Lähettäjä: Giovanna e Massimo Duranti Päiväys: Vastaanottaja: massimiliano.piacentini@tin.it, forumlucca Aihe: Re: [Forumlucca] Terapia riparativa
che roba!secondo me è in atto una regressione antropologica del genere
umano ciao g.
massimiliano.piacentini@??? ha scritto: > (ADN KRONOS) - 23 dic. 2007
> GAY: GIORNALISTA DI 'LIBERAZIONE' FINTO
> OMOSESSUALE PER SEI MESI IN 'TERAPIA'
> E' quanto racconta su
> "Liberazione" di oggi Davide Vari', fintosi gay per sei mesi per
> conoscere il 'circuito' italiano di, scrive "taumaturghi del sesso
> deviato.
> domenica 23 dicembre 2007 , di ADN KRONOS
>
>
> Roma, 23 dic.
> (Adnkronos) - Sei mesi in 'terapia' per curare la sua omosessualita',
> attraverso un percorso iniziato con l'incontro con un sacerdote e poi
> con un luminare, Tonino Cantelmi (docente di psicologia all'Universita'
> Gregoriana), quindi un test di 600 domande e poi la 'terapia
> riparativa'. E' quanto racconta su "Liberazione" di oggi Davide Vari',
> fintosi gay per sei mesi per conoscere il 'circuito' italiano di,
> scrive "taumaturghi del sesso deviato. Una moda che spopola nel Nord
> America grazie al lavoro di molti gruppi legati alla Chiesa e che segue
> l'insegnamento e la pratica di Joseph Nicolosi", uno psicologo clinico
> che "vanta ben 500 casi di 'gay trattati'". Il tutto nonostante
> l'Organizzazione Mondiale della Sanita' nel 1990 abbia definito
> l'omosessualita' una variante naturale della sessualita', dopo che per
> secoli era stata considerata una malattia mentale.
>
>
>
>
> _____________________________________________________________________________________
> SEI GAY? VIENI DA NOI, TI CURIAMO
> Diario di sei mesi in terapia...
>
> Di Davide Varì
> Da: "Liberazione" - domenica 23 dicembre 2007
>
>
> «La
> strada verso la mia presunta salvezza comincia con un incontro per
> definire tempi e modi del mio ingresso in un gruppo terapeutico per
> guarire dall'omosessualità»
>
> Il racconto di un cronista che si è
> infiltrato per mesi un corso organizzato da un gruppo ultra cattolico
>
> di Davide Varì
>
> Mi forzo, e da ateo convinto prego con lui. Finito il
> momento di raccoglimento Don Giacomo, con la stessa delicatezza, mi
> invita a continuare il mio racconto. «La tua relazione con Luca - mi
> dice - è stata passiva o solo attiva?». Don Giacomo vuol sapere se ho
> «subito» oppure no una penetrazione. Deve essere solo quello il
> discrimine fondamentale per capire se davanti a sé c'è un vero
> omosessuale. «Attivo e passivo», dico di botto. «E mi è anche
> piaciuto», rispondo quasi in senso di sfida, di fronte a quella domanda
> così volgare. Volgare non per la cosa in sé, quanto, piuttosto perchè
> per la prima volta inizio a intravedere, o almeno così mi sembra, i
> veri pensieri di quel prete così giovane e cordiale. Uno squarcio che
> smaschera il giudizio che ha di me, anzi, di "quelli come me".
>
> Don
> Giacomo annuisce in modo austero e poi mi chiede di parlargli degli
> altri rapporti. A quel punto tiro fuori una relazione fugace con un
> altro ragazzo "consumata" dopo il matrimonio. Don Giacomo mi invita a
> raccontare le sensazioni che avevo provato. Io mi invento un «senso di
> sporcizia morale» che vivo e mi porto dentro tuttora. Il giovane prete
> è silenzioso. Mi benedice e mi tranquillizza. «La tua omosessualità -
> dice - è molto superficiale. Io credo che tu sia pronto per iniziare il
> percorso di guarigione».
>
> A quel punto sono io che faccio qualche
> domanda e chiedo lumi su quello che lui chiama "percorso". Don Giacomo,
> grosso modo, mi spiega che quasi tutti gli omosessuali hanno subito un
> trauma o qualcosa del genere che ha interrotto la "naturale"
> costruzione della vera identità sessuale. «Per questo - dice - servono
> terapie riparative. Per riprendere in mano quel vissuto, trovare la
> frattura e ridefinire la propria identità di genere. Tu sei in uno
> stato di confusione sessuale, devi farti aiutare per ridefinire la tua
> sessualità in modo corretto». Perfetto, sono pronto per iniziare il
> "percorso". Don Giacomo prende un pezzo di carta e scrive telefono e
> indirizzo del Professor Tonino Cantelmi, «chiamalo tra una settimana,
> digli che ti mando io, lui saprà già tutto». Mi benedice e mi congeda.
>
>
>
> ***
>
>
>
> Il primo incontro con il professor Cantelmi
>
>
>
> Lo studio del
> professor Tonino Cantelmi - Presidente dell'Istituto di Terapia
> Cognitivo interpersonale, c'è scritto nella targhetta - è un porto di
> mare nel quale transitano e approdano le preoccupazioni e le angosce di
> varia umanità: ragazzini, adolescenti, mamme, nonne. C'è di tutto in
> quello studio. Io mi accomodo e attendo di essere chiamato. Lui, il
> professore, ogni tanto esce e saluta il paziente di turno. Con tutti ha
> un rapporto molto confidenziale, tutti lo chiamano Tonino. Finalmente
> arriva il mio momento. Raccolgo le idee per evitare di contraddirmi
> rispetto alla storia che ho raccontato a Don Giacomo qualche settimana
> prima. Ripasso lo schema, i nomi inventati dei miei falsi amanti e mi
> infilo nello studio del Professore. Lui mi squadra, mi sorride e mi fa
> accomodare. «Sono Davide, gli
>
> dico, mi manda Don Giacomo». Lui
> annuisce - «con quel nome mi ha inserito nella categoria omosessuale
> pentito», penso tra me - e mi invita a raccontare la mia storia. A quel
> punto riparto con la vicenda del Liceo, della mia relazione col mio
> compagno di banco e dei timori rispetto al mio matrimonio dopo un'altra
> relazione avuta con un ragazzo un paio d'anni fa.
>
> «Che tipo di
> rapporti hai avuto?», mi chiede Cantelmi.
>
> Io faccio finta di non
> capire.
>
> «Voglio dire - continua il Professore - hai avuto rapporti
> completi?».
>
> Annuisco, ma aspetto che il professore esca dalla sua tana
> e mi ponga la domanda, la domanda con la D maiuscola, in modo diretto.
> E lui non mi delude: «Insomma Davide - mi dice schietto - sei stato
> anche passivo nei tuoi rapporti?».
>
> Ci risiamo, penso tra me. «Sì»,
> rispondo. Decido di fare la parte del laconico. Da un lato perchè ho
> paura di contraddirmi, dall'altro perchè voglio vedere le abilità del
> professore in azione. Son curioso di capire in che modo si muove. Come
> lavora. Ma lui mi sorprende e dopo quell'unica risposta, pronto a
> sbarazzarsi di me, prende carta e penna e scrive il nome di una
> collega: «Lei è la dottoressa Cacace - mi dice mentre mi porge il
> bigliettino - è una mia assistente, contattala a mio nome. Lei saprà
> già tutto». Mi sembra di rivedere un film già visto. Comunque io non
> voglio perdere l'occasione di ritrovarmi di fronte al "guru" italiano
> dei guaritori di gay e allora rilancio prima che lui mi liquidi. «Senta
> dottore - gli dico con il massimo di gentilezza - io vorrei capire di
> preciso cosa mi aspetta». «Nulla di particolare - fa lui - la
> dottoressa ti farà un test..»
>
> «Un test?», faccio eco io
>
> «Sì, un test»
>
> «Un test per misurare il mio grado di omosessualità?», incalzo.
>
> «Beh!
> In un certo senso sì», fa lui.
>
> «Scusi - gli chiedo - ma cos'è di
> preciso l'omosessualità?»
>
> A quel punto Cantelmi si accomoda, allunga
> le braccia sul tavolo e comincia: «Io - esordisce - parlerei della tua
> omosessualità, non di omosessualità in genere. Diciamo che noi siamo un
> gruppo di psicologi che cercano di aiutare persone in difficoltà. La
> nostra è una terapia riparativa»
>
>
>
> ***
>
>
>
> La terapia riparativa:
> l'omosessualità come il comunismo
>
>
>
> Si sentiva parlare da tempo di
> questi taumaturghi del sesso deviato. Una moda che spopola nel Nord
> America grazie al lavoro di molti gruppi legati alla Chiesa, e che
> segue l'insegnamento e la pratica di Joseph Nicolosi, presidente della
> Narth, National Association for Research and Therapy of Homosexuality.
> Uno psicologo clinico, questo Joseph Nicolosi, un "santone" che vanta
> ben 500 casi di «gay trattati» e curati - proprio così, «gay trattati»
> - e che ha tirato fuori dal cilindro della propria stregoneria
> psichiatrica la cosiddetta "terapia riparativa" il cui scopo dichiarato
> è quello di «ricondurre all'orientamento eterosessuale le persone
> omosessuali». Un messaggio che in Italia è stato ripreso e rilanciato
> dal Professor Tonino Cantelmi, presidente e fondatore dell'Associazione
> Italiana Psicologi e Psichiatri Cattolici e docente di psicologia
> all'Università Gregoriana. Insomma, il guru italiano della terapia
> riparativa, una persona legata a doppio nodo al Vaticano e intorno al
> quale è nato un gruppo di lavoro formato da cinque, sei giovani
> psicologi che seguono le terapie individuali dei futuri e "riparati"
> eterosessuali.
>
> Questa della terapia riparativa è storia antica. Già
> nel 2005, la rivista Gay Pride pubblicò un lungo articolo nel quale ne
> metteva in dubbio ogni validità e attendibilità scientifica. Franco
> Grillini, presidente onorario dell'Arcigay, presentò anche
> un'interrogazione parlamentare per bloccare, tramite gli ordini
> professionali, la terapia riparativa. Anche per questo uno come J.M.
> van den Aardweg, lo psicoterapeuta americano che ha scritto
> "Omosessualità & speranza", parla di lobby gay all'assalto della
> scientificità. Tanto per capire cosa si muove dietro questa presunta
> terapia riparativa, lo stesso van den Aardweg sostiene - lo ha fatto in
> una recente intervista per "Acquaviva2000, cultura cattolica in rete" -
> che molti omosessuali «presentano seri disturbi mentali, o hanno
> sviluppato un comportamento omosessuale di proporzioni tali che non
> sarebbe tanto sbagliato chiamarli "malati"». Non solo, van den Aardweg
> è convinto che per colpa del movimento gay, «le masse non assimileranno
> mai completamente la concezione antinaturale che viene loro imposta.
> Andrà come con il comunismo. Molti, probabilmente i più, presteranno
> all'innaturale "religione" omosessuale un culto formale, dettatogli
> dalla paura, ma si finirà col crederci sempre di meno».
>
> Questi sono
> gli illustri scienziati che sponsorizzano la terapia riparativa. Ancora
> più esplicite le parole d'ordine del già citato gruppo ultracattolico
> "Obiettivo Chaire": «Accompagnamento spirituale, psicologico e medico;
> attenzione rivolta a genitori, insegnanti ed educatori al fine di
> prevenire l'insorgere di tendenze omosessuali nei ragazzi, negli
> adolescenti e nei giovani; ricerca delle cause(spirituali,
> psicologiche, culturali, storiche) che contribuiscono alla diffusione
> di atteggiamenti contrari alla legge naturale, riconoscibile dalla
> ragione rettamente formata».
>
> Poi l'immancabile Joseph Nicolosi, lo
> psicologo-clinico americano che ha inventato la terapia riparativa. A
> giorni sarà in Italia per aggiornare i suoi seguaci e illustrare loro,
> verosimilmente, le ultime novità della sua terapia. Queste le idee di
> fondo: primo, alla luce delle scienze sociali la forma di famiglia
> ideale per favorire un sano sviluppo del bambino è il modello
> tradizionale di matrimonio eterosessuale; secondo, l'identità sessuale
> si forma in un'età precoce sulla base di " fattori biologici,
> psicologici e sociali"; terzo, esistono numerosi esempi di persone che
> sono riuscite a cambiare il loro comportamento, identità, stimoli o
> fantasie sessuali.
>
> A sostegno di queste tesi sono nati i movimenti "ex-
> gay", persone "riparate" e spesso convertite al cattolicesimo che hanno
> lo scopo dichiarato di dimostrare che dall'omosessualità è possibile
> "guarire". Il bello della faccenda è che sempre più gruppi di "ex gay"
> vengono sciolti per il fatto che molti associati hanno ri-trovato un
> partner dello stesso sesso proprio in quell'organizzazione.
>
>
>
> ***
>
>
>
> La terapia riparativa di Cantelmi
>
>
>
> Cantelmi cerca di adattare su di
> me, sul mio caso, le ragioni di quella terapia. Parla di traumi
> infantili che generano confusione in un mondo già pieno di
> contraddizioni e di liquidità nei rapporti interpersonali. Il tutto per
> spiegare che in un certo senso
>
> i comportamenti della persona
> omosessualità sono indotti da questa schizofrenia esterna. Non solo
> omosessuali però. Il professor Cantelmi è infatti convinto, e me lo
> spiega, che la nostra epoca è caratterizzata da una grossa compulsività
> sessuale: una dipendenza che colpisce migliaia di persone e tra questi
> tanti, tantissimi giovani. Mi parla di «relazioni malate con il sesso»,
> di «perdita di controllo» e così via.
>
> «E in tutto questo,
> l'omosessualità?», chiedo io.
>
> «Beh, il mio studio è pieno. Abbiamo la
> fila. Ci sono centinaia di ragazzi che chiedono aiuto».
>
> «Vede - dico
> cercando di stanarlo - io non so bene se sono omosessuale. Non capisco
> se sono vittima di una sorta di disagio psichico o se devo assecondare
> queste mie pulsioni».
>
> «Non preoccuparti Davide - mi dice sereno e
> sorridente - dal tuo profilo mi sembra di poter parlare di una ansia
> generalizzata e di una leggera nevrosi che in qualche modo condiziona e
> devia le tue scelte sessuali. Ora faremo il test e avremo più elementi
> per poter scegliere la terapia migliore».
>
>
>
> ***
>
>
>
> Il Test ed i
> discepoli del professore e la cura
>
>
>
> La dottoressa Cristina Cacace
> dell'Istituto di terapia cognitivo interpersonale diretto da Cantelmi
> mi accoglie sorridente nel suo studio. Mi osserva, anzi mi scruta con
> insistenza. «Ora mi becca - penso io - scopre che sono un infiltrato e
> mi caccia». E invece no. Evidentemente la diagnosi del Professor
> Cantelmi deve avermi suggestionato. Un po' nevrotico, perseguitato, mi
> ci sento davvero. Fatto sta che lei mi invita con gentilezza nel suo
> studio targato Ikea, mi fa accomodare e mi interroga: nome, cognome,
> età, indirizzo, telefono e stato civile. Io rispondo senza esitare e
> attendo, anche qui, "la" domanda . Ma la dottoressa Cacace già sa e non
> c'è bisogno di alcuna premessa.
>
> Saltiamo direttamente ai particolari
> più intimi: quante volte, e fino a che punto. «Fino a che punto in che
> senso?», chiedo io. Lei sorride. Mi chiedo se lei, giovane psicologa,
> crede davvero alle follie e alla violenza di questa benedetta "terapia
> riparativa" oppure se è li, in quel piccolo studio solo perchè non
> trova nulla di meglio. Ma i miei pensieri vengono interrotti dalla
> domanda della dottoressa:
>
> «Davide, i tuoi rapporti omosessuali sono
> stati solo attivi o anche passivi»? Sento un forte disagio di fronte a
> quella domanda ricorrente, ossessiva. Mi viene in mente il lato
> pruriginoso e voyeuristico di chi la pone. Alla fine rispondo come ho
> già risposto a Don Giacomo e al professor Cantelmi: «Sì, attivo e
> passivo». Poi racconto anche a lei del mio rapporto conflittuale con
> mia madre, delle assenze di mio padre e aggiungo che ogni tanto, da
> piccolo,venivo scambiato per bambina. La giovane assistente di Cantelmi
> annuisce gravemente e mi fissa l'appuntamento per il test di
> personalità. «Dopo il test - mi dice prima di accompagnarmi alla porta
> - sapremo meglio come trattare la tua situazione».
>
> Pochi giorni dopo
> sono di nuovo lì e scopro che il Test dura circa quattro ore ed è
> nient'altro che il cosiddetto "Test Minnesota" quello che utilizzano le
> forze armate di mezzo mondo per selezionare il proprio personale.
> Seicento domande circa che dovrebbero dare risposte su eventuali
> deviazioni del candidato: ipocondria, depressione, isteria, deviazione
> psicopatica, mascolinità o femminilità, paranoia, psicastenia,
> schizofrenia, ipomania e introversione sociale. Un pout-pourri che, tra
> le altre cose, dovrebbe mettere in luce le mie tendenze omosessuali.
> Comunque la dottoressa mi dà i fogli, un penna e mi piazza in
> corridoio. Inizio a scorrere le domande: «Hai avuto esperienze molto
> strane?»; oppure, «Ti piacerebbe essere un fioraio?». A quest'ultima
> rispondo di sì spinto dalla banalità della considerazione; Forse chi
> sceglie di fare il fioraio, secondo loro, ha una predisposizione ha
> diventare un po'checca.
>
> D'un tratto vengo colpito e distratto dalla
> presenza silenziosa di una signora e di un giovane adolescente. Sono
> madre e figlio. Lui mi sembra particolarmente timido, a disagio. Non
> posso saperlo, ma potrebbe benissimo trattarsi di un ragazzino forzato
> dalla madre per arginare, almeno finché è in tempo, la «propria
> devianza omosessuale». Di nuovo penso a quanto sia angusta questa
> pratica e a quanta violenza abbia in sé. Penso alla pressione che può
> subire un ragazzino di 15-16 anni che sta scoprendo la propria
> sessualità. La preoccupazione, spesso in buona fede, dei genitori e la
> scelta di far qualcosa per fermare quella "scoperta" piuttosto che
> accoglierla e sostenerla. Poi la signora e il ragazzino si infilano in
> una delle tante stanze dello studio degli allievi di Cantelmi e io
> torno al mio test infinito: «Hai mai compiuto pratiche sessuali
> insolite?»; «Ti piaceva giocare con le bambole?»; «Qualcuno controlla
> la tua mente?»; «Hai spesso il desiderio di essere di sesso opposto al
> tuo?»; «L'uomo dovrebbe essere il capo famiglia?»...
>
> Finite le
> domande, torno in stanza dalla dottoressa.
>
> Lei ripone le mie
> scartoffie che già contengono il risultato del mio "grado di
> omosessualità" e tira fuori una decina di cartoncini colorati da figure
> bizzarre. Sono le macchie del test di Rorschach. Spruzzi indefiniti di
> colore, che agiscono in modo inconscio attivando reazioni proiettive.
> Insomma, di fronte a quelle macchie sono invitato a rintracciare e
> comunicare figure sensate. Io mi lancio sforzandomi di vedere peni,
> vagine, ani e così via. Individuo anche un paio di feti appesi per il
> cordone ombelicale. Dò il peggio di me, cercando di convincere la
> dottoressa Cacace che la mia sessualità è particolarmente deviata,
> talmente corrotta e omosessuale da meritare le sue cure. Ma lei, di
> fronte al mio sproloquio genitale non fa una piega: sfila uno dopo
> l'altro i cartoncini del test e prende diligentemente appunti.
>
> Nel
> frattempo si accosta a me ed io non trattengo un'occhiata fugace alla
> scollatura. Lei, sorpresa, si ritrae, si copre e mi guarda con
> imbarazzo. Insomma, dopo tutto quel parlare della mia omosessualità
> probabilmente sono caduto nella banalità di voler riaffermare la mia
> "mascolinità" di fronte a una donna. Per la prima volta, in un certo
> senso, vivo sulla mia pelle la forza e la violenza del condizionamento
> sociale e culturale che vivono i gay. Poi, riprendo con le mie
> figure...
>
>
>
> ***
>
>
>
> I risultati del test, quanto sono omosessuale?
>
>
>
> «Non molto, la tua omosessualità è davvero sfumata», mi dice la
> dottoressa Cacace mostrandomi una ventina di pagine che contengono la
> mia "diagnosi". «Omosessualità sfumata», proprio così. A quel punto
> chiedo maggiori spiegazioni. «Allora, io direi che siamo di fronte ad
> una nevrosi che ha indotto una deviazione sessuale - continua lei -
> sarà il professor Cantelmi a spiegarti meglio.
>
> Dopo qualche giorno
> sono di nuovo nella sala d'attesa del professore. La sensazione è la
> stessa: un porto di mare aperto a tutti i "casi umani". Cantelmi,
> cortese e accogliente come sempre, sfoglia i risultati del mio test e
> mi parla di "leggera nevrosi e depressione" che avrebbe indotto la mia
> deviazione sessuale, l'uscita dai binari di una sessualità sana e
> consapevole. «Tu non sei propriamente un omosessuale», mi dice. «La tua
> mi sembra più una preoccupazione determinata da alcuni episodi legati
> all'infanzia». Poi attacca con il conflitto con mia madre e l'assenza
> di mio padre, da me del tutto inventata, che mi avrebbe privato di una
> figura maschile forte, una figura di riferimento su cui avrei dovuto
> modellare la mia sessualità e definire il mio genere. Dunque non sono
> del tutto omosessuale.
>
> Forse la terapia è già iniziata. Negare la mia
> omosessualità è il primo passo verso la "guarigione". Probabilmente è
> una modalità per iniziare a smontare la convinzione del "paziente".
> Sentirsi dire, «non sei propriamente omosessuale», forse, significa
> iniziare a destrutturare la personalità dell'individuo, le sue
> convinzioni e metterlo di fronte al fatto - un fatto certificato da uno
> psicologo - che la sua omosessualità non è mai esistita. Anzi, che
> l'omosessualità in sé non esiste se non nei termini di una deviazione
> dalla norma, dall'unica norma reale: l'eterosessualità.
>
> «A questo
> punto - continua poi il professore - si tratta di andare a ripescare
> quelle fratture e superarle attraverso una terapia adeguata».
>
> «Che
> tipo di terapia?» chiedo io. «Una terapia individuale. Ti seguirà un
> mio assistente, ma io - mi tranquillizza - sarò costantemente informato
> dei tuoi progressi». «Ma io sapevo di gruppi di mutuo-aiuto, pensavo
> che mi inserisse lì». «I gruppi ci sono - mi dice lui - ma sono gruppi
> con persone che hanno una forte devianza sessuale. Non credo che sia la
> terapia migliore per il tuo stato. Non so, vedremo».
>
> Io non mollo la
> presa e cerco di scoprire cosa accade dentro quei gruppi. «Sono gruppi
> di persone guidate da psicoterapeuti che condividono le propria
> esperienza verso un percorso riparativo», aggiunge frettolosamente
> Cantelmi. Poi si alza, mi dà il numero di telefono dell'ennesimo
> psicologo, ovviamente un altro assistente, e mi regala un libro: "Oltre
> l'omosessualità" di Joseph Nicolosi.
>
> Nicolosi, proprio lui, il guru
> dei guaritori, il creatore della terapia riparativa, quello che vanta
> ben 500 casi di «gay trattati», anzi, riparati. «Leggilo - mi dice -
> troverai situazioni simili alla tua. Persone come te che ce l'hanno
> fatta».
>
>
>
> ***
>
>
>
> Il libro di Nicolosi
>
>
>
> Oltre l'omosessualità" di
> Joseph Nicolosi è una raccolta di storie di vita. Otto storie di
> omosessuali corretti, riparati, e un'appendice finale sulle modalità
> della terapia. Tra loro Albert, un trentenne che «parla con tono
> leggermente effeminato e la nostalgia - sottolinea Nicolosi - di un
> bambino perduto». E in effetti il problema di Albert, racconta Nicolosi
> nel suo libro, è proprio il suo attaccamento al mondo perduto
> dell'infanzia. Di qui un'illustrazione delle caratteristiche ricorrenti
> nelle persone omosessuali: attrazione distaccata per il proprio corpo,
> prime esperienze sessuali con altri bambini, ipermasturbazione, - «gli
> omosessuali - spiega Nicolosi - si masturbano più spesso degli
> eterosessuali: è un tentativo di stabilire un contatto rituale con il
> pene» - e una figura materna opprimente. A quel punto l'obiettivo del
> dottor Nicolosi è quello di «sviluppare un senso più solido della
> mascolinità» di Albert. Come? Innanzi tutto affrancandosi
> dall'opprimente legame materno, coltivando amicizie maschili non
> sessuali e facendo lunghi giri in bicicletta. Lunghi giri in
> bicicletta, proprio così. Finalmente arrivano i primi progressi: Albert
> riesce a controllare la masturbazione, si distacca dalla madre, non
> salta addosso al suo amico e continua a girare in bici per il
> quartiere. «Le stanno succedendo proprio delle belle cose», confida il
> dottore ad Albert. Tre anni dopo Albert ha una voce sicura, ogni
> inflessione femminile è sparita, si è «staccato emotivamente dagli
> altri maschi e dalla mascolinità», e si è affrancato dal controllo
> materno: la colpa originaria, la causa della sua omosessualità; Albert
> si è anche fidanzato con una ragazza. Insomma è riparato. Ed è riparato
> perchè «ha afferrato - commenta Nicolosi - il concetto del falso sé»:
> la falsa identità gay che l'esterno ti impone. «No, non sono gay», è
> l'ultimo commento di Albert prima di iniziare la sua nuova vita da
> eterosessuale.
>
> Altra vicenda interessante raccontata da Nicolosi è
> quella di Tom: «Un uomo straordinariamente bello, alto circa 1m e 80,
> occhi azzurri e ben vestito». (chissà che anche Nicolosi non tradisca
> una tendenza omosessuale: il guaritore dei gay che scopre di essere
> gay, un grande classico già visto mille volte). Tom è sposato, ma
> separato a causa di una relazione con un altro ragazzo: «Andy, un
> ventiquattrenne irresistibile». Nicolosi è chiaro con Tom: «Se lei
> vuole divorziare da sua moglie e iniziare la sua nuova vita con il suo
> amante gay io non la seguo». Il fatto è che Tom si sente vuoto senza la
> moglie e i figli e non sa come presentarsi in società, come tirare
> fuori la sua omosessualità.
>
> Un paio di buone ragioni per iniziare la
> terapia riparativa. Il fatto è che, almeno per Nicolosi, Tom è un
> omosessuale anomalo: «Non ha problemi di affermazione nei confronti
> degli altri uomini, in affari è deciso e risoluto ed è estroverso. Ma
> sotto sotto - svela Nicolosi - ha la fragilità emotiva tipica degli
> omosessuali». A farla breve, Tom ha una paura nera di perdere la moglie
> e i figli e ritrovarsi solo perché «le relazioni omosessuali sono senza
> futuro». A quel punto Nicolosi incontra la moglie di Tom che ha tutta
> l'intenzione di collaborare per riportare il marito sulla retta via. Un
> lavoro che riesce, ma i segni dell'omosessualità hanno lasciato la loro
> traccia indelebile: Tom è Hiv positivo e di lì a poco muore. Il
> messaggio, meglio, l'avvertimento di Nicolosi è fin troppo chiaro:
> attenzione, di omosessualità si può guarire ma anche morire.
>
>
>
> ***
>
>
>
> Prove di guarigione
>
>
>
> Quando torno nello studio del professor
> Cantelmi scopro che la mia guarigione è nelle mani di un suo
> giovanissimo assistente. Anche lui sfoglia i risultati del mio test, e
> inizia a parlare del percorso che abbiamo davanti. «Ripercorreremo il
> conflitto con tua madre, l'assenza di tuo padre, cercando di ricomporre
> le fratture che hanno generato la confusione».
>
> «Confusione?»
>
> «Si,
> certo, confusione di genere. Ma prima Davide - continua il giovane
> dottore - parlami della tue esperienze omosessuali». Per la quarta
> volta mi ritrovo a parlare del mio compagno di Liceo e racconto delle
> paure del mio matrimonio. Ma la Domanda arriva: «Davide, i tuoi
> rapporti sono stati completi?». «Vuol sapere se l'ho preso nel di
> dietro dottore? Sì, due volte», rispondo seccato. Lui sorride
> imbarazzato. Ma in effetti è proprio quello che voleva sapere. Poi si
> riprende e attacca. «Vorrei anche sapere le sensazioni che hai
> provato». Sull'orlo dell'esaurimento per quelle domande così ripetitive
> e di basso livello, attacco un pilotto infinito. Gli racconto, invento,
> ogni particolare. Gli parlo dell'eccitazione del rapporto omosessuale
> maschile, del senso di trasgressione e richiamo alla mente alcuni
> passaggi particolarmente suggestivi e "scabrosi" descritti da uno dei
> pazienti del libro di Nicolosi. Lui si beve tutto e prende
> diligentemente appunti. Finalmente gli ho offerto il "malato" che è in
> me e mi sembra visibilmente soddisfatto.
>
> Io inizio a provare un senso
> di nausea. Nausea per Don Giacomo, per il professor Cantelmi e per i
> suoi giovani assistenti. Sono passati sei mesi dal mio primo incontro e
> a questo punto mi sembra di non riuscire a sopportare oltre. Mi rendo
> conto che in questo lungo periodo abbiamo solo parlato del mio
> didietro. Per la prima volta realizzo che nessuno di loro mi ha mai
> chiesto se mi era capitato di innamorarmi di qualche uomo. Nessuno ha
> mai voluto sapere le mie emozioni di fronte ai rapporti omosessuali.
> Possibile che non gli interessi altro che il numero di penetrazioni
> "subite"? Il giovane psicologo mi fissa un nuovo appuntamento. Io lo
> saluto e sparisco. Non metterò mai più piede in quello studio. Ormai ne
> so abbastanza.
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> 23/12/2007
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> Forumlucca mailing list
> Forumlucca@???
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