Cara Giovanna,è evidente che il mio discorso sulla moneta correva sul filo del paradosso: mi sono limitato a ritorcere contro Cacciari il suo ragionamento, assolutamente fuori luogo, sbagliato, quantomeno se ci riferiamo al capitalismo ed ai suoi cinque secoli di storia . In questo ambito, se vogliamo neutralizzare gli effetti perversi dell' "equivalente universale", non c'è da ritornare a qualcosa che non è mai esistito, ma semplicemente (mission impossible!) lanciare la sfida dell'abolizione della moneta stessa. Insomma, volevo dire che la premessa da cui parte l'assunto di Cacciari non tiene: finché esiste il mercato, la moneta la farà da padrona a impersonare il processo di accumulazione. Possiamo ridurre - attraverso i beni comuni, i "valori d'uso" - lo spazio del mercato e dunque il ruolo e la pervasività della moneta, ma non attribuire a quest'ultima una funzione che le è im-propria.
To: forumSEGE@???
CC: dwbsco@???; forumgenova@???
From: caviglione@???
Date: Mon, 31 Oct 2011 16:45:36 +0100
Subject: Re: [forum Sinistra Europea GE] In margine ad un articolo di Paolo Cacciari Il Manifesto sabato 29 ott
ahimè, ci metti all'angolo: le prediche, anche se fatte bene, non
servono a nulla. d'altra parte la tua proposta di azione politica da
praticare qui e ora, è troppo sovversiva! chi mai avrebbe la
capacità di trasformarla in orizzonte e progetto e il coraggio di
proporla?
giovanna
Il 31/10/11 16:07, giacomo casarino ha scritto:
La finanza e la
moneta non sono mai stati strumenti
neutri, beni comuni pubblici, di servizio (come
sembra suggerire Paolo Cacciari), che (cito)
“nessuno (né grande banchiere né
piccolo azionista) [possa] pensare di usare per
arricchirsi". Su questo terreno per essere
realisti, bisognerebbe essere utopicamente radicali,
"saltare" direttamente all'abolizione della
moneta. A quel punto lo scambio andrebbe regolato
sulla base
della reciprocità delle prestazioni, dai rapporti
interpersonali, come a suo
tempo ci ha insegnato Karl Polanyi, sempre che
dovessimo restare nell’ambito del “dover
essere”, del “possibile in astratto”. Sostiene
Cacciari: “devono tornare ad
essere […]” “Dovemmo pensare ad altro tipo di
ricchezza […]” Ma io diffido del
“dover essere”, che sa tanto di predica (etica,
religiosa, ma pur sempre
testimonianza): in questo modo non si passa dalla
retorica alla politica,
almeno nei tempi brevi che ci sono imposti dal
precipitare della crisi del
capitalismo. Ed è invece questo salto che occorre
immaginare ed è in funzione
di questo salto che occorre cercare gli strumenti da
praticare. Ha altresì
ragioni da vendere chi afferma che è assolutamente
scandaloso. declamare: “e allora,
chi se ne frega del default!", come fa Cacciari. Altra
cosa è, ovviamente, se parliamo di “default
controllato” (che in qualche modo è stato imposto
alla Greci, cioè, da un altro punto di vista, di
applicazione del “diritto all’insolvenza”. Mi
sembra, insomma, che non si possa
sfuggire, marxisti e non, al nodo del “modo di
produzione”. E qui entrano in
ballo i “beni comuni”, sempre che li vogliamo
considerare come un vettore
strategico della trasformazione e della
transizione, alla stessa stregua con cui
nell’ortodossia marxista si
consideravano le “forze produttive”, la loro
crescita e le contraddizioni conseguenti.
L’alternativa mi pare vada formulata in
questi termini: 1) la produzione (o manutenzione)
dei beni comuni diventa il
volano della (non)economia venendosi così ad
espandere il concetto stesso di
“bene comune”, e dunque sostituendo essi
progressivamente quanto risulta
mercificato (il che comporta togliere spazio
all’economia di mercato e colpire
la logica dell’accumulazione ecc.); 2) Oppure
i beni comuni sono destinati a rimanere, nella
migliore delle ipotesi, una
realtà posta sulla difensiva e residuale. Beni
comuni e decrescita dalla
dipendenza dal mercato mi sembrano strettamente
legati.
giacomo casarino
storico
genova
contatto skype: gcasarino
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