L'ultima parola è la nostra. Dall'evidenza scientifica all'etica della responsabilità.
Contrastiamo l'abitudine a pensare che sui temi essenziali che riguardano la nostra vita, le nostre esperienze che si fanno corpo e anima, noi donne e uomini comuni fatichiamo a prendere una decisione consapevole. Osserviamo che in una società di esperti hanno autorevolezza lo scienziato, il filosofo, il teologo, il giurista e recentemente il bioeticista, tutti “rigorosamente” di sesso maschile, mentre noi donne non abbiamo parola pubblica. Ma oggettività scientifica e soggettività non sono mondi separati e le tecnologie che riguardano la vita e la morte sono oggi tali da modificare la percezione, il senso e quindi la lettura che noi diamo di esse. Dal concepimento al morire, le opportunità (e i rischi!) offerti dalle biotecnologie mediche ci obbligano singolarmente e collettivamente a operare scelte e mettere in atto decisioni spesso difficili. Ad esse la scienza contribuisce in termini di conoscenza e ampliamento delle possibilità. Ma l'ultima parola spetta alla donna all’uomo che di quelle scelte vivranno le conseguenze. Noi contrastiamo la violenza di un'etica dei principi indiscutibili e astratti con l'etica della responsabilità e denunciamo che il vuoto lasciato dall'assenza di una cultura laica delle istituzioni è riempito dalla Chiesa e dai codici deontologici delle associazioni e/o corporazioni degli esperti, scientifici e non, che dettano la propria legge. Le questioni eticamente sensibili diventano così strumenti che mirano a fare dei corpi di uomini e donne le nuove 'res publicae', su cui e attraverso cui arrivare alle 'nuove sintesi' politiche che spesso avvelenano la civile convivenza e il quadro democratico Questo sta accadendo:ieri sulla legge 40, oggi sulla 194, la moratoria, la lista di Ferrara e l'incursione all'ospedale di Napoli! Riproponiamo l'autonomia e la libertà di una donna di scegliere per se stessa anche quando è “uno e due contemporaneamente”, cioè quando è gravida, affermando che è portatrice di una responsabilità che ne fa un soggetto morale capace di compiere la scelta di essere o non essere madre e di interrogarsi sul senso e la qualità di quella vita che ha deciso di mettere al mondo. La Chiesa Cattolica ha riconosciuto un'anima alle donne nel 1431! Quanti secoli ancora per essere riconosciute soggetti morali? Denunciamo la voluta confusione che ha animato il recente dibattito sull’obbligo di rianimazione dei feti vitali anche in presenza di una decisione contraria della madre. Si sono confuse questioni diverse: aborto terapeutico e nascita prematura.Aborto terapeutico e nascita prematura stanno su piani diversi, hanno ricadute ed effetti differenti, le cui responsabilità non sono del tutto chiare dal punto di vista della legge. Nel primo caso il riferimento è la legge 194 dove in nome del diritto alla salute della madre, ed in presenza di una grave malformazione del feto, la legge consente alla donna di porre fine a quella vita. Nel secondo caso siamo in presenza di un trattamento terapeutico su un “minore” già nato che non è in grado di esercitare quel 'consenso informato' di cui il medico ha bisogno per agire sul corpo del paziente e che è l'espressione della autonomia di scelta di ogni cittadino/a sancita dalla Costituzione. Tale questione non riguarda la 194 ma il diritto di limitare i trattamenti di rianimazione e di sostegno vitale Un feto di 4- 5 mesi, può esercitare questo diritto? La risposta è evidente: no! Allora chi lo fa per esso? Chi è il soggetto morale che lo può fare? Una legge astratta dello Stato in nome di un'etica dei principi, un codice deontologico medico che si fa legge o la donna che l'ha nel suo corpo (quel feto è parte di essa) e la cui etica della responsabilità le consente di coniugare i fatti, che inaspettatamente le vengono presentati, con i valori che fino a quel momento l'hanno conformata? Noi rispondiamo che quella donna che ha dolorosamente scelto di interrompere a 5-6 mesi dall’inizio, una gravidanza desiderata è l'unica autorizzata a parlare e a prendere la decisione.
Prime firmatarie:
Elena Del Grosso genetista, docente di bioetica Università di Bologna rete delle donne di Bologna Maddalena Gasparini medico Libera Università delle Donne di Milano Eleonora Cirant Ass Osa-Donna Osservatorio Donne Salute
Per adesioni: e.delgrosso@???
Marta Bonetti
Via Anfiteatro, 93
55100 Lucca
3406688974
From: marta_bonetti@???: forumlucca@???: Sun, 17 Feb 2008 10:04:59 +0000Subject: [Forumlucca] aborto question epubblica
Aborto, questione politica
Maria Luisa Boccia
A Napoli, Roma, Bologna, Firenze, Milano le donne hanno dato parola e corpo a una differente politica. Che ha i suoi luoghi, dalle piazze alle università e scuole - con le loro affollate assemblee - alle case e centri di donne. Per un giorno se ne sono accorti i media, le tv lasciandola ai margini, i giornali con titoli in prima pagina. A fare notizia è stata la reazione immediata e diffusa delle donne al blitz di Napoli. Una violenza istituzionale, in violazione del diritto. Non solo della legge 194, ma dei principi e delle regole alle quali devono attenersi gli organi e i funzionari dello Stato. Tanto più se si tratta di intervenire in un ospedale, di inquisire una donna che ha appena abortito, di mettere mano su cartelle mediche e mettere in dubbio la responsabilità dei medici e la riservatezza della relazione medico-paziente. Tanto più è risultato surreale sentire dichiarare da laeder politici, in quelle stesse ore, che l'aborto deve restare fuori della campagna elettorale, affidato, in quanto tema «eticamente sensibile», alla libertà di coscienza. Ma di cosa parlano Veltroni e Berlusconi? Della loro preoccupazione di come prendere voti? Se peserà di più, nella conta finale, il voto cattolico o quello femminile? Farà presa l'immagine dell' aborto come omicidio eugenetico, perpetrato da donne in preda a delirio di onnipotenza? Oppure prevarrà la convinzione, radicata nell'esperienza e nel senso comune, che la prima parola e l'ultima non può che essere della donna? Questo è il nocciolo etico del discorso, il solo che fa ordine nello scenario tecnologico e scientifico come nelle pratiche sociali. E come tale deve essere considerato nella legge e nella politica. L'aborto è infatti questione tutta politica. E di primaria importanza. Come peraltro ben vede chiunque non sia abbagliato dagli artifici della scena politicomediatica. E' questa politicità che si cerca di negare con il rinvio all'etica e alla libertà di coscienza. Ma non funziona. Rende solo più assordante il silenzio su quanto accade. Un silenzio che non ha lo stesso segno, e lo stesso effetto, per Pd e Pdl. Berlusconi infatti prima si è schierato con i tutori della Vita, e dunque contro la scelta della donna, e solo dopo ha fatto un passo indietro. Lasciando ad altri l'offensiva. Ben più vistoso è l'imbarazzo di Veltroni e del Pd a pronunciarsi nel merito della campagna in atto: dalla moratoria contro l'aborto, alle sperimentazioni per tenere in vita, a tutti i costi, i feti, all'inammissibile blitz della polizia. E per non fare propria la parola femminile. Come dovrebbe, se tenesse conto della storia politica, culturale, civile e istituzionale del paese. Senza la quale risulta del tutto vuoto e retorico, il termine «democratico», assunto come qualità onnicomprensiva e autosufficiente del suo partito. Fuori da questo schema , minimizzare da un lato, e lasciar fare dall'altro, c'è l'autonomia politica delle donne. E la capacità di tenerne conto. SEGUE A PAGINA 5Dalla Sinistra Arcobaleno un segno è venuto, con le prese di posizione di questi giorni. Ovviamente anche qui ci sono opacità. C'è però lo spazio di un confronto, e di un conflitto, perché c'è una trama di relazioni politiche tra donne che lo sta attivamente costruendo.Riprendo quanto abbiamo scritto in un testo presentato all'Assemblea del 10 febbraio al Farnese: «Mai come oggi è giusto e imprescindibile che sia la donna decidere della procreazione e della nascita. Potrà consigliarsi, potrà ascoltare il medico ma la prima e l'ultima parola sarà soltanto sua. Oggi che nelle istituzioni, nei partiti, nell' informazione sono troppe e assordanti le voci maschili che pretendono di dettare legge, o imperativi etici, ignorando la parola femminile; quella dell'esperienza, come quella politica». Riconoscerlo, vuol dire dare valore e priorità alla parola femminile nella sfera pubblica e politica. Solo così si farà chiarezza. Rispetto a chi mena fendenti ideologici, mettendo in conto di colpire Silvana, una di noi, esposta, a nudo, al giudizio pubblico, divenuta, suo malgrado, bersaglio e simbolo del rifiuto maschile della libera responsabilità femminile. E rispetto a chi si rifugia nel «No alle strumentalizzazioni», per il timore, del tutto simile, di affidarsi all'autorevolezza della parola femminile. Non c'è da registrare un «ritorno» del femminismo, vecchio o nuovo. E' il momento di verificare se da parte degli uomini, innanzitutto con ruoli politici verrà chiarezza, nelle parole e negli atti. Di un segno, o dell'altro
Marta Bonetti
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