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Nils e Nina vittime e testimoni, dal pestaggio alla Diaz a Bolzaneto: «Ogni giorno succede ai migranti»
«Una giustizia solo simbolica»
Matteo Alviti
Nils e Nina hanno poco più di sessant'anni
in due. E da otto anni lottano per
vedere riconosciuti i loro diritti, violati
dalla polizia italiana nella caserma di
Bolzaneto. «Abbiamo fatto molto in
questi anni per ristabilire la giustizia»,
ricorda Nina, che nel 2001 era venuta a
Genova dalla Spagna. Nils è di Amburgo
e a Bolzaneto ci è rimasto per 28 ore.
Hanno storie simili, anche se allora non
si conoscevano.
Nils era stato già pestato per strada, era
finito in ospedale. E la sera era andato
a dormire alla Diaz, come Nina. Poi l'irruzione
della polizia e la fine dello stato
di diritto: «Sapevamo di essere finiti
fuori dalla legalità. Nessuno rispondeva
alle nostre domande», racconta Nina.
«Non ci davano da mangiare né ci
lasciavano dormire. Seduti sulle panche
o in piedi contro il muro, il pavimento
sporco di sangue, sentivamo le urla degli
altri». A Bolzaneto Nina non è stata
picchiata. Nils si: «Alla Diaz mi hanno
pestato. Ero ferito al mento e non potevo
camminare, Avevo contusioni su
tutto il corpo e il dolore era insopportabile.
Ho chiesto aiuto e una persona
che diceva di essere medico si è avvicinato
per farmi una puntura. E prima di
farmela ha premuto sulle ferite».
«La sentenza ha riconosciuto che a Bolzaneto
è successo qualcosa, ma non è
chiaro cosa», dice Nina amara. Eppure
lei sa cos'è successo: «Una violenza sistematica
contro i manifestanti, testimoniata
da più di 200 persone». Una
violenza che ha lasciato segni profondi:
«La prima volta che sono tornato a Genova
avevo paura di ogni poliziotto, di
ogni carabiniere. Ora che sono venuto
tante volte è passata, ma ho dovuto fare
una lunga terapia». Nils è contento
che sia stato messo un punto: «La sentenza
chiude una ferita che era rimasta
aperta per sette anni».
Su una cosa Nils e Nina sono concordi:
in Germania o in Spagna le cose
non sarebbero andate molto diversamente.
«E' difficile provare i crimini
commessi dalla polizia. In particolare a
Bolzaneto, dove erano fra di loro», dice
Nils. «Ma anche in Francia dove vivo
ora», aggiunge Nina, «l'anno scorso
Amnesty International ha denunciato
la violenza quotidiana della polizia, che
però rimane senza conseguenze. La polizia
è un corpo che gode di una certa
immunità». Comunque l'Italia non se
la passa affatto bene. «Il fatto che solo
due settimane fa si è saputo che si sarebbe
ogni carabiniere. Ora che sono venuto
tante volte è passata, ma ho dovuto fare
una lunga terapia». Nils è contento
che sia stato messo un punto: «La sentenza
chiude una ferita che era rimasta
aperta per sette anni».
Su una cosa Nils e Nina sono concordi:
in Germania o in Spagna le cose
non sarebbero andate molto diversamente.
«E' difficile provare i crimini
commessi dalla polizia. In particolare a
Bolzaneto, dove erano fra di loro», dice
Nils. «Ma anche in Francia dove vivo
ora», aggiunge Nina, «l'anno scorso
Amnesty International ha denunciato
la violenza quotidiana della polizia, che
però rimane senza conseguenze. La polizia
è un corpo che gode di una certa
immunità». Comunque l'Italia non se
la passa affatto bene. «Il fatto che solo
due settimane fa si è saputo che si sarebbe
arrivati alla sentenza», dice Nina riferendosi
alla legge blocca-processi, che
avrebbe fermato tutto, «è un segno di
come funzionano le cose». La speranza
di Nils che i poliziotti fossero puniti
conseguentemente «è diminuita notevolmente
con Berlusconi al governo.
Speravo che il pm chiedesse pene più
severe. Ma non sono particolarmente
stupito per la sentenza. Provo più che
altro tristezza per le assoluzioni». «Si sapeva
che i poliziotti non avrebbero fatto
un giorno di galera», confida Nina,
«c'èra poco da aspettarsi, e sono un po'
delusa dalla procura». Nina sa che «questa
non è giustizia, ma è una sentenza
simbolica: non riguarda solo noi, ma
tutte le decine di migliaia di persone
che hanno manifestato a Genova. E'
successo a noi ma continua ad accadere
ogni giorno ai migranti».