La finanza e la moneta non sono mai stati strumenti
neutri, beni comuni pubblici, di servizio (come sembra suggerire Paolo Cacciari), che (cito) “nessuno (né grande banchiere né
piccolo azionista) [possa] pensare di usare per arricchirsi". Su questo terreno per essere realisti, bisognerebbe essere utopicamente radicali, "saltare" direttamente all'abolizione della moneta. A quel punto lo scambio andrebbe regolato sulla base
della reciprocità delle prestazioni, dai rapporti interpersonali, come a suo
tempo ci ha insegnato Karl Polanyi, sempre che dovessimo restare nell’ambito del “dover
essere”, del “possibile in astratto”. Sostiene Cacciari: “devono tornare ad
essere […]” “Dovemmo pensare ad altro tipo di ricchezza […]” Ma io diffido del
“dover essere”, che sa tanto di predica (etica, religiosa, ma pur sempre
testimonianza): in questo modo non si passa dalla retorica alla politica,
almeno nei tempi brevi che ci sono imposti dal precipitare della crisi del
capitalismo. Ed è invece questo salto che occorre immaginare ed è in funzione
di questo salto che occorre cercare gli strumenti da praticare. Ha altresì
ragioni da vendere chi afferma che è assolutamente scandaloso. declamare: “e allora,
chi se ne frega del default!", come fa Cacciari. Altra
cosa è, ovviamente, se parliamo di “default controllato” (che in qualche modo è stato imposto alla Greci, cioè, da un altro punto di vista, di applicazione del “diritto all’insolvenza”. Mi sembra, insomma, che non si possa
sfuggire, marxisti e non, al nodo del “modo di produzione”. E qui entrano in
ballo i “beni comuni”, sempre che li vogliamo considerare come un vettore
strategico della trasformazione e della transizione, alla stessa stregua con cui nell’ortodossia marxista si
consideravano le “forze produttive”, la loro crescita e le contraddizioni conseguenti. L’alternativa mi pare vada formulata in
questi termini: 1) la produzione (o manutenzione) dei beni comuni diventa il
volano della (non)economia venendosi così ad espandere il concetto stesso di
“bene comune”, e dunque sostituendo essi progressivamente quanto risulta
mercificato (il che comporta togliere spazio all’economia di mercato e colpire
la logica dell’accumulazione ecc.); 2) Oppure
i beni comuni sono destinati a rimanere, nella migliore delle ipotesi, una
realtà posta sulla difensiva e residuale. Beni comuni e decrescita dalla
dipendenza dal mercato mi sembrano strettamente legati.
giacomo casarinostoricogenovacontatto skype: gcasarino