Repubblica
Città blindata con mille poliziotti per la manifestazione anti-Israele
Torino, in migliaia con i centri sociali slogan duri ma corteo pacifico
Slogan e tensione ma nessun incidente
Torino, in 5000 al corteo pro Palestina. Alla Fiera del libro presenze in calo
In piazza fumogeni e striscioni. I negozi con le serrande abbassate
MAURIZIO CROSETTI
TORINO - Brucia la bandiera d´Israele, ma solo nella foto sul cartellone dei centri sociali che apre il corteo: un´istantanea senza fiamme e senza fumo, proprio come il resto della giornata. Niente roghi, né di stoffe né di pagine, e anzi il rispettoso silenzio dei 5 mila antagonisti quando sfilano davanti all´ospedale Molinette dietro i vessilli di "Free Palestine". «Grazie compagni, oggi abbiamo dimostrato quello che siamo» dirà l´altoparlante, facendosi i complimenti da sé.
La protesta contro la presenza di Israele quale ospite d´onore alla Fiera del Libro non è stata una sommossa, è volato appena qualche petardo da carnevale e molti cori ("Vergogna, vergogna"), ma quelli non fanno sanguinare. L´unica vera ferita, questa sì profonda, è nei numeri del sabato del salone, di solito il giorno dei record: ieri, invece, molta gente è rimasta a casa temendo guai. Il bilancio? «Quasi drammatico, siamo andati proprio malino anche se il corteo è stato civile» dirà Rolando Picchioni, presidente della Fiera. «Ci hanno ucciso i media: i visitatori occasionali si sono spaventati, mentre i fedelissimi sono venuti lo stesso».
I ragazzi dei centri sociali insieme ai pensionati con la kefiah, e un bel po´ di bandiere rosse d´epoca. Falci, martelli, fischietti e ghiaccioli. È stato un pomeriggio tranquillo, però quasi tutti i negozi attorno al Lingotto avevano abbassato le serrande per paura. Assai ricercati i bar, anche se gli ambulanti vendevano lattine di Coca e birra a prezzi non proprio politici, dentro casse con blocchi di ghiaccio: va però menzionato il coraggio e il fiuto affaristico de "La piola di Tosto", ugualmente aperta malgrado tutto in via Madama Cristina e premiata con un´affluenza degna della causa palestinese e pure di più. Ottimo anche l´intuito del Bar Smilte che propone il caffè a 50 centesimi, con un cartello giallo quasi più eloquente di quelli che stanno sfilando.
"Palestina libera/Palestina rossa". Qualche nodoso bastone avvolto nei drappi si era pur visto, però nessuno l´ha usato. Anche perché la tattica del questore Stefano Berrettoni, all´inizio parecchio criticata, ha funzionato: mille agenti per isolare la Fiera, presidio delle strade laterali ma tenendosi alla giusta distanza, e zero agenti dentro il corteo. Così nessuno si è esasperato, a parte qualche insulto ai carabinieri: cose più da stadio che da Intifada. E qualcuno ha pure scattato la foto ricordo con la Celere sullo sfondo.
Mentre la sinistra antagonista, arrivata anche da fuori Torino, si faceva quattro chilometri a piedi nel primo giorno davvero caldo dell´anno (al ritorno, un comodo servizio di navette), dentro il Lingotto il neo ministro per i Beni culturali Sandro Bondi rivelava: «Dei libri mi piace anche il profumo». E sulle polemiche: «Penso sia un titolo d´onore l´invito rivolto a Israele». E mentre nello stand con la stella di Davide vendevano le spillette di Golda Meir, se ne arrivava anche Renato Schifani, il presidente del Senato: «Abbiamo voluto significare con la nostra presenza la vicinanza del nostro paese con Israele».
Nel frattempo, i cinquemila oltre la "zona rossa" volevano significare che "una pietra qua/una pietra là/una pietra per la libertà", ma anche i sassi hanno espresso una valenza simbolica, come la foto della bandiera in fiamme. «Bisogna mantenere la calma» ripeteva il megafono dietro un mitico Ford Transit marrone, e il corteo alla fine c´è riuscito. Anche nei punti più critici, cioè il primo bivio verso il Lingotto, presidiatissimo, e soprattutto in piazza Fabio Filzi, patriota: qui era previsto il capolinea della manifestazione, qui gli antagonisti hanno visto brillare di fronte a loro gli elmi degli agenti e l´acciaio delle transenne. Un po´ di agitazione, la curva disegnata nell´aria da un paio di fumogeni colorati, il pronto commento dell´altoparlante («Tranquilli, non è successo niente») e la cosa si è ricomposta.
Con i padiglioni della Fiera a cento metri («È un fortino assediato...», esclama con un filo di enfasi il ragazzo del megafono: là dentro, in effetti, non è che gli assediati tremassero), si capisce che è meglio non forzare il blocco, e del resto nessuno aveva mai pensato di farlo. Meglio dare la parola ai dissidenti, anche a un ebreo pro-Palestina molto applaudito, anche un colombiano e un basco che si esprime in lingua originale senza sottotitoli. Però i ragazzi lo applaudono lo stesso.
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L´ex presidente della Camera era già stato contestato a Torino il primo maggio scorso
Bertinotti rinuncia al dibattito La Bresso: in piazza i soliti mille
Manifestazione egemonizzata dai centri sociali, divisa la sinistra istituzionale
PAOLO GRISERI
TORINO - Per uno scherzo della cronaca parte da corso Marconi, già luogo simbolo del capitalismo italiano, la prima manifestazione della sinistra radicale dopo la sconfitta del 13 aprile. Nel corteo che propone il boicottaggio della Fiera del Libro c´è la fotografia di quel che resta oltre il Pd dopo il bombardamento delle urne. Le macerie consegnano un movimento a egemonia antagonista dove i centri sociali occupano i due terzi della manifestazione e la sinistra dei partiti è un frammentato fondo di bottiglia fatto di decine di striscioni e pochissimi militanti.
La presidente del Piemonte, Mercedes Bresso, liquida tutto questo con un´analisi semplice: «Sono sempre i soliti mille, il partito del no che oggi boicotta la Fiera e ieri boicottava l´alta velocità». In realtà il Pd sa bene che non è così. Che i democratici non possono dormire tranquilli se tutto ciò che si muove oltre il partito di Veltroni è egemonizzato dal centro Akatasuna di Torino o dal Gramigna di Padova. Perché, spiegavano ieri gli stessi militanti dei centri torinesi, «per noi quel che conta è l´antagonismo, la capacità di entrare in sintonia con la protesta della gente. Non ci interessa il palazzo». Una versione di sinistra del grillismo, ecco quel che vinceva ieri tra gli striscioni del corteo. Dove l´idea di bruciare la bandiera di Israele non viene vissuta per quel che è, per il suo messaggio di annientamento morale di un popolo, ma come la strada più diretta per entrare nei tg: «Figurati se siamo contro gli ebrei, siamo mica fascisti».
La selva di sigle, partiti e partitini che seguiva in coda il corteo segnalava un disagio ben più degli slogan e delle accuse a Bertinotti: «Quelli come lui sono entrati nel palazzo e adesso fanno fatica a uscirne con la testa». La rappresentanza in piazza era inversamente proporzionale a quella nelle urne. Così Rifondazione non c´era per scelta: non ha aderito, anzi ha condannato la protesta. I Comunisti italiani hanno cavalcato l´onda ma ieri dietro il loro striscione si sono ritrovati un centinaio di militanti, nessun dirigente di rilievo e 27 bandiere. Lo striscione più grande e il partito più seguito era quello di Marco Ferrando, fino a ieri considerato una specie di matto volante nel panorama politico nazionale. Se questo emerge dalle macerie del 13 aprile si può ben capire perché ieri pomeriggio, mentre il corteo avanzava verso il Lingotto, Fausto Bertinotti abbia deciso di non partecipare al dibattito sulle ragioni della sconfitta della sinistra. Oggi l´ex presidente della Camera sarà in Fiera per parlare della Costituzione. Ma un accenno a quelle macerie sarà inevitabile.
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Carlo
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