[RSF] Clamori dalla Colombia

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20/06 - NUOVO SCANDALO IN COLOMBIA: SANTOS AZIONISTA DELL'IMPRESA CHE
GESTISCE LA LOGISTICA ELETTORALE!
Diversi settori hanno denunciato pubblicamente che il candidato
presidenziale del partito della U, ed ex ministro della guerra sotto
Uribe, Juan Manuel Santos, è azionista della ditta incaricata della
logistica alle elezioni colombiane, la Unión Temporal Disproel
(UTD).

La UTD, che ha ottenuto dal Registro Nazionale dello Stato Civile
(RNEC, l'istituzione organizzatrice delle elezioni in Colombia),
l'appalto per la distribuzione di formulari e kit elettorali, e della
gestione logistica delle schede, è formata da un consorzio di
imprese, alcune delle quali direttamente relazionate a Santos.

La UTD prepara sia le schede di prova sia quelle che si utilizzano
effettivamente nelle elezioni, i kit elettorali, trasporta il
complesso delle schede ai diversi municipi e ai seggi elettorali,
raccoglie i formulari nonché le schede stesse dopo le elezioni;
controlla dunque la logistica dell'intero processo delle votazioni.

Stando ai documenti presentati a sostegno della denuncia, il
guerrafondaio candidato uribista dal 2002 al 2006 ha addirittura
preso parte al consiglio di amministrazione di quattro di tali
imprese, in qualità di azionista.

Dunque il narco-stato colombiano, attraverso il RNEC, ha appaltato la
gestione delle elezioni ad una impresa nella quale il candidato
strafavorito alle stesse elezioni è stato parte della giunta
direttiva!

Ciò si aggiunge a quanto manifestato dalla Missione di Monitoraggio
Elettorale, che ha denunciato la compravendita di voti, le estorsioni
ai danni della popolazione civile da parte dei gruppi paramilitari e
svariate forme di ricatto, il tutto a vantaggio di Santos.

L'intero sistema elettorale è corrotto fino al midollo, e i
risultati di tali elezioni sono totalmente delegittimati; si tratta
di un processo farsa, i cui esiti sono stati decisi a Washington,
nelle cui mani la Colombia , più che un fedele alleato, è un
semplice burattino: a tutto vantaggio del Pentagono, delle
multinazionali e dell'oligarchia compradora.

23/06 - MONCAYO: URIBE MI HA INSULTATO E UMILIATO QUANDO LAVORAVO PER
LA LIBERAZIONE DI MIO FIGLIO
Il professor Gustavo Moncayo, padre del caporale Pablo Emilio
Moncayo, recentemente liberato dalle FARC come gesto unilaterale per
facilitare l'apertura di un negoziato per l'interscambio umanitario
di prigionieri di guerra, ha dichiarato di essere stato pubblicamente
umiliato da Uribe quando cercava soluzioni per poter liberare suo
figlio.

Il professore, nel giugno del 2007, aveva iniziato una marcia di
centinaia di chilometri, con destinazione Bogotá, per sensibilizzare
l'opinione pubblica nazionale e internazionale sul tema.

“Ho marciato con l'illusione di arrivare a Bogotá e di sentirmi
dire dal governo: bene, professore, facciamo un interscambio
umanitario. Niente. Al contrario, sono stato umiliato proprio da
Uribe in piazza Bolívar. Il mondo ne è stato testimone”.

Il 18 giugno scorso, lontano dai centri del potere da dove spesso è
stato insultato dai narcogovernanti colombiani, primo fra tutti il
mafioso Uribe, il professor Moncayo ha dichiarato:

“Nella campagna elettorale appena terminata non c'è stato un solo
candidato impegnato per la pace in Colombia. Credo che nessuno di
loro conosca da vicino il dramma degli sfollati, che nessuno abbia
sentito sulla propria pelle il dolore dei familiari degli scomparsi,
dei massacrati, di quelli che sono stati cacciati forzosamente dalle
loro terre dai paramilitari per diventare cibo per coccodrilli”.

“Ora mio figlio è libero”, ha proseguito, “ma continuo ad
insistere sull'urgenza non solo di un accordo con le organizzazioni
armate, ma anche di soluzioni ai problemi di sanità, educazione,
casa”.

“In questo iter”, ha concluso il professore, “ho conosciuto
molte altre vittime, sfollati, familiari di desaparecidos,
disoccupati. Senza essermelo proposto, mi sono trovato immerso in una
problematica sociale molto più grande. Ci sono molti drammi che hanno
toccato le mie fibre. Ora sono il risultato di tutto questo. Perciò
sono convinto che occorre cercare l'uscita dal conflitto attraverso
la negoziazione, non la guerra”.

La politica guerrafondaia di Uribe non ha prodotto alcun risultato,
se non un aumento generalizzato del conflitto; d'altronde, senza
rimuovere le cause sociali, politiche ed economiche che originano ed
alimentano la guerra civile in Colombia, non sarà possibile ottenere
una vera e duratura pace.

Se il successore di Uribe, come ampiamente prevedibile, non porrà le
basi per un accordo umanitario, passaggio propedeutico indispensabile
(benché non sufficiente) alla risoluzione del conflitto sociale ed
armato, la pace resterà una chimera.

27/06 - GIUDICE MINACCIATA DI MORTE PER AVER EMESSO UNA SENTENZA
CONTRO COLONNELLO
Con la prima sentenza a distanza di 25 anni dai fatti, la giudice
Maria Stella Jara ha condannato a 30 anni di reclusione il colonnello
Alfonso Plazas Vega, che nel 1985 aveva diretto il blitz militare
contro la guerriglia del M-19 (Movimento 19 aprile) nel Palazzo della
Corte Suprema di Giustizia a Bogotá, e che è stato riconosciuto come
il responsabile della ‘sparizione forzata e aggravata’ di 11
persone.

A tutt'oggi, infatti, si ignora la sorte degli 11 guerriglieri
sopravvissuti all'attacco (costato la vita anche ai sequestrati ed ai
lavoratori della Corte) e visti uscire vivi dal Palazzo da alcuni
testimoni.

Un caso emblematico per la storia giuridica del paese, che vede tra
gli indagati l’intera cupola militare e della polizia di allora.

Nel corso degli anni la funzionaria è stata osteggiata nel suo
lavoro dagli stessi apparati del regime colombiano. Dopo la pubblica
lettura della sentenza le intimidazioni, arrivatele a partire dallo
scorso anno ed intensificatesi all’inizio del 2010, hanno lasciato
il posto a vere e proprie minacce di morte; la giudice ha infatti
rivelato di aver ricevuto due biglietti in cui vengono espresse le
condoglianze per la scomparsa sua e della sua famiglia.

Maria Stella Jara, madre di un figlio, ha sottolineato che la stessa
polizia ammette che ci sono rischi elevati di un attentato: ha
inoltre denunciato la latitanza dell'esecutivo rispetto alla sua
situazione, e per questo motivo ha dovuto rivolgersi alla Commissione
Interamericana dei Diritti Umani (CIDH), che lo scorso giovedì 10
giugno ha sollecitato il governo colombiano affinché “adotti tutte
le misure necessarie a garantire la vita e l’integrità personale”
della giudice.

In occasione del pronunciamento contro il congedato colonnello
Plazas, il narcopresidente Uribe, accompagnato dal ministro della
Difesa Gabriel Silva e dagli alti comandi militari, ha dichiarato che
la sentenza “genera profondo dolore e mancanza di stimoli alle
reclute delle Forze Armate che hanno il compito di dare sicurezza ai
colombiani”.

A quale sicurezza si riferisce il narco-presidente uscente? Certo non
a quella dei milioni di sfollati o disoccupati, o dei sindacalisti,
dei leader popolari, indigeni, studenteschi o contadini sterminati
dai paramilitari e dalle stesse Forze Armate che oggi fanno quadrato
intorno a Plazas Vega.

Uribe difende pubblicamente i suoi complici, salvo scaricarli quando
diventano pericolosi per la sua impunità. Ma si avvicina il giorno
in cui dovrà pagare per i suoi crimini di lesa umanità.

01/07 - PROSEGUE L'INGIUSTA DETENZIONE DELL'ATTIVISTA CARMELO AGÁMEZ
BERRIO
Dopo l'ingiusto arresto del 15 novembre 2008 Carmelo Agámez Berrio,
segretario del MOVICE (Movimento Vittime dei Crimini di Stato) rimane
in carcere nonostante non esistano prove concrete a suo carico.

Carmelo Agámez Berrio è uno dei pochi sopravvissuti al genocidio
perpetrato nei confronti della Unión Patriótica, il movimento
politico di opposizione sterminato da esercito e narco-paramilitari
tra gli anni’80 e ‘90.

Nel corso della sua vita ha subito minacce e detenzioni, che lo hanno
portato a dover vivere in esilio per diversi anni; nel 2006 la
Commissione Interamericana per i Diritti Umani (CIDH) ha sancito nei
suoi confronti alcune misure di protezione personale, per via delle
costanti minacce di cui è stato vittima.

Il 13 novembre del 2008, in piena notte, cinque uomini in borghese,
qualificatisi come poliziotti, sono entrati violentemente
nell'abitazione dell'attivista senza nessun mandato della
magistratura; i sedicenti poliziotti hanno effettuato una
perquisizione senza riscontrare nulla e senza rinvenire Carmelo, che
si trovava fuori casa.

Due giorni dopo Agámez si presentò alla procura di Sincelejo
accompagnato dal suo avvocato; un magistrato lo interrogò per alcune
ore e ne dispose l’arresto, nonostante si fosse presentato
spontaneamente alla procura.

Attualmente, il difensore dei diritti umani si trova in carcere con
l' accusa assurda di appartenenza a gruppi paramilitari, ovvero quei
gruppi che lui ha costantemente denunciato e dai quali è stato
dichiarato obiettivo militare.

Nei primi di giugno alcuni integranti del MOVICE sono riusciti ad
avere l'autorizzazione per fargli visita in carcere e constatare la
sua reale situazione, che ha dichiarato che la magistratura ancora
non ha preso in considerazione il ricorso contro la carcerazione
presentato dal suo avvocato oltre un anno fa; ha inoltre denunciato
le costanti difficoltà che incontra per accedere alle cure mediche,
a causa del duro regime carcerario cui è sottoposto.

Alla domanda su quale sia la situazione in cui vivono attualmente gli
integranti del MOVICE, Agámez ha risposto testualmente “Ci restano
principalmente tre possibilità: o ci uccidono, o ci arrestano, o ci
sfollano”.

Ha inoltre chiarito la strategia del regime, che punta a limitare il
lavoro di ricerca della verità e denuncia del MOVICE con l'obiettivo
di confondere le acque e criminalizzare le vittime. Infine,
l'attivista ha ricordato che con questo sistema è stato ucciso lo
scorso 18 maggio un altro difensore dei diritti umani, Rogelio
Martínez Mercado, che era stato descritto come un integrante del
paramilitarismo.

Il quadro descritto da Agámez è chiarissimo: il narcoregime
colombiano porta avanti la sua azione sistematica per zittire le voci
di denuncia degli attivisti delle organizzazioni popolari e di difesa
dei diritti umani; e quando non arriva la violenza istituzionale, ci
pensano le squadracce paramilitari a finire il lavoro.



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