secolo xix
Ma il tribunale non accettauno studio sulle torture
la ricerca
Genova. Un tentativo in extremis. Far entrare negli atti del processo per le violenze nella caserma di Bolzaneto un filmato realizzato sulla base di uno studio dell'università americana di Stanford sull'«effetto Lucifero», su come anche i buoni possono trasformarsi in cattivi, sull'effetto branco che potrebbe spiegare la genesi della confusione creatasi nella struttura. Ci ha provato ieri mattina l'avvocato di parte civile Licia D'Amico, del Foro di Roma che ha chiesto la proiezione del video della durata di undici minuti. Il Tribunale, presieduto da Renato Delucchi, ha però respinto la richiesta in quanto intempestiva: è stata avanzata tardivamente, dopo la fine del dibattimento. Non lo vedranno nemmeno i giudici in camera di consiglio.Nel video sono riprodotti in sintesi i lavori di un convegno internazionale di psicologia, tenutosi a Roma nel maggio dello scorso anno, condotto dal professor Philip Zimbardo della Stanford University. Il filmato prende in considerazione le situazioni dei detenuti nelle carceri di Guantanamo e di Abu Ghraib e due situazioni simulate sperimentate alla Stanford University, realizzate da 18 studenti americani di cui 9 facevano i carcerieri e 9 gli arrestati. «L'esperimento ha dimostrato - ha spiegato l'avvocato - che quando prendi una persona e gli permetti di dominarne un'altra, si instaurano dinamiche perverse quali la tortura, anche gratuita, senza alcuna motivazione». Il legale ha aggiunto che le conclusioni a cui è arrivato il professor Zimbardo sono che «per evitare torture, abusi, soprusi e quant'altro bisogna che gli Stati si impegnino ad inserire il meccanismo virtuoso della prevenzione con l'addestramento e la formazione delle forze dell'ordine». L'avvocato D'Amico, che assiste due parti lese, un grafico pubblicitario ed uno studente universitario, all' epoca del G8 di vent'anni, picchiati nel bagno e costretti per ore a stare in posizione del "Cigno", ha chiesto perciò che l'Italia si adegui alla Convenzione internazionale dei diritti dell' uomo che prevede la formazione delle forze dell' ordine per evitare appunto episodi come quelli avvenuti a Bolzaneto. Per i suoi assistiti ha chiesto infine una provvisionale di 40.000 euro a testa.
I. Vi.
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«Al G8 violenze indegne»
L'avvocato dello Stato si scusa per il comportamento dei poliziotti a Bolzaneto
GENOVA. «A nome dello Stato chiedo scusa per quello che è successo nella caserma di Bolzaneto nei giorni del G8. Condotte gravissime, inaccettabili per un Paese civile». Scuse come ammissione di colpa. E chi parla non è persona qualunque. È Matilde Pugliaro, legale dell'Avvocatura dello Stato di Genova. Al processo per le violenze che si consumarono nella caserma di Bolzaneto («i comportamenti disumani, raffigurabili in torture», come sostengono i due pm Patrizia Petruzziello e Vittorio Ranieri Miniati ) Pugliaro è responsabile civile in rappresentanza di tre ministeri: Interni, Difesa e Giustizia. Il che significa che se i 45 imputati verranno condannati e il Tribunale accoglierà le richieste di provvisionale presentate dalle parti offese (oltre 200 persone che chiedono tra i 20 e i 30 mila euro a testa per i maltrattamenti subiti), ai suoi assistiti potrà essere richiesto di contribuire al pagamento dei danni.
Dovrebbe stare dalla parte degli imputati, Matilde Pugliaro, ma anche se l'arringa è in questo senso (e non potrebbe essere altrimenti) le sue parole non nascondono l'imbarazzo. E tutto questo, ma soprattutto le scuse suonano come il preludio a un nuovo coro di richieste, peraltro già entrate nella campagna elettorale, di una commissione parlamentare di inchiesta che faccia luce su quanto realmente accadde a Genova nei giorni del G8 del luglio 2001. E c'è anche da domandarsi, a fronte di queste scuse, come reagirà Roberto Castelli, ministro della Giustizia ai tempi del vertice dei Grandi, che solo la settimana scorsa aveva dichiarato che «a Bolzaneto non ci fu nessuna violazione dei diritti umani». Gioiscono intanto i pochi avvocati (di parte civile) presenti nell'udienza pomeridiana. «Finalmente qualcuno che chiede scusa - commenta per tutti Riccardo Passeggi - sono molto soddisfatto, ma è sempre da vedere chi pagherà il dentista alle persone offese».
Nell'ultima giornata di udienza dedicata agli interventi delle parti civili, dunque, l'Avvocato dello Stato apre il suo intervento elogiando il lavoro dei due pm e la «memoria esemplare» che hanno presentato a conclusione della loro requisitoria per cercare di sintetizzare il loro lavoro (un dvd dal titolo "I giorni di Bolzaneto Genova - Luglio 2001") e riconosce che in quei giorni nella caserma si consumaronono «condotte gravissime» da parte proprio di quelle forze dell'ordine che avrebbero dovuto garantire la correttezza dei comportamenti nei confronti dei manifestanti arrestati. Non usa mai la parola tortura tanto cara ai pm, ma insiste sui «comportamenti inaccettabili». E così chiede scusa, l'Avvocato dello Stato, e precisa che avrebbe voluto costituirsi parte civile, ma che quella è una decisione che può prendere solo la Presidenza del Consiglio. Ma questo non è successo. Allora lei si scusa «a nome dello Stato» e sottolinea che ci furono comportamenti «indegni di uno Paese civile» anche se - specifica - le «richieste di pena nei confronti di alcuni funzionari sono state un po' troppo severe».
Cerca di barcamenarsi in nome del suo ruolo, l'avvocato Pugliaro, e così afferma «che hanno fatto bene i pm a distinguere tra le condotte dolose e i comportamenti colposi frutto della negligenza di chi ha organizzato male l'evento». E tenta - citando una sentenza - di difendere la posizione dei tre ministeri, prendendo le distanze dagli imputati, per cercare di evitare il riconoscimento della "responsabilità solidale" per il risarcimento dei danni: «Se dovesse essere provato il dolo - afferma - deve essere esclusa la responsabilità dei ministeri in quanto, se un ufficiale agisce nel suo interesse, si rompe il rapporto organico che esiste tra la struttura e i suoi membri». Una tesi, secondo il pm Ranieri Miniati, «difficile da sostenere», ma sarà il Tribunale a decidere così come dovrà pronunciarsi sulle eccezioni prettamente tecniche presentate dall'altro Avvocato dello Stato, Giuseppe Novaresi, che ha sostenuto che alcune richieste delle parti civili non sono state ben motivate in quanto non sarebbero state chiarite le conseguenze sulle parti offese dei comportamenti delle forze dell'ordine.
Lunedì dunque inizieranno a parlare i difensori degli imputati, toccherà alla difesa di Alessandro Perugini (all'epoca vicedirigente della Digos alla Questura di Genova), ma l'udienza di ieri ha fatto registrare un altro aspetto di un certo rilievo. L'avvocato di parte civile Riccardo Passaggi ha "contestato" infatti la richiesta di assoluzione presentata dai pm nei confronti dell'ufficiale di polizia penitenziaria Giuseppe Fornasiere. Petruzziello e Miniati l'avevano motivata sostenendo che Fornasiere non era presente quando i suoi colleghi addetti alla matricola maltrattarono i detenuti in arrivo dalla scuola Diaz dopo l'irruzione della polizia. Lo stesso Fornasiere aveva dichiarato di non esser stato presente la sera del venerdì in quanto a cena in un ristorante della zona e aveva pure presentaato la ricevuta. Poi era andato a dormire. In un altro passaggio però - come ha sottolineato il legale - Fornasiere ammette di aver visto i detenuti maltrattati.
Isabella Villa
villa@???
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«La ricetta per organizzare le manifestazioni è solo il dialogo»
l'ex prefetto Serra
Il candidato del Pd:
«Se ci sono stati
errori da parte
delle forze dell'ordine,
non sono giustificati»
29/03/2008
Genova. «Il dialogo. La ricetta per organizzare le manifestazioni è soltanto questa. Dopo Genova si è tenuto il Social Forum di Firenze dove non è stata rotta nemmeno una vetrina. E il segreto di quel successo sta soprattutto nel dialogo tra autorità e dimostranti». Èâ??la ricetta di Achille Serra, ex questore di Milano, ex prefetto di Roma, già parlamentare del centrodestra, e oggi tra i candidati di spicco del Partito Democratico di Walter Veltroni.
Serra preferisce non commentare le sue telefonate che compaiono tra le intercettazioni della Procura di Genova che si occupa del G8. Conversazioni con Francesco Colucci nelle quali Serra non usava mezze parole per definire l'ex capo della Polizia, Gianni De Gennaro, e la deposizione dello stesso Colucci al processo del G8: «Ciccio mi fai schifo, hai salvato quello schifoso».
Ma Serra accetta di dare il suo giudizio di candidato - ma anche di uomo che ha speso buona parte della sua vita nelle forze dell'ordine - sul nodo irrisolto del G8: «Se... e sottolineo se... ci sono state delle violenze da parte delle forze dell'ordine bisogna dire chiaramente che non sono giustificate. La reazione - prosegue Serra - non rientra nel bagaglio della polizia».
Adesso che Achille Serra tornerà in Parlamento come giudicherà la richiesta avanzata da più parti di una commissione d'inchiesta sui fatti del G8? «Io credo - sostiene il candidato Pd - che il lavoro della magistratura genovese meriti il massimo rispetto e che vada sostenuto. Penso che un'inchiesta giudiziaria seria e completa sia più che sufficiente».
Insomma, un "alt" all'istituzione della Commissione? «No», spiega Serra. Aggiunge: «Dico che il lavoro della magistratura deve essere sostenuto e può portare a conclusioni importanti sulla vicenda G8». E l'ex prefetto della Capitale conclude: «Certo, per giudicare una vicenda tanto complessa bisognerebbe averla vissuta dall'interno, in prima persona».
F.SA.
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Polizia contro magistratistoria di un complotto
Nelle intercettazioni la verità sul "fronte comune" nato per frenare l'inchiesta G8
Genova. «Manganelli stamattina m'ha detto: "Dobbiamo dargli una bella botta a 'sto magistrato", dice mi ha accennato che già qualche d'uno sta pigliando delle carte non troppo regolari». Sono le 15,59 del 24 maggio 2007 quando Francesco Colucci, questore di Genova al tempo del G8, confida a Spartaco Mortola (capo della Digos genovese nel 2001 e oggi promosso a numero due della Questura di Torino) un episodio che, se confermato, potrebbe imbarazzare il nuovo capo della polizia, Antonio Manganelli, appunto. Secondo Colucci, in sostanza, Manganelli avrebbe confidato l'intenzione di «dare una botta» a Enrico Zucca, il pm genovese che indaga sui fatti della Diaz e sul comportamento dei vertici della polizia. Come? «Pigliando delle carte non regolari». Ma a quali documenti si riferisce l'attuale capo della Polizia? E perché qualcuno delle forze dell'ordine dovrebbe raccogliere carte contro un magistrato della Repubblica?
È SOLTANTO un passaggio nelle centinaia di pagine di conversazioni tra i vertici della polizia intercettati per le indagini che si occupano della Diaz. Secondo investigatori e inquirenti, dai colloqui emergerebbe un «fronte comune» creato da testimoni e indagati per affrontare il processo Diaz. E nel giorno in cui lo Stato chiede scusa per gli orrori di Bolzaneto, è possibile finalmente ricostruirlo con chiarezza, il «fronte comune». L'intenzione emergerebbe già il 24 maggio 2007 alle 20,37 in una conversazione tra un funzionario della questura di Milano e Colucci, che spara a zero sul pm e riferisce i desideri dell'ex capo della polizia Gianni De Gennaro: «Io... solo una cosa, naturalmente questo rientra negli interessi degli altri, che il Capo dice facciamo fronte comune per contrastare 'sto cazzo di magistrato (Zucca, ndr) insomma». E i contatti tra i vertici della polizia chiamati in causa - come testimoni o indagati - per il caso Diaz non mancano, almeno a sentire le parole degli interessati registrate durante le intercettazioni. Colloqui anche recenti, recentissimi.
IL PECCATO originale, la conversazione che innesca il procedimento per induzione alla falsa testimonianza nei confronti di De Gennaro, è del 28 aprile 2007, ore 13,27. Colucci è al telefono con l'ex capo della Digos genovese Spartaco Mortola, commentano la deposizione che l'ex questore si appresta a rendere sull'irruzione alla Diaz. Colucci spiega: «Il capo dice tu per quanto riguarda l'altra parte dovresti fare un po' di marcia indietro, dare una mano ai colleghi». Le richieste di De Gennaro sono specifiche, riassume Colucci, e riguardano l'indicazione della persona che, dopo il blitz, chiamò il responsabile delle relazioni esterne Roberto Sgalla. La prima volta Colucci disse che si trattava di De Gennaro, la seconda d'averlo fatto lui stesso. Nei giorni che precedono l'udienza, Colucci ripercorre mentalmente decine di volte la scansione degli eventi della Diaz. Il 29 aprile alle 17,53 eccolo di nuovo con Mortola che dice: «Le due scuole, le due scuole dirimpettaie, la Cesare Battisti e la Diaz, erano tutte e due sede del centro stampa. Da una parte c'era la radio e dell'altra, nella Diaz, c'era semplicemente il posto dove questa gente alloggiava. Per quello io chiamai Kovac (uno dei responsabili del Genoa Social Forum, ndr) e gli chiesi chi c'era lì dentro. Hai capito? Proprio perchè in origine c'era dentro il centro stampa. Quando lui m'ha detto...». Colucci: «Ma noi lo sapevamo che c'era il ce...». Mortola: «Certo, certo, certo». Colucci: «E allora perché siamo andati di fronte? Dovevano dirlo che di fronte non dovevano andare però?». Mortola: «Ma perché lì chi c'è andato, ha fatto la cazzata. Perchè lì poi non so chi cazzo è andato dentro, che sono andati poi Gava, quella gente lì, che non hanno neanche partecipato. È andato dentro tutto il gruppo delle squadre mobili, se ti ricordi, lì dentro». Colucci: «Va be'». Mortola: «C'è andato Filippo Ferri, c'è andato Gava. Gente che non aveva neanche partecipato alla riunione...Io non so quelli lì chi gli abbia detto di andare lì. Quelli sono arrivati, hanno sbagliato obiettivo (ride)». Colucci: «Ho capito, ho capito». Mortola: «In quel bordello. Vabbe'».
IL TEMPO stringe, i colloqui fra De Gennaro e Colucci sono quotidiani e Mortola ne viene costantemente informato. 28 aprile 2007, ore 13,27. Colucci: «...Sono tornato ora da Roma e praticamente io il giorno 3 devo venire a Genova. Il capo m'ha dato le sue dichiarazioni...». Mortola: «Uhm». Colucci: «...dove praticamente tiene ben testa diciamo al magistrato...». Mortola: «Uhm». Colucci: «...e aver fatto un po' di marcia indietro per quanto riguarda..o meno con la Diaz». Mortola: «Sì». Colucci: «...Sì forse sbaglio io, tante telefonate ci sono state, sì, m'ha detto qualche cosa, però io, comunque e così via... Mi ha fatto leggere, poi dice... tu devi, bisogna che tu un po' aggiusti il tiro sulla stampa. Io nella stampa avevo dichiarato che praticamente avevo, persino il capo m'aveva telefonato per la stampa. A questo punto io dovrei fare un po' di marcia indietro e dire: oh, tante telef... Se me lo richiedono, dice: Ma aveva dichiarato quello? Sì, avevo dichiarato quello, però, ripensandoci bene, sicuramente io ho avvertito Sgalla, io, ma non credo, non mi ricordo, tante telefonate, tanti casini, che magari non me l'ha detto il capo, capito?».
AFFRONTATE le domande in aula dei magistrati, Colucci stesso parla dell'udienza con il suo autista. E riferisce dell'improvvisato colloquio al solito Mortola. 4 maggio 2007, ore 17,58. «...Alla fine m'ha detto... tu che t'è sembrato: dotto' m'è sembrato che stava in difficoltà, perché molte volte s'è contraddetto. Tu non hai capito un cazzo, ho detto io, mi sono contraddetto su alcune cose, non mi ricordo questo, non mi ricordo quell'altro». Mortola: «E sì, infatti». Colucci: «Forse l'ho fatto apposta a non ricordarmelo, perché non volevo seguire un discorso ideologico politico del magistrato». Il «piano», come lo definiscono i magistrati, è decisamente "allargato". E lo spiega Mortola nel corso della stessa telefonata: «C'è lì... tu lo sai che c'è sempre la dottoressa D.M.». Colucci: «No. Chi è?» Mortola: «È una funzionaria dello Sco che va a sentirsi tutte le udienze. La mandano su, registra tutto al computer e fa ogni volta...». Per due settimane Colucci riceve congratulazoni da tutti, e se ne vanta. 7 maggio 2007, ore 16,51. Colucci parla con Sergio, un collega. «Ho stravolto le cose, praticamente». Sergio: «Mi fa molto piacere. Se la cosa è in positivo mi fa molto piacere». Colucci: «Molto positivo. Ho dato una mano a tutti i colleghi tant'è che dopo? dopodomani doveva essere ascoltato il capo della polizia, non lo ascoltano più perché io sono stato dirompente». Stesso giorno, ore 18,31, risponde a un altro collega: «E Manganelli nella sua audizione, ad ogni tentativo del pm di agganciare una qualsivoglia responsabilità dei livelli dipartimentali, quindi il capo... il capo e vice capo sulla vicenda Diaz ha preso delle emerite batoste, perché poi Manganelli, voglio dire, non, non è secondo a nessuno no, nel tener testa al pm». 8 maggio 2007, ore 13,45, Colucci è raggiante: «M'ha chiamato anche il capo che dice: li hai messi alla sbarra insomma». 9 maggio 2007, ore 11,09, l'interclocutore è un funzionario che gli dice «lei è un grande».
E PERO' succede qualcosa, il 22 maggio 2007. In questura a Genova vengono a sapere che Zucca farà recapitare un atto a Colucci. L'attuale capo di Gabinetto Sebastiano Salvo lo chiama subito: «Non so che cazzo è, ma tu non hai qualcuno?». Era l'avviso di garanzia per falsa testimonianza. E adesso l'entusiasmo dei soliti colleghi si trasforma (quasi) in biasimo. 21 giugno 2007, Nicola Cerrato parla con Francesco Colucci. «Sai che è? È l'immagine la cosa più brutta...». Cerrato: «Solo che tu, quel giorno scusami se mi permetto, quel giorno, se ti ricordi, io ti ho mosso un affettuoso rimprovero. Che quel giorno che eravamo in macchina e parlavi con una persona e hai detto delle cose che io ho subito captato, recepito che potevano essere pericolose». Colucci: «Uhm». Cerrato: «E infatti t'hanno beccato per quello. Adesso». Colucci: «Va be', ho capito». Cerrato: «Eh? per telefono non si parla».
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FERRUCCIO SANSA
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