[Incontrotempo] qualcosa da recuperare

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Qualcosa da recuperare.
Giorgiana Masi, 12 maggio 1977- 12 maggio 2008.


C’è qualcosa da recuperare, da far riemergere
dall’oblio. E non si tratta solo della memoria di una
generazione che ha lottato e che ormai è sottoposta ad
una demonizzazione costante sui media.
Pensiamo a Giorgiana Masi, a quello che evoca il suo
omicidio. L’hanno uccisa, il 12 maggio di 31 anni fa,
le squadre speciali della Polizia di Cossiga,
nonostante quest’ultimo continui squallidamente a
negarlo. Era la risposta dello Stato al protagonismo
di massa, alla volontà collettiva di trasformare il
mondo.

Ma rispondere con la forza a spinte radicali che
vengono dal basso è una costante. A Genova, nel 2001,
si esprimeva un principio di movimento, formato da
tante lotte particolari che cominciavano ad
unificarsi. La reazione è stata durissima:
l’assassinio di Carlo, l’assalto alla Diaz, le torture
di Bolzaneto.

Ora, proprio le spinte alla trasformazione sociale del
’77 e quella, più recente, ma apparentemente già
dispersa, del 2001, andrebbero recuperate. In questo
senso, più che proclamarsi retoricamente “figli della
stessa rabbia”, bisognerebbe riappropriarsi di certi
contenuti. La manifestazione non autorizzata a cui
partecipava Giorgiana, studentessa di un liceo della
zona nord di Roma, celebrava l’anniversario della
vittoria nel referendum sul divorzio, ma la spinta di
quella generazione andava oltre. Mettendo in
discussione la famiglia come pilastro sociale,
sperimentando forme comunitarie più aperte. Inoltre,
proprio i movimenti degli anni ’70 furono pervasi da
una forte tensione antistatalista, purtroppo più agita
che oggetto di una riflessione condivisa.

Oggi viviamo in tempi di “familismo egoistico”. Si
svuota la partecipazione popolare, salvo che ai riti
elettorali, fruiti come spettacoli televisivi. Ci
fanno essere gli uni contro gli altri: se il collega
di lavoro è un concorrente, l’immigrato è addirittura
il nemico principale. La famiglia è il luogo del
rifugio nel privato e, insieme, un ammortizzatore
sociale “informale” in tempi di precarietà estrema
della vita e di smantellamento d’ogni servizio
pubblico. L’esaltazione di tale istituzione, nella sua
forma più tradizionale e quindi nel segno del dogma
della eterosessualità e della condanna di ogni
esperienza difforme, non è solo ideologia clericale,
ma ha una base materiale precisa.

Quanto allo Stato, pur perdendo funzioni di indirizzo
economico in direzione degli organismi sovranazionali,
mantiene ed accentua la sua opera di contrasto e
prevenzione del conflitto. Con i suoi apparati di
polizia, sempre più spesso scagliati contro quelle
lotte che cercano di salvare i territori dalla
devastazione, ma anche – e soprattutto – per la sua
capacità di formare il consenso, di creare collante
ideologico. Si pensi, in questi tempi di politica
estera aggressiva e di missioni militari dispiegate
ovunque, al patriottismo propugnato dagli ultimi
presidenti della Repubblica.
Non si tratta solo di suscitare approvazione attorno
ad imprese imperialiste descritte come atti umanitari,
ma di creare le basi per condannare chiunque rompe con
la concordia, trasformando in nemico interno chi
dissente e lotta per i propri bisogni.

Ciò, in un quadro in cui tutti i livelli
istituzionali, a partire da quello parlamentare, sono
sordi ad istanze che non siano quelle del padronato e
delle gerarchie ecclesiastiche. Il risultato delle
ultime elezioni, per esempio, mostra una situazione
inedita, legata alla improvvisa accelerazione di un
processo in atto da un quindicennio, segnato da una
tendenza al rafforzamento dell’Esecutivo e dalla
progressiva perdita di rappresentatività delle Camere.
Una situazione che presenta per noi difficoltà, come
dimostra il segnale più inquietante giunto dalle
elezioni: i voti operai ad una forza, la Lega, che
rappresenta in modo estremo l’egoismo sociale di
questi anni. E’ la conseguenza dell’assenza di punti
di riferimento fuori dalla fabbrica.
Ma questo contesto nuovo porta con sé anche
un’opportunità.
In questo quadro, infatti, il recupero delle istanze
per cui lottarono Giorgiana ed un’intera generazione,
può esser condotto in modo non formale, all’insegna di
una attenta rielaborazione. Mentre le spinte
conflittuali (contro la precarietà del lavoro e della
vita, per l’ambiente, contro la guerra ed il
saccheggio delle risorse dei paesi “terzi”) che
cercavano di unificarsi a Genova, trovano meno
ostacoli nel loro tentativo di esprimersi finalmente
in modo netto e autonomo. In sostanza, non avere più
interlocutori nelle istituzioni, può spingere le lotte
a rimandare in termini più chiari all’idea di una
società altra, dove la libertà di uno/a sia veramente
la condizione per la libertà di tutti/e.

Collettivo Autonomo-Libertario “Liberidiamare”
(liberidiamare@???)
Collettivo Comunista di via Efeso – Roma
(www.viaefeso.org)
Corrispondenze Metropolitane – Roma
(cmetropolitane@???)



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