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Aihe: [RSF] I: [hyperlink] Gratis alla fonte, cara al bar .Minerale, ecco l'oro azzurro





Nei 40 centesimi di una bottiglia al supermercato, l'acqua pesa solo
per un quarto di centesimo
I due terzi dei costi se ne vanno per le bottiglie, un altro dodici per
cento serve a coprire marketing e pubblicità
Gratis alla fonte, cara al bar .Minerale, ecco
l'oro azzurro
I produttori: "I profitti lordi sono bassi, in
media intorno al quattro per cento del fatturato"
di MAURIZIO RICCI


ROMA - Sicura al 100 per cento, giurano i
produttori: mai
un'infezione da una nostra bottiglia. Saporita, fa capire il 98 per
cento di italiani che la preferisce sempre di più all'acqua potabile.
Salutare: per chi ha problemi di pressione e ha bisogno di un'acqua
leggera o, al contrario, per gli sportivi alla ricerca di un'acqua
ricca di sali minerali. Ma cara. L'acqua al rubinetto la paghiamo 60-80
centesimi a metro cubo, che equivale a mille litri. L'acqua minerale 40
centesimi per una bottiglia di 1,5 litri (al supermercato, si intende,
perché al bar l'unico limite è la faccia tosta del gestore). Cioè 25
centesimi al litro: 250 euro a metro cubo.

Il problema è che non è l'acqua che paghiamo tanto. Quella costa
pochissimo, quasi niente. A volte, visto che le fonti d'acqua minerale
sono di proprietà pubblica, noi - la collettività - gliela diamo in
concessione anche praticamente gratis. Quando va male (all'azienda),
Nestlè e concorrenti pagano a noi, oggi, come collettività, l'acqua che
finirà sugli scaffali del supermercato o dei bar gli stessi 60-70
centesimi a metro cubo che noi, singolarmente, paghiamo per l'acqua del
rubinetto. A fare i conti, si finisce sommersi da virgole e zeri: nei
40 centesimi della bottiglia del supermercato, la materia prima,
l'acqua, vale oggi, al massimo, 25 centesimi di centesimo. Praticamente
invisibile. Compriamo acqua, ma in realtà paghiamo la plastica della
bottiglia, il gasolio per trasportarla, gli spot per pubblicizzarla.

Ed è già un bel salto rispetto alla situazione di qualche anno fa.
"Liscia, gassata, gratis" titolava un vecchio documento di denuncia del
Wwf. La storia delle acque minerali è, in linea di principio, la stessa
dei bagnini che sfruttano le spiagge del demanio in concessione. Solo
che nella realtà è molto peggio, perché nessun bagnino è un gigante
multinazionale come la Nestlè e i soldi in questione sono molti di più.
Fino a pochi anni fa, la materia era regolata da una legge del 1927,
quando l'acqua minerale era il bicchiere che si andava a riempire alle
terme. La concessione, dunque, si pagava in base agli ettari di terreno
occupati per gli impianti. Spiccioli, anzi meno: da 5 a 60 euro per
ettaro. Questo spiega come la Nestlè potesse pagare poco più
dell'equivalente di 2.500 euro per imbottigliare la San Pellegrino (uno
dei marchi più famosi al mondo) o 15 mila euro per la Levissima. In
totale, la Nestlè spendeva probabilmente meno di 50 mila euro l'anno,
in tutta Italia, per avere l'acqua, su cui realizzava un fatturato di
500 milioni di euro. Il Veneto, dove si imbottiglia un quinto
dell'acqua minerale italiana, per un fatturato di 600 milioni di euro,
ne incassa tuttora, dalla concessione per ettaro, solo 300 mila.






La situazione è cambiata nel 2001, quando la riforma federalista ha
dato alle Regioni la competenza sulle acque minerali. Le Regioni hanno
cominciato ad intervenire, spinte anche da pronunce della magistratura,
come la Corte dei conti piemontese che, nel 2002, mise sotto accusa
l'allora giunta di centrodestra proprio per le concessioni sulle acque
minerali. Se alcune regioni sono ancora ferme alla vecchia normativa
(nelle Marche è di 5 euro per ettaro, in Abruzzo un forfait di 2.500
euro l'anno, tutto compreso) altre, soprattutto quelle dove maggiore è
la produzione di acqua minerale, hanno introdotto il principio di
commisurare il canone di concessione ai metri cubi di acqua utilizzata,
invece che solo agli ettari occupati. In Piemonte, ad esempio, 0,70
euro a metro cubo, in Lombardia 0,51. Gli effetti sono sui bilanci. Il
Piemonte prevede un aumento del canone da praticamente zero a un
milione di euro l'anno. Il Veneto da 300 mila a 2,7 milioni di euro.
Finora sono nove le regioni che hanno introdotto questo parametro, per
una quota, stima Ettore Fortuna, presidente di Mineracqua,
l'organizzazione confindustriale dei produttori, pari al 65-70 per
cento della produzione nazionale. Qualcuna l'ha introdotta con
entusiasmo. La giunta veneta aveva recentemente deciso di portare il
canone a 3 euro a metro cubo. Suscitando la protesta di Fortuna. "Qui -
dice - non è in discussione l'entità del canone. E' un problema di
concorrenza. Non è possibile che io paghi in Veneto 3 euro a metro cubo
e, nella regione a fianco, il Friuli, praticamente niente. La
concorrenza è falsata".

L'argomento ha fatto breccia nella giunta veneta che ha deciso di
adeguarsi alle linee guida che le regioni stabiliranno a livello
nazionale. Per evitare una legislazione a macchia di leopardo, la
Conferenza delle Regioni dovrebbe infatti varare una forchetta
minimo-massimo dei canoni, per spingere le regioni che ancora non
l'hanno fatto ad intervenire ed evitare disparità di concorrenza fra le
diverse fonti. La forchetta suggerita alle giunte è fra 1 e 2,50 euro
ogni mille litri (o metro cubo) imbottigliati. Se la media fosse di 2
euro a metro cubo, gli incassi dalle concessioni passerebbero dal quasi
zero attuale a circa 22 milioni di euro in totale. Meglio di prima,
naturalmente, nel capitolo "pagare l'acqua per quello che vale", ma
quanto meglio? "Non provi a commisurare i canoni di concessione al
fatturato di 3 miliardi di euro del settore" mette le mani avanti
Fortuna. "Quello è il fatturato al consumo, che comprende anche la
bottiglia a 5 euro al bar del Colosseo o al ristorante di Capri. Per
noi conta la grande distribuzione".

Attraverso i supermercati passano circa i due terzi
delle bottiglie di
acqua minerale, per un giro d'affari di circa 2 miliardi di euro. Se
tutte le regioni applicassero un canone di 2 euro a metro cubo e
incassassero 22 milioni di euro, le concessioni peserebbero sul giro
d'affari nella grande distribuzione al massimo per l'1 per cento. Vale
poco l'acqua minerale, anche dopo aver decuplicato il vecchio canone di
concessione. E allora, cosa paghiamo alla cassa? Soprattutto, la
bottiglia: "I due terzi dei costi sono per la plastica delle bottiglie"
dice Fortuna. "E un altro 12 per cento è marketing e pubblicità". E i
profitti? Bassi, assicura: "I profitti lordi sono, in media, intorno al
4 per cento del fatturato". In molti settori industriali si guadagna di
più. Considerando che la materia prima non costa quasi nulla, è un
risultato sorprendente. Oppure un paradigma della società dei consumi,
in cui la vera merce sono l'involucro (la bottiglia) e l'immagine (la
pubblicità).

(19 luglio 2007)