[autorgstudbo] L'urto di Vicenza ed il teatrino

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Autore: autorgstudbo
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Oggetto: [autorgstudbo] L'urto di Vicenza ed il teatrino
Sabato 17 novembre la manifestazione No Dal Molin di Vicenza ha messo in crisi il teatrino della politica italiana come non si vedeva da tempo. Duecentomila persone hanno dato vita ad uno straordinario corteo che snodandosi attorno al centro storico ha scritto a chiare lettere di non volere la costruzione di una nuova base militare statunitense.
In testa al corteo lo spezzone, enorme, delle bandiere No Dal Molin ha urlato che Vicenza non vuole la base. Subito dietro quello No Tav, altrettanto imponente, ha ribadito che le popolazioni locali rivendicano il diritto di determinare il destino del proprio territorio. I centro sociali, i collettivi studenteschi e il mondo dell'autorganizzazione hanno scansato i tentativi di criminalizzazione e isolamento

AFFERMANDO A TESTA ALTA CHE DAL BASSO SI PUÒ E SI DEVE RESISTERE E COSTRUIRE.

Da quelle parti si sentiva scandire uno slogan,“noi non siamo in contraddizione”, che quelli del teatrino non possono neanche sussurrare. Da Bologna questo mondo ha chiamato centinaia di persone in stazione per muoversi insieme verso Vicenza, dando la migliore risposta possibile tanto a Cofferati e al suo vergognoso attacco ai centri sociali quanto alle mille inchieste imbastite da una parte della Procura.
A Vicenza si sono unite alle altre decine di migliaia di corpi che hanno sfidato il terrorismo mediatico con cui governo e stampa hanno tentato di boicottare la scadenza del 17, farneticando per giorni di presunte violenze. In parte hanno centrato l'obiettivo, perchè come alla vigilia tutti sapevano la notizia della giornata sarebbe stata “Per fortuna nessuna violenza”, per mettere in secondo piano numeri e i contenuti. Ma nei piani di molte segreterie di partito e redazioni giornalistiche qualcosa è andato storto, perchè la manifestazione di Vicenza ha saputo essere tanto partecipata e determinata da imporsi sul resto, facendo scadere nel ridicolo gli allarmismi di Amato e gli altri. Gli organizzatori di violenza che strillano dai quotidiani e dagli studi televisivi hanno dovuto ripiegare su due cartelli e uno striscione pur di tenere alta la tensione. La campagna inaugurata da Pierluigi Battista dalle colonne del Corriere, prima ancora che scattassero i noti arresti, è finita nel cestino della carta straccia. E lì rimarrà fino alla prossima volta in cui farà comodo tirar fuori le paure altrui per scacciare le proprie. Sì perchè Prodi aveva davvero paura di Vicenza. Solo che a preoccuparlo non era la violenza, ma il portato sociale e politico che quella manifestazione avrebbe scaricato sul tavolo del governo. Basti pensare a cosa avrebbe potuto e dovuto portare quella piazza di duecentomila persone se all'ultimo momento il piano del discorso non fosse stato completamente capovolto. Il governo Prodi non avrebbe potuto assorbire un colpo simile. E invece sono riusciti ad aggrapparsi all'ultimo degli appigli, quello della violenza mediatica, con l'evidente obiettivo di far passare Vicenza dal paradigma di “manifestazione straordinariamente aperta” a quello di “manifestazione fortemente rischiosa”.Tanto che soggetti politici come la CGIL, che fino al giorno prima sarebbero dovuti scendere in strada senza alcuna legittimità politica e con pesanti contraddizioni in mostra, con il rischio di ricevere i fischi di una piazza coerente e radicale, improvvisamente hanno potuto erigersi a tutori dell'ordine, cercando di trasferire ai movimenti il ruolo di corpo estraneo.
Non gli è riuscito. Ma ciò non significa che il movimento di Vicenza possa tradurre una legittima soddisfazione in proclami trionfalistici. Le parole di Prodi, “Abbiamo già deciso e basta”, mostrano quanto le forze di governo vogliano essere sorde a ciò che non riescono a far tacere. I pennivendoli hanno subito cambiato registro ma sempre per assecondare ciò che il teatrino gli commissiona. L'editoriale di Repubblica con cui Scalfari ha tentato di affermare che il limite della manifestazione vicentina era di essere in troppi (?) suggerisce quanto in basso possa spingersi la dignità intellettuale. Ma anche che si avvicinano alla frutta, e difatti comincia a spuntare qua e là qualche ipotesi di concessione: “La base si fa, ma magari un po' meno impattante”. Significa un po' meno enorme? Un po' meno dispendiosa? O forse un po' meno militare? D'Alema parla di modificare la localizzazione, supportato dal segretario di Rifondazione Comunista, Franco Giordano, secondo cui ci sono i margini per spostare fuori Vicenza la base, che a detta sua è ciò che il movimento di Vicenza chiede. A detta sua, perchè invece la comunità vicentina e con questa il messaggio trasmesso il 17 è contro le basi, ovunque, e contro la guerra. Evidentemente Giordano si è perso qualche passaggio, troppo impegnato ad articolare l'arduo pensiero che lo porta a dire che il suo partito “è parte del governo e parte del movimento”. Sarà, ma a giudicare dai fatti sembra che non conti nulla né nel governo, né nel movimento. Questo perchè né Rifondazione né il resto della sedicente sinistra radicale possono realmente nascondersi dietro il dito degli esponenti di governo che non scendono in piazza contro sé stessi. Vale a dire che non possono pretendere che si creda al teorema secondo cui se la base dei partiti manifesta ma un sottosegretario viene costretto a rimanere a casa allora le contraddizioni svaniscono nel nulla. Si è giunti a un livello talmente fenomenico della politica?
La risposta traballante che il teatrino sta tentando di dare a ciò che Vicenza ha segnato dimostra tre cose. La prima è che la strada di affidarsi ai finti accomodamenti di governo non può essere percorribile, né per il Dal Molin né per l'Afghanistan né per altro. La seconda è che è possibile mettere in crisi il gioco delle parti con cui il governo Prodi tira avanti, con la determinazione e la radicalità che dovranno continuare a guidare la lotta di Vicenza. La terza è che anche il trucco dell'alternanza centrodestra-centrosinistra manifesta delle crepe, e in queste l'autorganizzazione sociale deve inserirsi per progettare e praticare forme di un mondo altro.

Rete Universitaria Bologna
per l'autorganizzazione sociale

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