i personaggi pubblici non li conosco, ma non ho
difficoltà a immaginare che molti di loro siano bravi cittadini, ubbidienti
e rispettosi delle leggi, impiegati modello, lavoratori, madri, padri,
figli; temo che si possano persino nascondere nel vicino di casa che
incroci sulle scale con il quale scambi un educato buongiorno.
Perché sono partita da così (apparentemente) lontano? Cosa c’entra tutto
questo con l’appello di Ivan? L’ho fatto perchè ritengo che tutto sia
collegato.
Proverò a spiegarmi.
È purtroppo un dato di fatto che le voci dell’odio e dell’intolleranza si
alzino facilmente. Inoltre sono voci che normalmente hanno un’ampia
diffusione, sia (ovviamente) da parte di chi le appoggia sia
(obiettivamente va detto) da parte di chi prende la parola per esprimere
dissenso e critica verso quelle voci. Viceversa, le voci che io ritengo
quelle della ragione, che parlano di uguaglianza, di diritti, di civile
convivenza anche tra culture e religioni differenti a me pare che non
abbiano uguale eco, uguale risonanza. Mi sembra che parlino più piano o che
spesso tacciano del tutto.
Perché?
Ecco, qui voglio aggiungere un altro concetto, così mi avvicino allo scopo
di questa mia riflessione e mi avvio a concludere: l’indifferenza.
Io penso che chi è immune dal morbo della “banalità del male” spesso sia
ammalato di un altro morbo che io ritengo altrettanto pericoloso, anche
perché può fare da apripista al primo, ed è proprio l’indifferenza.
Ed è l’indifferenza che io temo si nasconda dietro al silenzio seguito
all’appello di Ivan, un silenzio che fa pensare che sia rimasto inascoltato
o che non gli si sia data importanza.
Ma io voglio credere che non sia così. Voglio credere che questo silenzio
sia soltanto il sintomo di un difetto di partecipazione, un ritenere che
non sia necessario coinvolgersi in prima persona.
Ed è su questo che vorrei richiamare l’attenzione di chi mi legge. Io sono
convinta che la partecipazione sia un atto fondamentale perché se proprio
noi, che siamo soci di una casa del popolo e che sicuramente riteniamo di
appartenere alla parte “giusta” del mondo, rimaniamo passivi, allora non ce
la faremo mai a individuare, per usare le parole di Ivan, “pratiche che
prefigurino un diverso modo di stare insieme”.
Io sono convinta che soltanto agendo e proponendo, potremo migliorare
questo brutto mondo dove le voci di odio e l’ignoranza hanno echi così
alti.
Penso quindi che abbiamo il dovere di riunirci, di riunire le nostre teste
i nostri pensieri e i nostri progetti, perchè non è sufficiente mettere un
“mi piace” o condividere un post su Facebook.
Ivan, il presidente della Casa del popolo di Settignano, ha proposto ai
suoi soci di utilizzare lo spazio (fisico e virtuale) della casa del popolo
per iniziare a ragionare su alcune semplici questioni: il rapporto con la
natura, i sistemi di produzione, la distribuzione delle risorse …
Ecco, io dico: approfittiamone, ripartiamo da lì. Penso, per esempio, che i
Gruppi di Acquisto solidale potrebbero già essere una risposta a uno dei
quesiti posti da Ivan perché il loro intento è individuare nuovi modi di
rifornirci e di nutrirci, e sappiamo che la produzione e la
commercializzazione degli alimenti sono collegati a infinite altre
tematiche: la distribuzione delle risorse, il loro accaparramento da parte
di pochi, l’agricoltura invasiva e gli allevamenti intensivi che tanto
contribuiscono al deterioramento del clima e all’impoverimento di intere
popolazioni… ma l’elenco potrebbe essere ancora più lungo.
Allora, visto che i gruppi d’acquisto non sono nati certo ora potremmo
intanto chiederci cosa possiamo conservare delle loro precedenti esperienze
e cosa potremmo migliorare, e iniziare a ragionare su questo.
Io sono convinta che se stiamo insieme possiamo rafforzarci e che con il
tempo forse potremmo riuscire a fermare la terribile deriva fascista,
razzista e ignorante alla quale stiamo assistendo. Io dico: facciamolo
prima che sia troppo tardi, facciamolo prima che il cancro dell’ingiustizia
sociale raggiunga definitivamente ogni angolo della terra e infetti ogni
singolo individuo, rendendo inutile ogni tentativo di debellarlo.
Noi che abbiamo la fortuna di vivere in un momento dove ancora risuonano
voci in difesa dei diritti, dell’uguaglianza, della pace (pensiamo alle
reti antirazziste, ai movimenti per il clima, alle voci, sebbene in questo
periodo molto flebili, che si innalzano contro la guerra) non rendiamola
inutile. Ricordiamoci che l’Italia e la Germania, i paesi dove nel secolo
scorso hanno avuto origine il fascismo, il nazismo e gli orrori degli
olocausti erano paesi civili abitati da gente come potremmo essere noi. Ma
non solo, fascismo e nazismo sono sostanzialmente nati in un’epoca nella
quale, in certi ambienti, fermentavano idee di uguaglianza, di giustizia
sociale.
Però i fascismi hanno attecchito comunque perché, secondo me, se la maggior
parte della popolazione vive nell’indifferenza, l’apparente civiltà di un
paese non è una barriera sufficiente contro i totalitarismi e le
intolleranze.
Io credo che una barriera la possiamo costruire soltanto con l’attenzione,
la partecipazione, la conoscenza, l’informazione e la diffusione dei
principi di uguaglianza, di libertà e di pace.
Se non lo facciamo dovremo arrenderci al fatto che l’essere umano è
intrinsecamente (e banalmente) malvagio e allora ogni parola, ogni sforzo
in senso contrario sarà vano e le Silvie Romano saranno sempre bersagli dei
fascisti e noi, quelli che vorremmo un mondo diverso, e che avremmo anche
i mezzi per pensarlo e per tendere alla sua realizzazione non potremo fare
altro che chiuderci nelle nostre case con i nostri piccoli piaceri pregando
i nostri Dei personali che nulla arrivi mai a metterci nella condizione di
vittime. Perché in quel caso, come dice una famosa poesia, non ci sarà più
nessuno a difenderci ...
Doretta
Firenze, 17 maggio 2020
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