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INTERVISTA A MARCO REVELLI
a cura di Tonino Bucci (31 maggio)
ORA È LA DESTRA CHE NON CAPISCE I CAMBIAMENTI DELLA SOCIETÀ
Il giocattolo si è rotto. C'è chi parla di rischio balcanizzazione all'interno del Pdl, chi di rottura del
blocco che aveva tenuto assieme le anime e gli interessi sociali della destra, berlusconismo da un
lato, leghismo dall'altro. Una novità incomprensibile, in primis, alla stessa classe politica del centrodestra,
orami disabituata da anni alla sconfitta. Cosa ha prodotto la fine di un ciclo? Come si
riassesterà l'intero sistema politico italiano? Cosa cambia a sinistra? Lo abbiamo chiesto a Marco
Revelli, storico e sociologo, docente presso l'Università degli studi Piemonte Orientale.
D. Negli ultimi anni la destra ha avuto la convinzione d'essere in simbiosi con la società italiana,
con le sue pulsioni profonde, con la pancia del paese. Pensavamo che fosse un blocco sociale e
invece, ora, ci viene il dubbio che fosse solo un agglomerato di interessi. E' così?
R. Se dovessi sintetizzare quello che è accaduto direi: un'altra Italia è possibile. Questo voto dà un
senso profondo di liberazione e la possibilità di riconciliarsi col proprio paese. Non era scontato.
Un mese fa ero convinto che questa fosse l'ultima spiaggia di riscatto, altrimenti questo paese sarebbe
stato irredimibile. Se, dopo tutte le messe in pubblico dei limiti del berlusconismo, gli italiani
avessero confermato l'egemonia berlusconiana, non ci sarebbe stato più nulla da fare. E invece,
no. Per fortuna è venuta fuori un'altra Italia. Non che sia venuta fuori un'alternativa politica, però è
emerso un altro modello umano, un altro modo di essere italiani che sembrava sconfitto, un'altra
antropologia.
D. Pensavamo che la mutazione antropologica fosse ormai irreversibile ...
R. Sì, che la bolla mediatica del berlusconismo fosse così impenetrabile da funzionare come racconto
per tutti. Ora viene meno un'egemonia. Il berlusconismo non è egemonico né a nord, né a
sud, non tiene in nessuna parte del paese, nella sua culla, Milano, come nel grande ventre del meridione,
Napoli. Chi l'ha sconfitto? Uno stile politico, io credo. Uno stile che viene dal di fuori rispetto
al sistema dei partiti. So di dire una cosa che potrebbe essere inquietante. Alla base della sconfitta
berlusconiana ci sono due vittorie personali, di due candidati che in origine erano creduti
deboli dal sistema dei partiti e che, invece, si sono rivelati fortissimi. Pisapia e De Magistris, fino a
un mese fa, nella società politica bipartisan erano considerati carte deboli. Qualcosa non funziona
nel sistema dei partiti.
D. Questo forse il Pd l'ha capito. A Milano e a Napoli, in origine, aveva fatto altre scelte. O no?
R. Appunto. Dall'ottica del ceto politico nessuno avrebbe scommesso su queste due candidature.
Attenzione, però. Il Pd di Bersani ha dei meriti. Non è il Pd di Veltroni. Le scelte compiute dopo le
primarie di Milano e dopo il primo turno di Napoli non erano affatto scontate. A Napoli l'elettorato
del Pd ha votato De Magistris, nonostante fosse l'antitesi del bassolinismo e della cricca di centrosinistra
che aveva governato la città. Tutto questo va a merito di Bersani. Ha fatto un passo indietro
nell'orgoglio di partito pur di segnare una rottura di stile. Ora nulla potrà essere come prima. Ci
si illuderebbe se si pensasse di tornare a fare il solito gioco del bipolarismo, centrodestra contro
centrosinistra, il primo nella forma dell'alleanza Pdl-Lega, il secondo nella forma dell'Ulivo. Lo stile
di comportamento del centrosinistra non può essere quello degli ultimi quindici anni.
D. Si costruiranno nuove egemonie. E' l'intero sistema politico italiano che dovrà modificarsi, o no?
R. E' il fallimento del progetto Berlusconi-Veltroni, dell'epoca del predellino e del Lingotto. Due agglomerati
di interesse che si presentavano con vocazione egemonica maggioritaria esclusiva.
Questo disegno è stato travolto. A Milano e a Napoli è emersa un'Italia che non ci sta e che relega
gli apparati politici sullo sfondo, non in primo piano.
D. Hanno vinto uno stile politico e un linguaggio diametralmente opposti ai modelli culturali della
destra. Un'antropologia della convivialità contro un'antropologia del rancore, della paura, del disprezzo.
Non è così?
R. A Milano ha vinto un modello umano, quello stile con cui Pisapia ha risposto alle ondate rancorose
del centrodestra, alle grida sguaiate, alla retorica della paura, alla discriminazione, alla zingaropoli.
Che era stato, però, lo stile vincente della destra, fino a ieri trionfante nel saper mettere a
valore la paura e l'invidia sociale. La destra ha giocato i cattivi sentimenti come macchina del consenso.
Pisapia ha risposto con sorriso e ironia. A me è piaciuto molto il rapporto fraterno tra Pisapia
e Stefano Boeri dopo essersi contesi la candidatura alle primarie. E' una novità a sinistra. Però
aggiungiamo anche un'altra riflessione, sennò sembra tutto giocato sulle sovrastrutture
D. Si sono disarticolati i blocchi sociali?
R. E' successo qualcosa anche nella struttura di questo paese. Il voto di Milano si può leggere anche
attraverso alcune trasformazioni profonde nel sistema delle relazioni produttive. E' vero, è esploso
il blocco sociale di centrodestra. Non so nemmeno se fosse un blocco, sicuramente era un
aggregato che raccoglieva la grande crisi della figura del produttore. Il centrodestra rappresentava
gli ex-produttori nella veste di consumatori, metteva assieme un pezzo di ex-classe operaia in crisi
di identità con un reticolo di nuove figure del lavoro apparentemente autonomo, in realtà eterodiretto
e con un pezzo di rendita. A questo blocco il centrosinistra rispondeva con il nulla sociale, si
limitava alla rappresentanza della Lega delle cooperative, di una parte di capitale investito nell'edilizia,
di alcuni settori alti della finanza. Che a Milano il baricentro si sia spostato così nettamente,
rivela che qualcosa è cambiato nella rete delle nuove professioni, ad esempio nel mondo dei lavoratori
della conoscenza, quelli che Sergio Bologna chiama il lavoro autonomo di seconda generazione.
O nelle partite Iva, nel precariato, nei lavori d alta composizione tecnica e scientifica ma pagati
con salari da povertà. E, ancora, tra i laureati in legge che lavorano negli studi di avvocati con
partita Iva o tra i giovani architetti che lavorano come co.co.pro. Sono parti di composizione di
classe di modernissima formazione. Qui qualcosa è successo. Questo mondo non sta più ai margini
ma è diventato maturo, anche dal punto di vista anagrafico, e che non si lascia incantare dalla
propaganda su zingaropoli. Può andare bene per il sottoproletariato rancoroso, ma a Milano la
composizione sociale è un'altra, molto più avanzata di quanto Bossi non creda. Se a quei ceti metropolitani
gli parli di invasione musulmana si fanno una risata.
da lavoriincorso 234 periodico in rete a cura di Puntorosso