Scritto da Marco Lillo -
Gli accertamenti della Procura di Palermo su un diplomatico israeliano
Un cittadino israeliano che è stato per anni il nostro console  
onorario in Israele. Si chiama Moshe Gross e, secondo una pista  
seguita dagli investigatori palermitani sulla base delle indicazioni  
di Massimo Ciancimino, potrebbe essere lui l’ormai celebre signor  
Franco-Carlo evocato in tanti verbali come cerniera della trattativa  
Stato mafia. Nel lungo racconto costellato di pizzini e lettere,  
Massimo Ciancimino un mese fa, ha inserito questo nome straniero: FC  
Gross.
Ciancimino jr
Il cognome, preceduto dalle iniziali di Franco Carlo, compare in un  
foglio contenente 12 personaggi importanti del mondo investigativo e  
politico come il deceduto questore Arnaldo La Barbera; l’ex numero tre  
del servizio segreto Bruno Contrada, il generale dei carabinieri  
Delfino; il funzionario dei servizi segreti Lorenzo Narracci e altri  
funzionari che sono stati a vario titolo sospettati di avere svolto un  
ruolo oscuro nelle indagini degli ultimi decenni. L’elenco è contenuto  
in una lettera che Massimo Ciancimino sostiene sia stata scritta e  
spedita dal padre a sé stesso nei primi anni novanta per darle data  
certa. La lettera è soggetta a verifica da parte della Polizia  
scientifica. Accanto al nome di Gross c’è una freccia verso “De  
Gennaro” che, alla luce degli altri nomi di investigatori, potrebbe  
essere il capo del Dis, già numero uno della Polizia. Un nome che  
sembra avere poco a che fare con gli altri presenti nell’elenco. I  
primi in lista sono Franco Restivo e Attilio Ruffini, i due ex  
ministri Dc che – secondo Massimo Ciancimino avrebbero tenuto rapporti  
con don Vito. In particolare sarebbe stato proprio Restivo a  
presentare il signor Franco-Carlo al mafioso. L’uomo misterioso  
avrebbe fatto da ponte tra mafia, servizi segreti (non solo italiani)  
e politici della Dc andando più volte a casa dell’ex sindaco di  
Palermo. Non solo: il signor Franco avrebbe partecipato alla  
trattativa, portando fisicamente il papello con le richieste di Riina  
a Palermo e consigliando Vito Ciancimino durante gli incontri con il  
colonnello Mario Mori del Ros dei Carabinieri.
Proprio il ruolo delicatissimo del signor “Franco Gross” sembra  
stridere con la nazionalità israeliana di mister Moshe Gross. Eppure  
gli investigatori, sulla base delle indicazioni di Ciancimino jr che  
sostiene di averlo visto uscire dall’ambasciata americana presso la  
Santa sede, ritengono non del tutto infondata la pista israeliana. Nei  
giorni scorsi la Procura di Palermo ha disposto accertamenti presso il  
ministero degli esteri per comprendere meglio la figura di Moshe Gross.
La Farnesina
Ebreo di origine rumena, ha vissuto per venti anni a Milano  
commerciando in diamanti insieme alla moglie. Oggi ha 84 anni e vive  
in una bella strada del centro della capitale israeliana in un palazzo  
di otto piani presidiato da un guardiano in una delle zone di pregio  
della città, a due passi da piazza Rabin e dal museo di Tel Aviv. Dal  
1994 al 1996 è stato console onorario ad Haifa e gli è succeduto il  
figlio, Carlo Gross, tuttora in carica. Nella cittadina di Nahariya,  
vicino al confine con il Libano, colpita duramente nella recente  
guerra con gli Hezbollah, i Gross possedevano un albergo da tre  
generazioni: l’hotel Carlton, venduto nel 2005 a un businessman  
newyorkese. Abbaglio o giallo internazionale? Gli investigatori si  
rigirano tra le mani i dati di mister Gross nervosamente e non sanno  
sciogliere il dubbio.
Se Moshe Gross fosse davvero il signor Franco, la storia della  
trattativa tra Stato e mafia del 1992, e anche i rapporti tra i boss e  
la Dc nella prima repubblica, andrebbero riscritti in una chiave  
atlantica. Massimo Ciancimino nel libro “Don Vito”, scritto insieme a  
Francesco La Licata per Feltrinelli scrive che per la sua famiglia:  
“la svolta sarebbe arrivata con lo sbarco degli americani, quando a  
mio nonno fu offerto il ruolo di interprete del comando alleato. Solo  
interprete?”. Ciancimino junior ricorda nel libro gli appunti del  
padre su Gladio, l’organizzazione segreta che doveva intervenire in  
caso di presa del potere da parte delle sinistre e la lega al ruolo  
del mitico signor Franco. La Procura di Palermo si muove con cautela  
ma analizza la biografia di Moshe Gross con molta attenzione. Nato in  
Romania a Medias, in Transilvania nel 1926, con l’occupazione russa  
emigra in Israele nel 1947, passando per Cipro. Combatte per il suo  
paese e nel 1955 incontra una turista belga, di famiglia polacca che  
commercia in diamanti. Si sposano e vanno a tentar fortuna in Italia.  
Nel 1960 nasce Carlo e intanto il padre di Moshe compra il Carlton di  
Nahariya. “Dal 1978, quando muore il nonno”, spiega Carlo Gross, “mio  
padre si sgancia dall’Italia e si occupa dell’albergo”.
“Non è lui”
Nel 1982 però Moshe Gross compra un appartamento al 48 di via Beatrice  
D’Este a Milano. Lo vende solo nel 2008. “In trenta anni non l’ho mai  
visto”, racconta l’avvocato Gianluca Conci, che abita al sesto piano,  
“c’era solo una donna che si occupava della manutenzione”. Quando si  
chiede a Carlo Gross se papà Moshe è davvero l’uomo della trattativa  
Stato-mafia, lui risponde sorpreso: “Chi è Ciancimino?”. Il console  
non sa nemmeno chi è Michele Santoro né Mario Mori e sembra  
convincente quando dice: “ho vissuto in Italia fino all’età di 14 anni  
e non leggo i giornali italiani, non sono mai stato in Sicilia. Mio  
padre non c’entra niente con la mafia e non ho mai visto un politico o  
un poliziotto a casa nostra. A Milano faceva il commerciante di  
diamanti e in Israele l’albergatore non ha niente a che fare con i  
servizi segreti”. Inutile chiedere di parlare direttamente con Moshe  
Gross: “ha subito un’operazione al cuore. La mia famiglia sta vivendo  
un momento difficile. A 84 anni non penso sia il caso di porgli  
domande simili”. Una richiesta che rispettiamo.
scritto daMarco Lillo -
Mandanti occulti, i pm di Firenze verso la svolta
Il Possibile coinvolgimento di big della politica. E Dell'Utri si  
affida all'avvocato Coppi
La Procura di Firenze apre un’inchiesta sulla fuga di notizie relative  
alle indagini sulle stragi e si intensificano le voci su possibili  
sviluppi dell’inchiesta sui mandanti occulti della stagione eversiva  
del ’93. Ad allarmare i pm i contenuti di un articolo nel quale si  
riferiva di accertamenti sulla contemporanea presenza a Roma, nei  
giorni precedenti il fallito attentato allo stadio Olimpico del  
gennaio 1994, di Marcello Dell’Utri e dei boss Giuseppe e Filippo  
Graviano, che in quel periodo erano latitanti (furono arrestati pochi  
giorni dopo, il 27 gennaio, a Milano) e circolavano con documenti  
intestati ai prestanome Salvatore Spataro e Filippo Mango. Così,  
mentre i riflettori della cronaca sono accesi sulle stragi del ’92 con  
le audizioni appena concluse in Antimafia dei pm di Palermo e  
Caltanissetta (che smentiscono fantasiose ricostruzioni su una doppia  
autobomba piazzata anche in via Cilea, l’abitazione di Borsellino) i  
magistrati di Firenze avrebbero già compiuto numerosi passi avanti  
nella ricostruzione della dinamica e del contesto delle stragi di  
Roma, Milano e Firenze del ’93.
La variante Spatuzza
Grazie alle dichiarazioni di Spatuzza, il pentito che divide i  
magistrati delle tre procure, che credono alle sue parole e la  
commissione centrale costituita presso il ministero dell’Interno, che  
gli ha negato l’ammissione al programma di protezione. Le indagini  
sono rigorosamente top secret e nulla trapela dai corridoi del Palazzo  
di Giustizia di Firenze su un’inchiesta che più blindata di com’è non  
potrebbe essere, ma i sussurri che filtrano dagli addetti ai lavori  
lasciano intendere sviluppi significativi, quantomeno nella  
ricostruzione di una verità storica sul versante dei mandanti occulti  
oltre il recente coinvolgimento del boss Francesco Tagliavia, colpito  
da provvedimento cautelare per la strage dopo le dichiarazioni di  
Spatuzza. Che ha chiamato in causa, come mandanti, Berlusconi e  
Dell’Utri. E i pm fiorentini sono partiti proprio dalle acquisizioni  
della vecchia inchiesta sulle stragi condotta, tra gli altri, dal pm  
Gabriele Chelazzi, che accertò i rapporti, durante la stagione  
stragista, tra Berlusconi, Dell’Utri e i boss “la cui durata e la cui  
natura non ha mai cessato di dimensionarsi – hanno scritto i  
magistrati – almeno in parte, sulle esigenze di Cosa Nostra’’.
Il colore dei soldi
Sullo sfondo, affiora, come in dissolvenza, il movente politico della  
trattativa che vede scettici i familiari delle vittime di via dei  
Georgofili: un “movente non certo politico di scontro fra rosso e nero  
– sostiene Giovanna Maggiani Chelli, vicepresidente dell’associazione  
– ma molto affaristico e i soldi come si sa colore non ne hanno”. I  
sussurri provenienti da Firenze alimentano, forse, le preoccupazioni  
del senatore Dell’Utri, che dopo avere incassato una condanna a sette  
anni (ma solo fino al ’92) per concorso esterno in associazione  
mafiosa, e la sospensione del processo per calunnia nei confronti del  
pentiti per “legittimo sospetto’’ (sull’istanza deciderà la  
Cassazione) ha scelto di cambiare avvocato affidandosi a Franco Coppi.  
Già difensore di Francesco Cossiga, dell’ex governatore della Banca  
d’Italia Antonio Fazio, dell’ex capo della polizia Gianni De Gennaro,  
ma soprattutto di Andreotti, anch’egli, come Dell’Utri, giudicato in  
rapporti con la mafia “a tempo”, nel suo caso fino al 1980.
Giuseppe Lo Bianco -
Fonte: 
http://www.19luglio1992.com/index.php?option=com_content&view=article&id=3133%3Astragi-servizi-e-trattativa-il-signor-franco-e-un-console&catid=20%3Aaltri-documenti&Itemid=43
Marcantonio Lunardi
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Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e
  conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente
limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati
di un sol passo.
(da Considerazioni filosofiche sul fantasma divino, il mondo reale e
l'uomo)

