Figlio di una poetessa e dello scrittore che compose i versi dell'inno nazionale russo, Nikita Mikhalkov rappresenta quell'élite culturale che affonda le sue radici nella Russia preperestroika e che ha raccontato i mutamenti della nazione attraverso l'esistenzialismo dei suoi personaggi (Il sole ingannatore, Il barbiere di Siberia). Con questo film, sorprendente remake di La parola ai giurati (1957, Sidney Lumet), Michalkov sposta l'azione a Mosca, dove un gruppo di dodici giurati si riunisce per decidere della sorte di un ragazzino ceceno imputato di aver ucciso il patrigno, un ufficiale russo. Nel film la crisi di identità che sconvolge il cittadino della Mosca odierna, i grandi sconvolgimenti economici e sociali sotto Putin, la mutazione antropologica della classe dirigente, le tensioni tra l'impero e le sue colonie (la Cecenia) diventano storie narrate in prima persona da ogni giurato. Siamo costretti a seguire l'avventura della parola che, dopo essere fluita, va a comporre un volto, un corpo, la carne e il sangue del racconto. Lo strazio e la follia dell'umano dostoevskijano, alcune leggere pennellate alla Chagall, l'infinita capacità introspettiva della letteratura zarista: sebbene sia il remake di un caposaldo della cinematografia Usa, 12 offre allo spettatore la sua anima russa, aliena e irriducibile a ogni omogeneità. Eppure il film si apre al mondo e la storia dell'imputato ceceno che aspetta una condanna già scritta diventa improvvisamente la storia dei pregiudizi di casa nostra, ricorda il romeno, l'albanese, l'immigrato clandestino. In questo doppio, incessante movimento dalla paura del singolo alla paranoia sociale - sta la grandezza di questo film che mette al centro di se stesso la necessità etica di una giustizia in terra. E la dolorosa consapevolezza della sua assenza (Silvia Colombo, Film Tv).
Mercoledì 22 ottobre ore 21.30
Wilder-Lubitsch
NINOTCHKA
di Ernst Lubitsch, Usa 1939 111'
con Greta Garbo, Melvyn Douglas
Edizione restaurata v.o. con sottotitoli
«Garbo Laughs!» (la Garbo ride) fu lo slogan con cui fu lanciato il 23° film dell'attrice, scritto da Charles Brackett, Billy Wilder e Walter Reisch. La Garbo non è un personaggio comico; lo spasso è affidato alle figura dei tre agenti e allo scintillio arguto del dialogo. «La molteplicità dei registri... è parzialmente unificata dal ritmo su cui poggia il film, che è un ritmo, al solito, binario. Non tanto basato sulle opposizioni (capitalismo e comunismo, vecchia e nuova Russia, Mosca e Parigi, uomo e donna, amore e dovere) quanto sulla ripresa e su riecheggiamento: tutto, a ben vedere, ricorre due volte» (G. Fink). Di fatto segnò l'addio della "divina" al cinema, nello splendore della sua carriera, nella parte più coraggiosa della sua vita. Un esempio di grazia cinematografica dovuto all'ormai celeberrimo "tocco" di Lubitsch.
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