[Pacifistat] Egitto, lo sguardo oltre la gabbia

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Author: Roberto Badel
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To: pacifistat
Subject: [Pacifistat] Egitto, lo sguardo oltre la gabbia

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Gli occhi che si cercano, le mani mosse in lontananza non sono un gioco.
Comunicano spesso disperazione, tristezza e angoscia per essere lì,
segregati, ingiustamente accusati, dopo mesi di detenzione e in tanti
casi di tortura. E’ un video, girato in un’aula egiziana di tribunale e
pubblicato sul sito della/Bbc/in lingua araba, documenti che
probabilmente non vedremo più perché in quei luoghi, dove già da tempo
pur in presenza di pubblico che poi altro non sono che familiari dei
detenuti, la stampa non è ammessa. Allora ci si mettono i più giovani,
masticatori di tecnologia a filmare con ogni mezzo e divulgare sui
social media. La breve registrazione è finita su/Facebook/, ma non si sa
quanto potrà restarci. Intanto fa proseliti, e divulga il clima che gli
odierni cittadini d’Egitto conoscono. Immaginiamo una figlia che allunga
la mano e gesticola, scrivendo sulla trasparente lavagna dell’aria forse
lettere, per indicare una parola, o numeri. Sicuramente proietta
idealmente l’arto verso l’uomo rinchiuso in gabbia che gli risponde. Non
mancano i sorrisi in questa comunicazione tipica dello scambio fra
detenuti e parenti. Non è bene bagnare con le lacrime, che magari dentro
l’orbita premono, però è giusto non mostrale in un momento che è festa
della vista. Ti vedo, dunque sei vivo, non ti hanno ucciso, non hanno
piegato il tuo corpo né il sentimento. Per lo più sono ragazze e giovani
donne a tenere alto lo spirito sul lato opposto, fra i rinchiusi della
gabbia. Siedono accanto a soldatini dalla vista sperduta, costretti in
questo caso non a un ruolo sanguinario e assassino ma al meno ingrato
compito di vigilare sul pubblico. Ciò che non riescono a trasferire
espressioni profondissime e occhi appassionati, lo dice la morbida
gestualità di dita piegate a cuore, come fanno le fidanzatine
innamorate. E l’altra metà, se è un giovane ragazzo, stravede, e
sorride, sorride finché può farlo se le membra non dolgono dai troppi
colpi ricevuti in celle da duemetriecinquanta per due, dove ci si sta
dentro in cinque. Dove si dorme a turno, distendendosi su un pavimento
bagnato e indossando gli stessi panni ormai puzzolenti da mesi. E’ una
visione forzata ma rappresenta un’epifanìa, una sequela di gesti dentro
quelle gabbie a rete fitta che lasciano a malapena passare la luce, così
che i corpi, alcuni emaciati dai digiuni, muovano anch’essi mani e
braccia, tanto per rispondere o dire: sono vivo, ancora lo sono. E
almeno salutare prima che, perentoria, una voce annunci con un grido
l’entrata della Corte. Quella che può decidere la pena di morte. Oppure
la sepoltura in “Scorpion” già esistenti e da costruire.

Video:http://www.bbc.com/arabic/media-46526067