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Agosto 2009.
Abbiamo preso possesso – occupandola – della casa situata in Salita
Aldo Li Gobbi 11. Una delle tante case lasciate all’incuria in nome
delle
speculazione: ce ne siamo appropriati e non intendiamo restituirla.
In sostanza, abbiamo deciso di saltare il recinto del diritto, un
recinto di filo spinato atto a mantenere al proprio esterno fasce
sempre più ampie di
popolazione condannate allo stento, alla costante umiliazione, a crepare.
Tranquillizziamo i politici di sinistra: non siamo qui per rivendicare diritti.
Non abbiamo intenzione di elemosinare nulla a questo sistema infame ed
ai suoi rappresentanti, non chiediamo alcun diritto a coloro che col
Diritto
esercitano la tirannia, non intendiamo trattare con un potere che,
ormai dovrebbe essere per tutti evidente, si regge sull’esclusione,
sul ricatto e sulla
violenza. Quello di cui abbiamo bisogno o pensiamo possa essere
d’aiuto alla nostra causa ce lo prendiamo.
Dal momento che volenti o nolenti di questa occupazione se ne parlerà,
tanto vale che incominciamo noi col presentarci. Che almeno le idee,
le posizioni
gli accordi ed i disaccordi per quello che riguardano le nostre scelte
si formino ed avvengano su basi chiare.
Abbiamo occupato perché ci serve un posto dove vivere.
La politica e l’economia hanno distrutto ogni residuo di vita comune,
e con essa hanno fatto scordare i principi di solidarietà e mutuo
appoggio.
Gli uomini e le donne sono stati ammassati l’uno vicino all’altro in
quartieri dormitorio dove regnano sovrani l’alienazione e
l’isolamento: si vive fianco a
fianco senza conoscersi, senza parlarsi, senza capirsi. Dopo aver
perso la conoscenza dei luoghi e delle persone intorno a noi, ora, lo
spauracchio che
il potere ama chiamare crisi e il generale impoverimento delle classi
subalterne ci portano a rinunciare anche al senso ed al concetto di
dimora.
Non solo ammassati ed isolati nei quartieri ma anche nell’intimità
della casa. Di fatto, i prezzi imposti dalla speculazione, costringono
sempre pi
persone a condividere per forza spazi sempre più ristretti,
appartamenti sempre più piccoli, in nome della necessità di
suddividere i costi d’affitto e di
gestione divenuti sempre più insostenibili.
Non si sta parlando di scelta o di risparmio ma del tentativo di
cancellare lo spazio vitale, di negare ogni ritaglio di solitudine
(non quella dell’alienazion
ma quella del pensiero e della riflessione), dell’impossibilità, per
molti, di scegliere con chi condividere l’intimità. In sintesi si
tratta di strappare un altro
pezzo dagli spiriti già martoriati degli uomini, un altro passo verso
la dis-umanizzazione degli individui.
Non staremo qui ad agitare lo spettro della miseria o a far leva sugli
ipocriti “buoni sentimenti” verso chi non ha un tetto. Preferiamo dire
che è l’ora di
organizzarsi, di riscoprire la solidarietà, di agire. Che è l’ora di
ricominciare a strappare dalle mani dei politici e degli sfruttatori
ciò di cui abbiamo
bisogno: che sia il cibo, la casa, i vestiti, il denaro. Insomma ciò
che ci serve.
Non abbiamo preso la casa di un povero, abbiamo preso una casa di
proprietà municipale, nello specifico dell’ASP Istituto Emanuele
Brignole, ch
fino all’anno scorso risultava possederne 205, di immobili, molti dei
quali inutilizzati e abbandonati da tempo, come questo. Ce la siamo
“restituita”.
Non possiamo che sperare che la pratica della riappropriazione delle
case ed il mutuo appoggio fra sfruttati si estendano e riprendano ad
essere
minaccia per il regime e punto di partenza per il rovesciamento della società.
Abbiamo occupato perché ci serve un posto dove discutere, incontrare
ed incontrarci, lottare.
Vogliamo che un pezzo della nostra casa sia un luogo aperto. Uno
spazio in cui lo scontro e l’incontro possano essere contributo per
affinare la critica
pratica e teorica contro il regime e contro ogni autorità ed oppressione.
Ci auguriamo che questo pezzo di dimora venga vissuta come dimora di
tutti gli amanti della libertà e come laboratorio di lotta in cui
cominciare a
sovvertire i rapporti che ci vengono imposti.
Per amore di chiarezza sottolineiamo che lo spazio che abbiamo scelto
di riprenderci non è un centro sociale, né un pub, né una sala
concerti, né tant
meno un albergo. È casa nostra con in più – separatamente - uno spazio
adibito al confronto ed alla discussione aperto e che vorremmo
condiviso. Al
suo interno non si effettuano commerci di alcun tipo (al di fuori
della distribuzione di materiale informativo e culturale), non vi è
alcuna somministrazione
di bevande e – lo vogliamo sottolineare – non vi entrano né
gratuitamente né a pagamento droghe di alcun tipo: rifiutiamo e
ricacciamo al potere i suo
strumenti di controllo, distruzione e coercizione.
Vorremmo che ogni iniziativa promossa o proposta fosse discussa
orizzontalmente, fra pari, senza nessun tipo di mediazione. Invitiamo
i nemici dell’autorità
e gli arrabbiati genovesi a quello che speriamo un proficuo confronto
ed una reciproca
crescita. Con la stessa determinazione invitiamo i giornalisti, i
politicanti d’ogni colore,
le autorità, a tenersi alla larga: come abbiamo detto non c’è nessun
confronto possibile
con i sostenitori di questo regime. L’unico dialogo concepibile è
quello fra oppressi, fra
pari, senza mediazioni. Per quello che riguarda il potere, i suoi
politici ed i suoi speculatori,
non si può far altro che rispondere alla guerra che costoro hanno
dichiarato alle classi
povere con il coraggio e la determinazione, con la solidarietà fra
oppressi e l’azione.
Senza fare, né pretendere, alcuna concessione.
Al “vicinato”
Perdonerete certo se siamo stati un po’ bruschi in questa parziale
presentazione d’intenti
ma, lo ribadiamo, preferiamo la chiarezza alla confusione (già tanto
alimentata dai media)
e all’ipocrisia.
Nessuno qui ha la pretesa che le nostre pratiche vengano a priori
condivise: quello che
vorremmo è comunque una conoscenza ed un incontro che avvengano
direttamente, senza
intermediari e senza pregiudizi.
Non abbiamo intenzione di turbare la sopravvivenza di nessuno dunque
che non si tema
per dicerie e sciocchezze: non vorremmo affrontare incomprensioni su
presupposti fasulli
e che non hanno ragion di esistere.
Siamo disposti a batterci per ciò che sono i nostri intenti ed i
nostri princìpi così come
siamo disposti ad incontrarci e discutere serenamente su quelli che
possono essere gli
eventuali problemi legati alla quotidianità, alle differenze, ai
bisogni reciproci.
Vorremmo contrapporre a ciò che sono state la “democratizzazione” e la
delegazione
dei rapporti (e dunque la falsificazione degli stessi) l’autenticità e
l’onestà intellettuale.
Il primo passo, come giusto, spettava a noi...
Attendiamo critiche, consigli, dibattiti e diverbi. Attendiamo di
demolire il vecchio per
costruire il nuovo.
Distinti saluti
Alcuni Anarchici e Libertari a Genova
Per contatti: lasfrontata@???