On 4/1/11 8:01 PM, billie wrote: > forse il punto sta nella tua idea di cosa sia ricerca pura:
> ti immagini un filosofo sdraiato a fuamre la pipa e pensare a "come
> sarebbe il mondo se fosse blu..".
Mavà, ho diversi amici nel mondo della Matematica dove il divario fra
ricerca pura e applicata è netto.
Il mondo accademico della matematica italiana è orientato alla ricerca
pura e snobba, quasi con schifo, il mondo della ricerca applicata.
Conosco un professore che si occupa di crittografia (ricerca applicata)
che è stato all'estero per molto tempo, avendo budget, un ampio staff,
ottimi risultati di collaborazione con l'industria.
Tornato in italia con i programmi di rientro dei cervelli si è trovato
nella paradossale situazione di essere considerato in modo negativo
"quasi un ingegnere" perchè si occupa di ricerca applicata che invece
all'estero era proprio ciò che gli ha fatto fare carriera.
Il matematico accademico italiano medio snobba la ricerca applicata in
favore di quella pura (quella applicata viene considerata quasi "sporca").
E' questo l'approccio sbagliato, guardare solo alla "SCIENZA" nella
accezione più pura e puntare a tutelare al massimo la "Ricerca Pura".
Ma il problema è che oggi c'è:
- *troppa ricerca non-produttiva*
e
- *troppo poca ricerca produttiva* .
Quindi nessuno dice "bisogna uccidere filosofia" ma certamente bisogna
meglio equilibrare il bilancimento fra ricerca che produce qualcosa di
utile e tangibile alla società che gli sta' attorno rispetto alla
attività che guarda al lungo periodo e/o che rientrano in una crescità
culturale.
Per ogni "ora uomo" lavorata devi domandarti:
- Quanto valore aggiunto ho prodotto per la società che mi circonda
- Quanti altri beneficieranno realmente del valore aggiunto creato
- Quanto è il rapporto valore aggiunto creato per costo ora uomo
In realazione anche a questi parametri puoi renderti conto in modo
ogettivo come possa essere meglio bilanciare il mix fra:
- Attività che produce poco
- Attività che produce molto
La produzione "culturale" o "filosofica" o di "ricerca pura di lungo
periodo" produce comunque valore aggiunto, ma bisogna sempre dargli un
peso, un numero, un indicatore.
Perchè chi deve decidere per il bene del sistema non è una persona che
si muove sul sentimento ma se è un manager sensato si muove sulla base
di numeri, di KPI (key performance indicator) che gli danno una visione
del "Sistema università" sia macro che micro.
Solo in seguito, in funzione di ogettivi sbilanciamenti a favore o
sfavore di una area, ci si ri-organizza.
Tutto ciò non ha nulla a che vedere con l'ideologia o una visione
romantica della scienza o industriale della ricerca, ma con un approccio
pragmatico necessario a ribilanciare anni e anni di clientele che hanno
distrutto la capacità produttiva dell'università italiana.
E ora chi è parte della clientela vuole mantenere lo status quo, a danno
del sistema.
Ciò è male.
Ma ogni cambiamento per variare gli "equilibri" di un sistema toglie
qualcosa a qualcuno per dare qualcosa a qualcun'altro e quindi ci sarà
sempre qualcuno che non sarà felice.
Fabio
(p.s. parto fra poche ore x area araba e torno mercoledì)