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il manifesto 2012.02.22 - 09 INTERNAZIONALE
MILITARI E BANDIERE
Il diritto del più forte
ARTICOLO - Giuliana Sgrena
La questione dei due marò italiani arrestati in India con l'accusa di aver ucciso due pescatori viene sostanzialmente ridotta a una questione di giurisdizione. Hanno ucciso in acque indiane o internazionali? In quest'ultimo caso sono sotto giurisdizione italiana. Vista la reazione delle autorità italiane questo si può tradurre facilmente in impunità. Ancora una volta si parla di avvertimenti, quali avvertimenti (luci, spari in aria) e contro chi? Avvertimenti che se anche ci fossero stati non sarebbero nemmeno stati compresi da pescatori che nulla avevano a che fare con logiche militari in acque non abituate ad atti di pirateria.
Per di più, non esistono regole d'ingaggio codificate per i militari a bordo delle navi commerciali, mentre la responsabilità dovrebbe essere dello stato, in questo italiano, invece la nave è sotto il controllo di civili e quindi del comandante, che però non può dare ordini ai militari.
Il problema della pirateria in mare ha indotto l'Onu a emanare una convenzione che però non prevede l'uso della forza. Tocca dunque ai singoli stati derimere la questione, permettere, come ha fatto l'ex-ministro La Russa, l'imbarco sulle navi battenti bandiera italiana di militari - d'élite come i marò - oppure, come hanno scelto altri paesi, contractors. Come sempre i contractors sfuggono ancora più facilmente a qualsiasi regola.
Il caso dei marò è di estrema gravità perché sancisce il diritto di uccidere chiunque venga sospettato di poter essere un pirata: la guerra si trasferisce dai paesi sotto occupazione alle acque più o meno internazionali, poco importa. Importa solo se c'è uno stato che intende far valere la propria territorialità. Come sempre l'uso delle protezioni armate non esclude i pericoli e aumenta l'uso indiscriminato della forza.
Su questi temi esiste un complesso dibattito a livello internazionale, che non sembra tuttavia infervorare l'Italia se non quando ad essere coinvolti sono i nostri militari. Anche perché siamo fin troppo abituati a rinunciare alla nostra sovranità quando a colpire sono i militari di un paese più forte (soldati Usa nel caso del Cermis, Mario Lozano nel caso Calipari). Ma nei confronti dell'India ci consideriamo noi i più forti e quindi pronti a far valere l'obsoleta consuetudine dello zaino o della bandiera (un militare risponde solo al paese di provenienza) e considerare danno collaterale la morte di due pescatori indiani disarmati e senza nessuna velleità piratesca, del resto disarmati non lo eravamo anche noi, a bordo della Toyota Corolla quella notte del 4 marzo 2005, nei confronti dei soldati americani? Se ci siamo permessi di lasciare impunita l'uccisione di Nicola Calipari perché non dovremmo farlo nei confronti di due poveri, sconosciuti pescatori indiani?
Ugo Beiso
Vivi come se dovessi morire domani. Impara come se dovessi vivere sempre Mahatma Gandhi