DALL’ITALIA AL CENTROAMERICA, LE STORIE DEI MARTIRI CHE “VIVONO E LOTTANO INSIEME A NOI”
Peppino Impastato era un giovane siciliano di Cinisi, il cui padre, Luigi, era un mafioso, al soldo del boss Badalamenti, che abitava esattamente a cento passi dalla casa di Peppino. Con i suoi amici Peppino riuscì a fondare una radio libera, e da quei microfoni incominciò a denunciare tutti i loschi traffici che gravitavano nel suo paese, in particolare quelli che si sviluppavano intorno alla costruzione dell’autostrada che avrebbe attraversato il territorio di Cinisi. Fu minacciato più volte, ma lui non mollò, e fu ammazzato. Il 9 maggio del 1978. Il suo corpo fu portato nei pressi di un binario ferroviario e fu fatto saltare in aria col tritolo, per cercare di far credere che stesse preparando un attentato. E gli inquirenti depistarono le indagini, fino a quando, però, la verità venne, comunque, a galla e lo stesso Badalamenti venne condannato. “I cento passi”, film di Marco Tullio Giordana, ha come ultima immagine i funerali di Peppino Impastato, che qualcuno provò, pure, a far svolgere in forma privata e quasi “nascosta”, per non infastidire il potere mafioso. Le parole del gigantesco striscione che apriva quel corteo, invece, le guardarono tutti: “Peppino è vivo e lotta insieme a noi”, una vera e propria dichiarazione di fede, quasi religiosa ed evangelica.
La storia di Peppino Impastato ricorda quella degli otto gesuiti dell’Università del Centro America, ammazzati a San Salvador, nel 1989, dagli squadroni della morte del governo fascista di quel paese.
La notte in cui furono ammazzati gli otto gesuiti, la “guerrilla” si era, ormai, quasi del tutto impadronita della città. I militari erano senza speranza e si lasciavano andare, senza alcun controllo, ad azioni estreme. Cominciarono a bombardare la popolazione, per eliminare i capi della “guerrilla”. I gesuiti, ovviamente, non appartenevano alla “guerrilla”, per molto tempo, però, avevano lavorato per la promozione della giustizia nel paese, nel tentativo di alleviare le sofferenze della gente. Per questo erano visti e considerati come “gente pericolosa”. I gesuiti, d’altronde, erano in contatto con la “guerrilla”, all’interno e all’esterno del paese, ma cercavano anche di intessere rapporti con il governo. Il loro tentativo era quello di rendere possibile un accordo. Ma tutto questo li rendeva pericolosi agli occhi dell’esercito. Forse perché, spesso, i “mediatori” sono più pericolosi dei “rivoluzionari radicali”. Furono trucidati in una notte del 1989. Come Peppino Impastato. Ma nella memoria del loro popolo vivono ancora, e con il loro popolo lottano ancora, nel sogno di un mondo senza ingiustizie. (Gabriele De Blasi)
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