Migranti e migrazioni dentro la crisi globale - Il nuovo scenario 
dell'immigrazione
/Intervista a Sandro Mezzadra, docente presso la Facoltà di Scienze 
Politiche dell'Università di Bologna, autore di innumerevoli saggi, tra 
i quali "Diritto di Fuga" e promotore della rete UniNomade
/Intervista a cura di Nicola Grigion, Progetto Melting Pot Europa
http://www.meltingpot.org/articolo13626.html
Lo scenario di crisi globale che stiamo attraversando non manca e non 
mancherà in futuro di avere pesanti ripercussioni anche per quanto 
riguarda la vita dei migranti e più in generale sui fenomeni migratori. 
Per cercare di approfondire le striature di questo scenario inedito 
abbiamo intervistato *Sandro Mezzadra, esperto in studi post-coloniali, 
docente presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di 
Bologna e promotore della rete UniNomade.*
/*D:* Si discute di crisi economica ed a catena emergono nuovi ed 
inediti scenari anche per quanto riguarda l'immigrazione. Intanto, 
possiamo dire che quello della crisi è uno scenario di grande 
riscrittura delle regole, non solo quelle della finanza? E che proprio 
questo è anche uno scenario estremamente aperto e potenzialmente molto 
ricco?/
*R:* E' senz'altro così. Il fatto che la crisi abbia una profondità e 
un'intensità tali da investire il sistema economico nel suo insieme è 
ormai ampiamente riconosciuto. Chi si era illuso che la crisi potesse 
essere circoscritta ai mercati finanziari ha dovuto ricredersi.
Come abbiamo sostenuto fin dall'inizio del resto, la stessa distinzione 
tra finanza ed "economia reale" è ormai insostenibile, considerato che i 
processi di finanziarizzazione sono assolutamente pervasivi nel 
capitalismo contemporaneo, ridisegnano completamente i rapporti tra 
profitti, rendita e salari, esercitano il comando sull'economia nel suo 
complesso. Il che significa lo esercitano sulla vita delle donne e degli 
uomini che abitano il pianeta.
Che si sia di fronte a uno scenario dominato da un'esigenza di 
"riscrittura delle regole" è evidente. E queste regole non riguarderanno 
soltanto la finanza: il vertice G20 di Washington dello scorso fine 
settimana lo ha in qualche modo chiarito, nonostante il suo sostanziale 
fallimento. Non è stata una nuova Bretton Woods, certo. Nei fatti però, 
come molti hanno notato, ha sancito la fine del ruolo del G7-G8 che 
abbiamo conosciuto negli ultimi decenni: una trasformazione gigantesca, 
imposta dalla crisi e consumatasi nel giro di pochi giorni.
Le "nuove regole" che verranno scritte nei prossimi mesi, evidentemente, 
non riguarderanno soltanto i mercati finanziari e non potranno che avere 
un impatto anche sui regimi di controllo delle migrazioni. E' difficile 
fare ipotesi precise, soprattutto nel breve spazio di un'intervista, 
sulla natura di questo impatto. Ma è certo che la fase che si apre, 
oltre a presentare grandi rischi, è come tu dici una fase aperta e ricca 
di opportunità. Sarà senz'altro una fase duramente (e noi auspichiamo 
positivamente) conflittuale: molto dipenderà, per quel che riguarda gli 
esiti, dallo sviluppo, dalla direzione e dalla maturità di questi conflitti.
/*D:* Nell'ambito della discussione sul'approvazione del/ Ddl n.733 
<
http://www.meltingpot.org/articolo13609.html>, /l'ultimo tassello del 
pacchetto sicurezza, la lega Nord ha proposto, lo stop degli ingressi 
autorizzati (i flussi) per i prossimi due anni. Noi sappiamo che ciò 
significa lo stop della regolarizzazione di chi già è qui, ed in ogni 
caso che mai le migrazioni hanno avuto una speculare corrispondenza alle 
domande del mercato del lavoro./
/Non sarà lo stop al decreto flussi a determinare lo stop della libera 
circolazione. Ma in che modo seondo te questo scenario di crisi globale 
interverrà sui grandi processi migratori che abbiamo sempre definito 
inarrestabili?/
*R:* Intendiamoci: la crisi tende sempre ad avere un impatto 
violentemente negativo sui migranti. Dopo la crisi del '29, 
parallelamente all'avvio del New Deal, circa mezzo milione di messicani 
furono deportati dagli Stati uniti, insieme a molti dei loro figli nati 
in territorio statunitense. La crisi dei primi anni Settanta fu 
affrontata dal governo tedesco-federale, presto seguito da altri governi 
europei, con il cosiddetto Anwerbestopp: il blocco del reclutamento di 
forza lavoro migrante e la predisposizione di programmi per il rimpatrio 
di quei lavoratori stranieri che, dopo aver svolto un ruolo essenziale 
negli anni della grande crescita post-bellica, risultavano 
improvvisamente "in esubero".
Segnali analoghi sono presenti in abbondanza oggi, anche al di là 
dell'Italia. Il governo Zapatero ha tentato di rimpatriare migliaia di 
migranti nel momento in cui i primi segnali della crisi si sono 
manifestati nell'edilizia, che aveva assorbito una quota enorme di 
lavoro migrante negli ultimi anni. E anche qui in Australia, dove mi 
trovo attualmente, il governo laburista ha annunciato l'intenzione di 
ridimensionare drasticamente quello che qui, pur funzionando sulla base 
di una logica completamente diversa, è l'equivalente del decreto flussi.
D'altro canto i flussi migratori non si arresteranno (così come non si 
sono arrestati neppure nei due esempi storico che ho richiamato in 
precedenza). E inoltre il funzionamento del sistema economico è oggi 
molto diverso rispetto a quello degli Stati Uniti del New Deal o del 
fordismo europeo-occidentale del secondo dopo-guerra: è ragionevole 
pensare che, sia pure in condizioni di accentuata precarizzazione, 
continui a esserci una domanda significativa di lavoro migrante 
all'interno di diversi settori economici.
/*D:* In questo processo di riscrittura normativa, compare anche questo 
nuovo pezzo del pacchetto sicurezza, per la verità già annunciato in 
campagna elettorale, ci sono moltissime norme che vanno a restringere il 
campo dei diritti dei migranti. Soprattutto per quelli che già sono qui. 
Pesanti restrizioni per i ricongiungimenti, tasse di 200 euro per tutte 
le pratiche, permesso di soggiorno per contrarre il matrimonio, nuovi 
criteri per l'iscrizione anagrafica (anche per gli italiani), 
trattenimento nei cpt per 18 mesi, permesso di soggiorno a punti ed 
anche il tanto acclamato reato di ingresso e soggiorno illegale 
(punibile però solo con una multa). Come possiamo leggere queste nuove 
norme dentro lo scenario della crisi?/
*R:* Sinceramente, temo che la risposta a questa domanda sia molto 
semplice. L'insieme di queste misure, partendo dal riconoscimento del 
fatto che, al di là di ogni retorica, la presenza migrante è ormai una 
presenza strutturale dal punto di vista sociale, economico, demografico, 
culturale etc, punta a rendere ancora più marcata la condizione di 
violenta subordinazione dei migranti all'interno dello spazio della 
cittadinanza e del mercato del lavoro.
Quella che sembra la misura più bizzarra, il cosiddetto "permesso di 
soggiorno a punti" esprime nel modo più preciso la filosofia d'insieme 
del provvedimento: stabilisce il principio per cui il migrante è un 
soggetto sotto speciale osservazione, la cui stessa possibilità di 
rimanere sul suolo italiano dipende da un insieme di condizioni (di 
comportamenti, di "abilità", di prestazioni economico-sociali) da 
confermare quotidianamente. E rafforza simbolicamente e materialmente la 
condizione di subordinazione di cui parlavo.
Attenzione: stiamo parlando di misure che si inseriscono in un percorso 
di lungo periodo, in una continuità che i governi di centro-sinistra si 
sono ben guardati dall'interrompere. Ma determinano anche un salto di 
qualità nell'irrigidimento del quadro normativo, a cui corrisponde un 
innalzamento del grado di ricattabilità della forza lavoro migrante: 
come tutto questo si inserisca nel contesto della crisi è facile capirlo...
/*D:* Infine l'ultima questione, che per la verità diventerà 
probabilmente la più pregnante. Se sempre l'immigrazione è stata 
considerata "utile", oggi la crisi e la conseguente chiusura di aziende, 
fabbriche, cooperative, industrie, pone un problema nuovo: migliaia di 
persone verranno licenziate e per gli immigrati ci sarà anche la perdita 
del titolo di soggiorno./
/Quel nesso che innumerevoli volte abbiamo denunciato, tra diritto di 
soggiorno e contratto di lavoro, che sempre è stato utile al ricatto, 
oggi pone problemi nuovi. Che ne sarà di questi lavoratori, in larga 
parte già formati e professionalizzati, che dovranno essere espulsi per 
poi riassumerne altri quando ci saranno fasi di ripresa?/
/Lo stesso sindacato confederale pone questo nodo, altri parlano di 
prolungamento del permesso per attesa occupazione e di nuovi 
ammortizzatori sociali, anche gli industriali paiono porsi questo 
problema. Forse quella della sospensione della Bossi Fini può diventare 
il terreno sul quale anche i movimenti, i migranti stessi, possono 
riuscire a costruire la loro presa di parola dentro la crisi, un pò come 
il no alla riforma è stato per il mondo della formazione?/
*R:* Onestamente, mi pare che la proposta di sospensione per due anni 
della legge Bossi-Fini, formulata da Epifani, sia semplicemente dettata 
dal buon senso. E certo, un movimento di massa di migranti che si 
appropriasse di questa richiesta potrebbe utilizzarla per cominciare a 
dire *"Noi la crisi non la paghiamo"!* Il nesso tra permesso di 
soggiorno e contratto di lavoro mostra comunque, proprio dentro la 
crisi, la sua natura di dispositivo che punta a disciplinare 
violentemente la mobilità dei migranti, introducendo al tempo stesso una 
spaccatura e una divisione all'interno della composizione del lavoro. La 
lotta contro questo nesso, che può anche assumere in prima battuta la 
forma di una battaglia per la sospensione della legge Bossi-Fini, 
acquista oggi una nuova urgenza: spezzarlo, assicurare il diritto di 
permanenza in Italia per quei lavoratori e quelle lavoratrici migranti 
che perderanno il lavoro nei prossimi mesi, è la condizione fondamentale 
perché i migranti possano essere parte dei grandi movimenti che già 
oggi, dentro e contro la crisi, si battono per la conquista di reddito, 
di nuova libertà e di nuova uguaglianza. *Perché la "riscrittura delle 
regole" di cui si parlava all'inzio divenga un esercizio collettivo, 
nella cooperazione e nelle lotte, di invenzione di un altro ordine della 
vita comune.*