[NuovoLab] Perchè la pena

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Autore: ugo
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To: aderentiretecontrog8, forumgenova
Oggetto: [NuovoLab] Perchè la pena
Da una ricerca svolta negli anni 70 e 80 da Primo Moroni che lo portò a
interrogarsi sulla "necessità del carcere


......Occuparsi di carcere negli anni '70 e ' 80 dello scorso secolo era come 
pronunciare una sorta di auto-denuncia; il carcere veniva considerato il luogo 
per eccellenza nel quale la "sovversione" doveva essere annientata, ma 
simultaneamente il luogo dove la stessa sovversione poteva divulgarsi. I 
comitati per la difesa dei detenuti politici venivano presi di mira dagli 
inquirenti e dai mass media in quanto "agenti esterni e interni" della lotta 
armata, organismi di trasmissione del dissenso e della rivolta tra militanti in 
custodia e complici o simpatizzanti in libertà. Ricordo che alcuni attivisti, 
purtroppo, facevano propria questa interpretazione inquisitoriale e mediatica, 
quando ad  ' esempio guardavano con sospetto a iniziative contro il sistema 
carcerario che non si ispirassero ai leader "naturali" di quelle iniziative, 
vale a dire alle organizzazio-ni armate e ai loro militanti detenuti. Dopo 
tanti anni possiamo dirlo: il nostro lavoro con Primo Moroni non si ispirava a 
Renato Curcio (scusa Renato, non ti offendere), ma piuttosto al Michel Foucault 
di "Sorvegliare e Punire" e al Victor Hugo de "I Miserabili". Ecco un elenco 
sommario, apparentemente contraddittorio, di che cosa secondo noi costituiva e 
costituisce l'universo carcerario:
il carcere è una fabbrica che produce criminalità;
il carcere non è rivolto ai detenuti, ma a coloro che esigono continue 
rassicurazioni;
il carcere è il tributo pagato da chi non riesce a dimostrare che la sua 
condotta è meno dannosa di quella di coloro che lo condannano;
il carcere, quando inflitto ai minori, è una forma di nonnismo sociale erogato 
a chi deve 'pagare' per diventare come la maggioranza degli adulti;
il carcere, quando inflitto alle donne, è un avvertimento  affinché non 
diventino come gli uomini ;
il carcere, quando inflitto agli stranieri, è un monito rivolto a tutte le 
persone  socialmente vulnerabili: non crediate di poter commette  reati senza 
possedere status, protettori, alleati e complici nel mondo ufficiale;
il carcere traduce in sofferenza la nozione volgare (di scambio e commercio: 
il creditore si appropria del corpo e della mente del debitore, che è incapace 
di farsi commerciante;
-    il carcere non intende risocializzare, ma soltanto vendicarsi, producendo 
handicap psico-fisici;
-    il carcere serve ad abbassare le aspettative sociali di chi lo subisce: una 
volta in libertà, gli ex detenuti accetteranno qualsiasi occupazione e 
retribuzione;
-    il carcere è l'estensione del mercato del lavoro sommerso, destinato a chi 
si trova suo malgrado in una "porta girevole" che lo conduce periodicamente dal 
la-
lavoro mal retribuito al lavoro semi-legittimo, da qui al lavoro extra-legale 
e, appunto, alla detenzione; -,\ il carcere, in quanto crea opportunità di 
lavoro, è un contributo, una tassa, estorta da chi altrimenti sfuggirebbe al 
computo fiscale;
-    il carcere eroga servizi in condizione coercitiva a chi quei servizi non ha 
ricevuto in libertà;
-    il carcere è un deposito di esseri umani, un concentrato di problemi creati 
da chi non è in grado di risolverli;
-    il carcere è parte dell'industria della sicurezza, troppo remunerativa per 
concepirne l'abolizione.
Potrei continuare, ma credo di aver indicato alcuni temi sui quali lavoravamo 
insieme a Primo Moroni. Si tratta di temi sui quali molti gruppi e riviste 
(Contro-informazione, Senza Galere, Assemblea) svolgevano la loro attività di 
informazione e ricerca critica. Ecco perché uso il plurale: eravamo in tanti. 
Non ci interrogavamo soltanto sulle possibilità di ridurre le pene e di 
utilizzare la custodia con parsimonia, ma anche sulla natura stessa dei 
comportamenti penalizzati. Quando un gruppo di riformatori accademici coniò lo 
slogan "Liberarsi dalla necessità del carcere", ricordo che il nostro gruppo 
rispose con un documento dal titolo: "Liberarsi dall'idea della colpa". 
Abolizionismo penale, certo, e molto "sociologico", spero.


fonte : "COME" N°272 periodico su strada


hasta siempre


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Non potendo raffozzare la giustizia si è giustificata la forza     B. Pascal
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Ugo Beiso