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To: cm-milano
Subject: [Cm-milano] Il ciclista: un ibrido invisibile(in una città invivibile)
Divulghiamo una riflessione del presidente di Fiab CICLOBBY, Eugenio Galli,
sullo stato della discussione milanese in tema di ciclabilità, con
riferimento al primo semestre 2007.

Fiab CICLOBBY onlus

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Il ciclista: un ibrido invisibile (in una città invivibile)

I mesi alle nostre spalle hanno rappresentato un periodo molto difficile per
coloro che abitualmente utilizzano la bici per la mobilità quotidiana.
Mentre traffico e inquinamento imperversano apparentemente inarrestabili,
non va certamente meglio la sicurezza sulle strade. Se il 2006 si è chiuso
con un bilancio pesante anche in termini di morti e feriti sulle strade
milanesi, il 2007 si è aperto con dati non meno allarmanti per le utenze
deboli, ciclisti e pedoni in primis. Numerosi incidenti, anche mortali, in
alcuni casi a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro, hanno suscitato
molta preoccupazione nella cittadinanza e un certo dibattito sui media, con
qualche seguito istituzionale.

In un crescendo di tensione, si è così arrivati alla manifestazione del 21
aprile, organizzata da Fiab CICLOBBY con il Comitato di viale Abruzzi, a cui
hanno aderito anche Cammina Milano e Legambiente, per ricordare Leonardo, il
ragazzo di 25 anni schiacciato tra due auto proprio in viale Abruzzi mentre
si recava al lavoro in bici la sera del 29 marzo. E, oltre a Leonardo, la
manifestazione ha ricordato, sui luoghi dove hanno perso la vita, anche Xiao
(40 anni), Pietro (42 anni), Luciano (58 anni). A ciascuno di loro abbiamo
dedicato un minuto di silenzio.
Per Leonardo, che ha lasciato una moglie e due bimbi piccoli, CICLOBBY - che
sta valutando la possibilità di costituirsi parte civile nel processo al suo
investitore - ha aperto una pubblica colletta, il cui ricavato (quasi 7.000
euro) è stato interamente consegnato alla famiglia.

A livello istituzionale, sul fronte del Consiglio comunale, la Commissione
consiliare Traffico, presieduta dal consigliere Marco Osnato, era stata
convocata per discutere su “Sicurezza stradale in città con particolare
riguardo a pedoni, ciclisti e motociclisti”, ma, dopo un rinvio della
riunione a metà aprile, non ci sono state ad oggi ulteriori novità.

Dal lato dell’Amministrazione comunale, l’assessore al traffico, Edoardo
Croci, ha costituito un gruppo di lavoro sulla sicurezza stradale formato da
dirigenti e tecnici comunali - che non è peraltro la Consulta cittadina da
noi più volte richiesta da anni, come luogo di confronto tra amministrazione
e utenti delle strade, di analisi dei problemi e condivisione delle
possibili soluzioni - di cui non sono noti gli esiti e neppure quali lavori
siano stati avviati.

In compenso, a partire da un certo momento, si è avuta da più parti la
sensazione di un inizio di reazione da parte del cosiddetto “Partito
dell’Auto a-Tutti-i-Costi”. Che ha preso il via da alcune grossolane
semplificazioni e pretestuose polemiche dapprima velate e poi sempre più
marcate, dirette proprio nei confronti di coloro che a Milano usano la bici.

Tra i primi a intervenire Marco Marelli, vicedirettore di Gente Motori, con
un articolo intitolato “Pedoni pirati e ciclisti daltonici” su E-Polis del
20 aprile. Poi una circolare del vice comandante della Polizia Locale di
Milano sul tema “circolazione delle bici sui marciapiedi”, datata 18 maggio,
che suscitava una vasta eco mediatica. Per giungere a un’estemporanea uscita
di Achille Colombo Clerici, presidente di Assoedilizia, che chiedeva di
mettere la targa alle biciclette “come in Svizzera” (anche se, come abbiamo
dimostrato, in Svizzera la targhetta - cd. “vignetta” - ha uno scopo
esclusivamente assicurativo) o in una Cina improvvisamente divenuta per
qualcuno patria di libertà civili e diritti individuali, modello di
riferimento delle politiche pro-bike.

In questa paradossale “centralità” assegnata alla bici, tutto d’un tratto
divenuta causa di ogni male, si accavallavano letture “politiche” anche
molto distorte e contrastanti, con un dibattito irrazionale e spesso
disinformato, più o meno consapevolmente teso ad accreditare la
responsabilità dei ciclisti rispetto a una drammatica situazione di
insicurezza stradale nella nostra città e ad alimentare un conflitto tra
utenze deboli (nella specie: ciclisti vs. pedoni). Forse - a pensar male si
fa peccato, ma spesso ci si azzecca - con l’intento di distrarre
l’attenzione pubblica dagli annosi problemi denunciati, di alleggerire il
peso delle responsabilità proprie di un traffico ormai senza regole né
freni, con i suoi nefasti effetti di inquinamento e insicurezza stradale,
che qualcuno si ostina a ritenere “vitali” (o un “male necessario e
inevitabile”) per la nostra città.

Una situazione assurda, che ci ha spinto dapprima a scrivere una lettera
aperta al Sindaco Moratti e all’assessore Croci, chiedendo loro di riempire
un preoccupante vuoto politico propositivo, e poi a organizzare, con
l’associazione dei pedoni Cammina Milano, il Coordinamento Comitati di
Milano e Legambiente, una manifestazione davanti a Palazzo Marino il 4
giugno. Per ribadire che le associazioni e i cittadini attivi si muovono
uniti per chiedere all’Amministrazione comunale di abbandonare polemiche e
proclami, a favore di una concreta politica della mobilità ciclopedonale.

Si dice che i ciclisti vogliono essere fuori dalle regole (o collocarsi al
di sopra di esse). Che vogliono fare ciò che credono, che invocano immunità
o impunità.
Non è così. Ma bisogna essere chiari.

Maleducazione, inciviltà, arroganza, stupidità sono da sempre trasversali e
non esistono categorie che possano dirsene esenti. Né abbiamo mai pensato
che tali possano esserlo i ciclisti, o di offrire copertura e
giustificazione a comportamenti incivili.
Allora, se si afferma che ci sono “alcuni” ciclisti arroganti, o
spericolati, si scopre l’acqua calda. Ma lo stesso discorso vale allo stesso
modo per “alcuni” pedoni. Come per “alcuni” automobilisti, motociclisti,
camionisti, e via categorizzando. Per iniziare a porvi rimedio è anzitutto
necessario che, chi deve, inizi ad intervenire anziché girarsi dall’altra
parte (adducendo un sedicente buon senso o inadeguatezza di organici a
propria permanente discolpa): per questo ci pare che non si capisca a volte
di cosa si sta discutendo.
In altri termini, mentre ha senso parlare di persone e affermare
responsabilità personali, da perseguire anche attraverso maggiori controlli
e sanzioni, oltre che con interventi educativi e rieducativi, discorso ben
diverso è voler fare di ogni erba un fascio, appoggiandosi a semplificazioni
che non toccano il cuore dei problemi.

Una volta che si abbia chiaro questo, cioè che nessuno degli attori della
circolazione stradale può ritenersi esente da responsabilità, non si può poi
evidentemente fare a meno di riconoscere che, affrontando seriamente
un’analisi sulla sicurezza stradale, non è davvero possibile mettere tutti i
comportamenti sullo stesso piano, ovvero collocarli tutti su un’identica e
indifferenziata scala di priorità.

Il ciclista a Milano è una sorta di ibrido misconosciuto: né pedone, né
veicolo, è mal sopportato ovunque; è spesso invisibile; non ha spazi che
possano accoglierlo offrendogli sicuro riparo (neppure le rare piste
ciclabili lo sono), non sa quindi molte volte neppure dove andare e come
difendersi da molteplici fonti di pericolo; si sente spesso “fuori luogo” e
gli viene sostanzialmente chiesto (verbo qui chiaramente eufemistico) di
arrangiarsi. A fronte di una mobilità ciclistica notevolmente cresciuta
nell’arco degli ultimi anni, nulla è cambiato per rispondere alla crescente
domanda di ciclabilità nella nostra città.
Tutto ciò appartiene al vissuto quotidiano di molti di noi. E’ accettabile
tutto questo?

Forse, anziché alimentare polemiche sterili, che frustrano molto ma non
risolvono i problemi, sarebbe bene darsi obiettivi comuni di miglioramento e
rimboccarsi le maniche per raggiungerli.
Se vogliamo aiutare a recuperare concretamente una civiltà sulle strade,
qualità e desiderabilità del vivere urbano, questo nodo deve poter essere
affrontato in tempi ragionevoli. Per il bene di tutti e con l’impegno di
tutti, ciclisti inclusi.

Eugenio Galli (presidente Fiab CICLOBBY onlus)

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