(ADN KRONOS) - 23 dic. 2007
GAY: GIORNALISTA DI 'LIBERAZIONE' FINTO
OMOSESSUALE PER SEI MESI IN 'TERAPIA'
E' quanto racconta su
"Liberazione" di oggi Davide Vari', fintosi gay per sei mesi per
conoscere il 'circuito' italiano di, scrive "taumaturghi del sesso
deviato.
domenica 23 dicembre 2007 , di ADN KRONOS
Roma, 23 dic.
(Adnkronos) - Sei mesi in 'terapia' per curare la sua omosessualita',
attraverso un percorso iniziato con l'incontro con un sacerdote e poi
con un luminare, Tonino Cantelmi (docente di psicologia all'Universita'
Gregoriana), quindi un test di 600 domande e poi la 'terapia
riparativa'. E' quanto racconta su "Liberazione" di oggi Davide Vari',
fintosi gay per sei mesi per conoscere il 'circuito' italiano di,
scrive "taumaturghi del sesso deviato. Una moda che spopola nel Nord
America grazie al lavoro di molti gruppi legati alla Chiesa e che segue
l'insegnamento e la pratica di Joseph Nicolosi", uno psicologo clinico
che "vanta ben 500 casi di 'gay trattati'". Il tutto nonostante
l'Organizzazione Mondiale della Sanita' nel 1990 abbia definito
l'omosessualita' una variante naturale della sessualita', dopo che per
secoli era stata considerata una malattia mentale.
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SEI GAY? VIENI DA NOI, TI CURIAMO
Diario di sei mesi in terapia...
Di Davide Varì
Da: "Liberazione" - domenica 23 dicembre 2007
«La
strada verso la mia presunta salvezza comincia con un incontro per
definire tempi e modi del mio ingresso in un gruppo terapeutico per
guarire dall'omosessualità»
Il racconto di un cronista che si è
infiltrato per mesi un corso organizzato da un gruppo ultra cattolico
di Davide Varì
Mi forzo, e da ateo convinto prego con lui. Finito il
momento di raccoglimento Don Giacomo, con la stessa delicatezza, mi
invita a continuare il mio racconto. «La tua relazione con Luca - mi
dice - è stata passiva o solo attiva?». Don Giacomo vuol sapere se ho
«subito» oppure no una penetrazione. Deve essere solo quello il
discrimine fondamentale per capire se davanti a sé c'è un vero
omosessuale. «Attivo e passivo», dico di botto. «E mi è anche
piaciuto», rispondo quasi in senso di sfida, di fronte a quella domanda
così volgare. Volgare non per la cosa in sé, quanto, piuttosto perchè
per la prima volta inizio a intravedere, o almeno così mi sembra, i
veri pensieri di quel prete così giovane e cordiale. Uno squarcio che
smaschera il giudizio che ha di me, anzi, di "quelli come me".
Don
Giacomo annuisce in modo austero e poi mi chiede di parlargli degli
altri rapporti. A quel punto tiro fuori una relazione fugace con un
altro ragazzo "consumata" dopo il matrimonio. Don Giacomo mi invita a
raccontare le sensazioni che avevo provato. Io mi invento un «senso di
sporcizia morale» che vivo e mi porto dentro tuttora. Il giovane prete
è silenzioso. Mi benedice e mi tranquillizza. «La tua omosessualità -
dice - è molto superficiale. Io credo che tu sia pronto per iniziare il
percorso di guarigione».
A quel punto sono io che faccio qualche
domanda e chiedo lumi su quello che lui chiama "percorso". Don Giacomo,
grosso modo, mi spiega che quasi tutti gli omosessuali hanno subito un
trauma o qualcosa del genere che ha interrotto la "naturale"
costruzione della vera identità sessuale. «Per questo - dice - servono
terapie riparative. Per riprendere in mano quel vissuto, trovare la
frattura e ridefinire la propria identità di genere. Tu sei in uno
stato di confusione sessuale, devi farti aiutare per ridefinire la tua
sessualità in modo corretto». Perfetto, sono pronto per iniziare il
"percorso". Don Giacomo prende un pezzo di carta e scrive telefono e
indirizzo del Professor Tonino Cantelmi, «chiamalo tra una settimana,
digli che ti mando io, lui saprà già tutto». Mi benedice e mi congeda.
***
Il primo incontro con il professor Cantelmi
Lo studio del
professor Tonino Cantelmi - Presidente dell'Istituto di Terapia
Cognitivo interpersonale, c'è scritto nella targhetta - è un porto di
mare nel quale transitano e approdano le preoccupazioni e le angosce di
varia umanità: ragazzini, adolescenti, mamme, nonne. C'è di tutto in
quello studio. Io mi accomodo e attendo di essere chiamato. Lui, il
professore, ogni tanto esce e saluta il paziente di turno. Con tutti ha
un rapporto molto confidenziale, tutti lo chiamano Tonino. Finalmente
arriva il mio momento. Raccolgo le idee per evitare di contraddirmi
rispetto alla storia che ho raccontato a Don Giacomo qualche settimana
prima. Ripasso lo schema, i nomi inventati dei miei falsi amanti e mi
infilo nello studio del Professore. Lui mi squadra, mi sorride e mi fa
accomodare. «Sono Davide, gli
dico, mi manda Don Giacomo». Lui
annuisce - «con quel nome mi ha inserito nella categoria omosessuale
pentito», penso tra me - e mi invita a raccontare la mia storia. A quel
punto riparto con la vicenda del Liceo, della mia relazione col mio
compagno di banco e dei timori rispetto al mio matrimonio dopo un'altra
relazione avuta con un ragazzo un paio d'anni fa.
«Che tipo di
rapporti hai avuto?», mi chiede Cantelmi.
Io faccio finta di non
capire.
«Voglio dire - continua il Professore - hai avuto rapporti
completi?».
Annuisco, ma aspetto che il professore esca dalla sua tana
e mi ponga la domanda, la domanda con la D maiuscola, in modo diretto.
E lui non mi delude: «Insomma Davide - mi dice schietto - sei stato
anche passivo nei tuoi rapporti?».
Ci risiamo, penso tra me. «Sì»,
rispondo. Decido di fare la parte del laconico. Da un lato perchè ho
paura di contraddirmi, dall'altro perchè voglio vedere le abilità del
professore in azione. Son curioso di capire in che modo si muove. Come
lavora. Ma lui mi sorprende e dopo quell'unica risposta, pronto a
sbarazzarsi di me, prende carta e penna e scrive il nome di una
collega: «Lei è la dottoressa Cacace - mi dice mentre mi porge il
bigliettino - è una mia assistente, contattala a mio nome. Lei saprà
già tutto». Mi sembra di rivedere un film già visto. Comunque io non
voglio perdere l'occasione di ritrovarmi di fronte al "guru" italiano
dei guaritori di gay e allora rilancio prima che lui mi liquidi. «Senta
dottore - gli dico con il massimo di gentilezza - io vorrei capire di
preciso cosa mi aspetta». «Nulla di particolare - fa lui - la
dottoressa ti farà un test..»
«Un test?», faccio eco io
«Sì, un test»
«Un test per misurare il mio grado di omosessualità?», incalzo.
«Beh!
In un certo senso sì», fa lui.
«Scusi - gli chiedo - ma cos'è di
preciso l'omosessualità?»
A quel punto Cantelmi si accomoda, allunga
le braccia sul tavolo e comincia: «Io - esordisce - parlerei della tua
omosessualità, non di omosessualità in genere. Diciamo che noi siamo un
gruppo di psicologi che cercano di aiutare persone in difficoltà. La
nostra è una terapia riparativa»
***
La terapia riparativa:
l'omosessualità come il comunismo
Si sentiva parlare da tempo di
questi taumaturghi del sesso deviato. Una moda che spopola nel Nord
America grazie al lavoro di molti gruppi legati alla Chiesa, e che
segue l'insegnamento e la pratica di Joseph Nicolosi, presidente della
Narth, National Association for Research and Therapy of Homosexuality.
Uno psicologo clinico, questo Joseph Nicolosi, un "santone" che vanta
ben 500 casi di «gay trattati» e curati - proprio così, «gay trattati»
- e che ha tirato fuori dal cilindro della propria stregoneria
psichiatrica la cosiddetta "terapia riparativa" il cui scopo dichiarato
è quello di «ricondurre all'orientamento eterosessuale le persone
omosessuali». Un messaggio che in Italia è stato ripreso e rilanciato
dal Professor Tonino Cantelmi, presidente e fondatore dell'Associazione
Italiana Psicologi e Psichiatri Cattolici e docente di psicologia
all'Università Gregoriana. Insomma, il guru italiano della terapia
riparativa, una persona legata a doppio nodo al Vaticano e intorno al
quale è nato un gruppo di lavoro formato da cinque, sei giovani
psicologi che seguono le terapie individuali dei futuri e "riparati"
eterosessuali.
Questa della terapia riparativa è storia antica. Già
nel 2005, la rivista Gay Pride pubblicò un lungo articolo nel quale ne
metteva in dubbio ogni validità e attendibilità scientifica. Franco
Grillini, presidente onorario dell'Arcigay, presentò anche
un'interrogazione parlamentare per bloccare, tramite gli ordini
professionali, la terapia riparativa. Anche per questo uno come J.M.
van den Aardweg, lo psicoterapeuta americano che ha scritto
"Omosessualità & speranza", parla di lobby gay all'assalto della
scientificità. Tanto per capire cosa si muove dietro questa presunta
terapia riparativa, lo stesso van den Aardweg sostiene - lo ha fatto in
una recente intervista per "Acquaviva2000, cultura cattolica in rete" -
che molti omosessuali «presentano seri disturbi mentali, o hanno
sviluppato un comportamento omosessuale di proporzioni tali che non
sarebbe tanto sbagliato chiamarli "malati"». Non solo, van den Aardweg
è convinto che per colpa del movimento gay, «le masse non assimileranno
mai completamente la concezione antinaturale che viene loro imposta.
Andrà come con il comunismo. Molti, probabilmente i più, presteranno
all'innaturale "religione" omosessuale un culto formale, dettatogli
dalla paura, ma si finirà col crederci sempre di meno».
Questi sono
gli illustri scienziati che sponsorizzano la terapia riparativa. Ancora
più esplicite le parole d'ordine del già citato gruppo ultracattolico
"Obiettivo Chaire": «Accompagnamento spirituale, psicologico e medico;
attenzione rivolta a genitori, insegnanti ed educatori al fine di
prevenire l'insorgere di tendenze omosessuali nei ragazzi, negli
adolescenti e nei giovani; ricerca delle cause(spirituali,
psicologiche, culturali, storiche) che contribuiscono alla diffusione
di atteggiamenti contrari alla legge naturale, riconoscibile dalla
ragione rettamente formata».
Poi l'immancabile Joseph Nicolosi, lo
psicologo-clinico americano che ha inventato la terapia riparativa. A
giorni sarà in Italia per aggiornare i suoi seguaci e illustrare loro,
verosimilmente, le ultime novità della sua terapia. Queste le idee di
fondo: primo, alla luce delle scienze sociali la forma di famiglia
ideale per favorire un sano sviluppo del bambino è il modello
tradizionale di matrimonio eterosessuale; secondo, l'identità sessuale
si forma in un'età precoce sulla base di " fattori biologici,
psicologici e sociali"; terzo, esistono numerosi esempi di persone che
sono riuscite a cambiare il loro comportamento, identità, stimoli o
fantasie sessuali.
A sostegno di queste tesi sono nati i movimenti "ex-
gay", persone "riparate" e spesso convertite al cattolicesimo che hanno
lo scopo dichiarato di dimostrare che dall'omosessualità è possibile
"guarire". Il bello della faccenda è che sempre più gruppi di "ex gay"
vengono sciolti per il fatto che molti associati hanno ri-trovato un
partner dello stesso sesso proprio in quell'organizzazione.
***
La terapia riparativa di Cantelmi
Cantelmi cerca di adattare su di
me, sul mio caso, le ragioni di quella terapia. Parla di traumi
infantili che generano confusione in un mondo già pieno di
contraddizioni e di liquidità nei rapporti interpersonali. Il tutto per
spiegare che in un certo senso
i comportamenti della persona
omosessualità sono indotti da questa schizofrenia esterna. Non solo
omosessuali però. Il professor Cantelmi è infatti convinto, e me lo
spiega, che la nostra epoca è caratterizzata da una grossa compulsività
sessuale: una dipendenza che colpisce migliaia di persone e tra questi
tanti, tantissimi giovani. Mi parla di «relazioni malate con il sesso»,
di «perdita di controllo» e così via.
«E in tutto questo,
l'omosessualità?», chiedo io.
«Beh, il mio studio è pieno. Abbiamo la
fila. Ci sono centinaia di ragazzi che chiedono aiuto».
«Vede - dico
cercando di stanarlo - io non so bene se sono omosessuale. Non capisco
se sono vittima di una sorta di disagio psichico o se devo assecondare
queste mie pulsioni».
«Non preoccuparti Davide - mi dice sereno e
sorridente - dal tuo profilo mi sembra di poter parlare di una ansia
generalizzata e di una leggera nevrosi che in qualche modo condiziona e
devia le tue scelte sessuali. Ora faremo il test e avremo più elementi
per poter scegliere la terapia migliore».
***
Il Test ed i
discepoli del professore e la cura
La dottoressa Cristina Cacace
dell'Istituto di terapia cognitivo interpersonale diretto da Cantelmi
mi accoglie sorridente nel suo studio. Mi osserva, anzi mi scruta con
insistenza. «Ora mi becca - penso io - scopre che sono un infiltrato e
mi caccia». E invece no. Evidentemente la diagnosi del Professor
Cantelmi deve avermi suggestionato. Un po' nevrotico, perseguitato, mi
ci sento davvero. Fatto sta che lei mi invita con gentilezza nel suo
studio targato Ikea, mi fa accomodare e mi interroga: nome, cognome,
età, indirizzo, telefono e stato civile. Io rispondo senza esitare e
attendo, anche qui, "la" domanda . Ma la dottoressa Cacace già sa e non
c'è bisogno di alcuna premessa.
Saltiamo direttamente ai particolari
più intimi: quante volte, e fino a che punto. «Fino a che punto in che
senso?», chiedo io. Lei sorride. Mi chiedo se lei, giovane psicologa,
crede davvero alle follie e alla violenza di questa benedetta "terapia
riparativa" oppure se è li, in quel piccolo studio solo perchè non
trova nulla di meglio. Ma i miei pensieri vengono interrotti dalla
domanda della dottoressa:
«Davide, i tuoi rapporti omosessuali sono
stati solo attivi o anche passivi»? Sento un forte disagio di fronte a
quella domanda ricorrente, ossessiva. Mi viene in mente il lato
pruriginoso e voyeuristico di chi la pone. Alla fine rispondo come ho
già risposto a Don Giacomo e al professor Cantelmi: «Sì, attivo e
passivo». Poi racconto anche a lei del mio rapporto conflittuale con
mia madre, delle assenze di mio padre e aggiungo che ogni tanto, da
piccolo,venivo scambiato per bambina. La giovane assistente di Cantelmi
annuisce gravemente e mi fissa l'appuntamento per il test di
personalità. «Dopo il test - mi dice prima di accompagnarmi alla porta
- sapremo meglio come trattare la tua situazione».
Pochi giorni dopo
sono di nuovo lì e scopro che il Test dura circa quattro ore ed è
nient'altro che il cosiddetto "Test Minnesota" quello che utilizzano le
forze armate di mezzo mondo per selezionare il proprio personale.
Seicento domande circa che dovrebbero dare risposte su eventuali
deviazioni del candidato: ipocondria, depressione, isteria, deviazione
psicopatica, mascolinità o femminilità, paranoia, psicastenia,
schizofrenia, ipomania e introversione sociale. Un pout-pourri che, tra
le altre cose, dovrebbe mettere in luce le mie tendenze omosessuali.
Comunque la dottoressa mi dà i fogli, un penna e mi piazza in
corridoio. Inizio a scorrere le domande: «Hai avuto esperienze molto
strane?»; oppure, «Ti piacerebbe essere un fioraio?». A quest'ultima
rispondo di sì spinto dalla banalità della considerazione; Forse chi
sceglie di fare il fioraio, secondo loro, ha una predisposizione ha
diventare un po'checca.
D'un tratto vengo colpito e distratto dalla
presenza silenziosa di una signora e di un giovane adolescente. Sono
madre e figlio. Lui mi sembra particolarmente timido, a disagio. Non
posso saperlo, ma potrebbe benissimo trattarsi di un ragazzino forzato
dalla madre per arginare, almeno finché è in tempo, la «propria
devianza omosessuale». Di nuovo penso a quanto sia angusta questa
pratica e a quanta violenza abbia in sé. Penso alla pressione che può
subire un ragazzino di 15-16 anni che sta scoprendo la propria
sessualità. La preoccupazione, spesso in buona fede, dei genitori e la
scelta di far qualcosa per fermare quella "scoperta" piuttosto che
accoglierla e sostenerla. Poi la signora e il ragazzino si infilano in
una delle tante stanze dello studio degli allievi di Cantelmi e io
torno al mio test infinito: «Hai mai compiuto pratiche sessuali
insolite?»; «Ti piaceva giocare con le bambole?»; «Qualcuno controlla
la tua mente?»; «Hai spesso il desiderio di essere di sesso opposto al
tuo?»; «L'uomo dovrebbe essere il capo famiglia?»...
Finite le
domande, torno in stanza dalla dottoressa.
Lei ripone le mie
scartoffie che già contengono il risultato del mio "grado di
omosessualità" e tira fuori una decina di cartoncini colorati da figure
bizzarre. Sono le macchie del test di Rorschach. Spruzzi indefiniti di
colore, che agiscono in modo inconscio attivando reazioni proiettive.
Insomma, di fronte a quelle macchie sono invitato a rintracciare e
comunicare figure sensate. Io mi lancio sforzandomi di vedere peni,
vagine, ani e così via. Individuo anche un paio di feti appesi per il
cordone ombelicale. Dò il peggio di me, cercando di convincere la
dottoressa Cacace che la mia sessualità è particolarmente deviata,
talmente corrotta e omosessuale da meritare le sue cure. Ma lei, di
fronte al mio sproloquio genitale non fa una piega: sfila uno dopo
l'altro i cartoncini del test e prende diligentemente appunti.
Nel
frattempo si accosta a me ed io non trattengo un'occhiata fugace alla
scollatura. Lei, sorpresa, si ritrae, si copre e mi guarda con
imbarazzo. Insomma, dopo tutto quel parlare della mia omosessualità
probabilmente sono caduto nella banalità di voler riaffermare la mia
"mascolinità" di fronte a una donna. Per la prima volta, in un certo
senso, vivo sulla mia pelle la forza e la violenza del condizionamento
sociale e culturale che vivono i gay. Poi, riprendo con le mie
figure...
***
I risultati del test, quanto sono omosessuale?
«Non molto, la tua omosessualità è davvero sfumata», mi dice la
dottoressa Cacace mostrandomi una ventina di pagine che contengono la
mia "diagnosi". «Omosessualità sfumata», proprio così. A quel punto
chiedo maggiori spiegazioni. «Allora, io direi che siamo di fronte ad
una nevrosi che ha indotto una deviazione sessuale - continua lei -
sarà il professor Cantelmi a spiegarti meglio.
Dopo qualche giorno
sono di nuovo nella sala d'attesa del professore. La sensazione è la
stessa: un porto di mare aperto a tutti i "casi umani". Cantelmi,
cortese e accogliente come sempre, sfoglia i risultati del mio test e
mi parla di "leggera nevrosi e depressione" che avrebbe indotto la mia
deviazione sessuale, l'uscita dai binari di una sessualità sana e
consapevole. «Tu non sei propriamente un omosessuale», mi dice. «La tua
mi sembra più una preoccupazione determinata da alcuni episodi legati
all'infanzia». Poi attacca con il conflitto con mia madre e l'assenza
di mio padre, da me del tutto inventata, che mi avrebbe privato di una
figura maschile forte, una figura di riferimento su cui avrei dovuto
modellare la mia sessualità e definire il mio genere. Dunque non sono
del tutto omosessuale.
Forse la terapia è già iniziata. Negare la mia
omosessualità è il primo passo verso la "guarigione". Probabilmente è
una modalità per iniziare a smontare la convinzione del "paziente".
Sentirsi dire, «non sei propriamente omosessuale», forse, significa
iniziare a destrutturare la personalità dell'individuo, le sue
convinzioni e metterlo di fronte al fatto - un fatto certificato da uno
psicologo - che la sua omosessualità non è mai esistita. Anzi, che
l'omosessualità in sé non esiste se non nei termini di una deviazione
dalla norma, dall'unica norma reale: l'eterosessualità.
«A questo
punto - continua poi il professore - si tratta di andare a ripescare
quelle fratture e superarle attraverso una terapia adeguata».
«Che
tipo di terapia?» chiedo io. «Una terapia individuale. Ti seguirà un
mio assistente, ma io - mi tranquillizza - sarò costantemente informato
dei tuoi progressi». «Ma io sapevo di gruppi di mutuo-aiuto, pensavo
che mi inserisse lì». «I gruppi ci sono - mi dice lui - ma sono gruppi
con persone che hanno una forte devianza sessuale. Non credo che sia la
terapia migliore per il tuo stato. Non so, vedremo».
Io non mollo la
presa e cerco di scoprire cosa accade dentro quei gruppi. «Sono gruppi
di persone guidate da psicoterapeuti che condividono le propria
esperienza verso un percorso riparativo», aggiunge frettolosamente
Cantelmi. Poi si alza, mi dà il numero di telefono dell'ennesimo
psicologo, ovviamente un altro assistente, e mi regala un libro: "Oltre
l'omosessualità" di Joseph Nicolosi.
Nicolosi, proprio lui, il guru
dei guaritori, il creatore della terapia riparativa, quello che vanta
ben 500 casi di «gay trattati», anzi, riparati. «Leggilo - mi dice -
troverai situazioni simili alla tua. Persone come te che ce l'hanno
fatta».
***
Il libro di Nicolosi
Oltre l'omosessualità" di
Joseph Nicolosi è una raccolta di storie di vita. Otto storie di
omosessuali corretti, riparati, e un'appendice finale sulle modalità
della terapia. Tra loro Albert, un trentenne che «parla con tono
leggermente effeminato e la nostalgia - sottolinea Nicolosi - di un
bambino perduto». E in effetti il problema di Albert, racconta Nicolosi
nel suo libro, è proprio il suo attaccamento al mondo perduto
dell'infanzia. Di qui un'illustrazione delle caratteristiche ricorrenti
nelle persone omosessuali: attrazione distaccata per il proprio corpo,
prime esperienze sessuali con altri bambini, ipermasturbazione, - «gli
omosessuali - spiega Nicolosi - si masturbano più spesso degli
eterosessuali: è un tentativo di stabilire un contatto rituale con il
pene» - e una figura materna opprimente. A quel punto l'obiettivo del
dottor Nicolosi è quello di «sviluppare un senso più solido della
mascolinità» di Albert. Come? Innanzi tutto affrancandosi
dall'opprimente legame materno, coltivando amicizie maschili non
sessuali e facendo lunghi giri in bicicletta. Lunghi giri in
bicicletta, proprio così. Finalmente arrivano i primi progressi: Albert
riesce a controllare la masturbazione, si distacca dalla madre, non
salta addosso al suo amico e continua a girare in bici per il
quartiere. «Le stanno succedendo proprio delle belle cose», confida il
dottore ad Albert. Tre anni dopo Albert ha una voce sicura, ogni
inflessione femminile è sparita, si è «staccato emotivamente dagli
altri maschi e dalla mascolinità», e si è affrancato dal controllo
materno: la colpa originaria, la causa della sua omosessualità; Albert
si è anche fidanzato con una ragazza. Insomma è riparato. Ed è riparato
perchè «ha afferrato - commenta Nicolosi - il concetto del falso sé»:
la falsa identità gay che l'esterno ti impone. «No, non sono gay», è
l'ultimo commento di Albert prima di iniziare la sua nuova vita da
eterosessuale.
Altra vicenda interessante raccontata da Nicolosi è
quella di Tom: «Un uomo straordinariamente bello, alto circa 1m e 80,
occhi azzurri e ben vestito». (chissà che anche Nicolosi non tradisca
una tendenza omosessuale: il guaritore dei gay che scopre di essere
gay, un grande classico già visto mille volte). Tom è sposato, ma
separato a causa di una relazione con un altro ragazzo: «Andy, un
ventiquattrenne irresistibile». Nicolosi è chiaro con Tom: «Se lei
vuole divorziare da sua moglie e iniziare la sua nuova vita con il suo
amante gay io non la seguo». Il fatto è che Tom si sente vuoto senza la
moglie e i figli e non sa come presentarsi in società, come tirare
fuori la sua omosessualità.
Un paio di buone ragioni per iniziare la
terapia riparativa. Il fatto è che, almeno per Nicolosi, Tom è un
omosessuale anomalo: «Non ha problemi di affermazione nei confronti
degli altri uomini, in affari è deciso e risoluto ed è estroverso. Ma
sotto sotto - svela Nicolosi - ha la fragilità emotiva tipica degli
omosessuali». A farla breve, Tom ha una paura nera di perdere la moglie
e i figli e ritrovarsi solo perché «le relazioni omosessuali sono senza
futuro». A quel punto Nicolosi incontra la moglie di Tom che ha tutta
l'intenzione di collaborare per riportare il marito sulla retta via. Un
lavoro che riesce, ma i segni dell'omosessualità hanno lasciato la loro
traccia indelebile: Tom è Hiv positivo e di lì a poco muore. Il
messaggio, meglio, l'avvertimento di Nicolosi è fin troppo chiaro:
attenzione, di omosessualità si può guarire ma anche morire.
***
Prove di guarigione
Quando torno nello studio del professor
Cantelmi scopro che la mia guarigione è nelle mani di un suo
giovanissimo assistente. Anche lui sfoglia i risultati del mio test, e
inizia a parlare del percorso che abbiamo davanti. «Ripercorreremo il
conflitto con tua madre, l'assenza di tuo padre, cercando di ricomporre
le fratture che hanno generato la confusione».
«Confusione?»
«Si,
certo, confusione di genere. Ma prima Davide - continua il giovane
dottore - parlami della tue esperienze omosessuali». Per la quarta
volta mi ritrovo a parlare del mio compagno di Liceo e racconto delle
paure del mio matrimonio. Ma la Domanda arriva: «Davide, i tuoi
rapporti sono stati completi?». «Vuol sapere se l'ho preso nel di
dietro dottore? Sì, due volte», rispondo seccato. Lui sorride
imbarazzato. Ma in effetti è proprio quello che voleva sapere. Poi si
riprende e attacca. «Vorrei anche sapere le sensazioni che hai
provato». Sull'orlo dell'esaurimento per quelle domande così ripetitive
e di basso livello, attacco un pilotto infinito. Gli racconto, invento,
ogni particolare. Gli parlo dell'eccitazione del rapporto omosessuale
maschile, del senso di trasgressione e richiamo alla mente alcuni
passaggi particolarmente suggestivi e "scabrosi" descritti da uno dei
pazienti del libro di Nicolosi. Lui si beve tutto e prende
diligentemente appunti. Finalmente gli ho offerto il "malato" che è in
me e mi sembra visibilmente soddisfatto.
Io inizio a provare un senso
di nausea. Nausea per Don Giacomo, per il professor Cantelmi e per i
suoi giovani assistenti. Sono passati sei mesi dal mio primo incontro e
a questo punto mi sembra di non riuscire a sopportare oltre. Mi rendo
conto che in questo lungo periodo abbiamo solo parlato del mio
didietro. Per la prima volta realizzo che nessuno di loro mi ha mai
chiesto se mi era capitato di innamorarmi di qualche uomo. Nessuno ha
mai voluto sapere le mie emozioni di fronte ai rapporti omosessuali.
Possibile che non gli interessi altro che il numero di penetrazioni
"subite"? Il giovane psicologo mi fissa un nuovo appuntamento. Io lo
saluto e sparisco. Non metterò mai più piede in quello studio. Ormai ne
so abbastanza.