[NuovoLab] LA CONDANNA A MORTE PIU' LUNGA DEL TEXAS

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LA CONDANNA A MORTE PIU' LUNGA DEL TEXAS

Lunedì, 15 Gennaio 2007 - 00:05 -
di Bianca Cerri

George Bush frequentava ancora l’università di Yale quando Ronald Curtis
Chambers, muratore afro americano, entrò nel braccio della morte del Texas. Era
appena diventato padre di una bambina ma l’infanzia passata nel ghetto di
Dallas, dove prosperavano armi e droga e dove ci si può sentire molto più soli
che altrove, avevano già segnato la sua esistenza. Dopo una rapina finita con
la morte di un uomo, Chambers ed il suo complice, Clarence Williams, erano
stati arrestati e accusati di reato capitale. Per salvarsi la vita, Williams
gettò tutta la responsabilità su Chambers ed ottenne una pena mite mentre
Chambers venne condannato a morte. In Texas, le giurie non hanno mai speciali
riguardi nei confronti dei neri e dopo 45 minuti di dibattito arrivò la
sentenza irrevocabile. Da 11.500 giorni all’incirca, Ronald Curtis Chambers
vive in un mondo obsoleto, fatto dei pochi metri soffocanti di una cella, di
secondini razzisti e di tanti altri mali che la maggior parte della gente non
conoscerà fortunatamente mai. Per 11.500 volte ha indossato gli stessi abiti,
mangiato lo stesso cibo insapore, dormito nel letto-bunker riservato ai
condannati a morte.

Ma la vendetta nei suoi confronti non si è ancora esaurita e il 25 gennaio
prossimo Chambers verrà giustiziato nel famigerato edificio noto come “The
Walls”, che si trova ad Huntsville, dove l’economia si basa interamente sulla
pena capitale. I nomi di coloro che gli inietteranno il veleno una volta che
sarà legato saldamente ad un lettino non sono stati resi noti l’amministrazione
penitenziaria non ha nessun interesse a farli conoscere.

L’ordinamento del braccio della morte del Texas, l’ingiustizia legalizzata, la
mancanza di principi morali che dovrebbero ispirare la legge sono più che
sufficienti a cambiare l’indole dei detenuti. Tuttavia, Ronald Chambers non ha
abbracciato alcuna forma di perversione e non si è mai abbandonato alla
violenza per tutti e 31 i lunghi anni sella sua detenzione. Tutti gli
riconoscono una certa integrità e la stessa amministrazione ha ammesso che si è
sempre distinto per la buona condotta. Si è adattato alla sua condizione forse
nella speranza di essere un giorno riammesso nella società libera. Nel 1987, la
condanna a morte era stata abrogata ma sette anni più tardi i giudici d’appello
avevano avuto un ripensamento e Chambers era tornato nel braccio della morte.

E’ piuttosto sorprendente che, mentre tutto si evolve, lo stato del Texas
continui ad amministrare una giustizia ferma all’epoca dei pionieri. Dal giorno
in cui Chambers è stato chiuso in una cella l’assetto geo-politico del mondo è
cambiato, sono nate le reti telematiche, la guerra ha travolto interi paesi ma
il desiderio di vendetta nei suoi confronti non si è attenuato. Persino agli
occhi disincantati di un cronista, tanta inerzia e tanta stolidità risultano
incomprensibili. Non basta che un uomo abbia tenuto una condotta esemplare per
oltre 30 anni affinché si consideri saldato il suo conto con la giustizia, ci
vuole la sua morte. Persino i famigliari della vittima hanno affermato che
l’esecuzione non servirà a risarcirli della loro perdita, ma lo stato pretende
di scavalcare anche il loro parere pur di affermare il suo desiderio di
vendetta.

Oggi Ronald Chambers è un uomo di 51 anni, che ha visto precederlo nel cammino
dell’ultimo miglio 380 uomini, ad alcuni dei quali era molto legato. Fra pochi
giorni, lui stesso si avvierà lungo quel difficile percorso dal quale non c’è
ritorno. Gli agenti non avranno bisogno di stanarlo dalla cella né di
trascinarlo fuori di peso come è accaduto con tanti altri. In un’intervista ha
detto: “Ho avuto tanta pazienza in questi anni o ce l’avrei fatta”. Forse avrà
inteso dire che anche nel momento più duro avrà pazienza. Recentemente ha
ricevuto la visita della figlia, ormai ultra trentenne, anche lei vittimizzata
dalla vicenda del padre nonostante avesse solo pochi giorni quando Chambers
venne condannato a morte. Il suo non è un caso unico: perché è scontato che se
la legge non protegge la vita dei detenuti significa che non è in grado di
proteggere neppure chi è fuori.

Nei 31 anni trascorsi nel braccio della morte, più di qualsiasi altro
condannato, Chambers ha resistito ai tentativi di brutalizzazione fatti dalle
guardie per infrangere il suo spirito e la sua forza di volontà. Ha fatto da
testimone a tante e tali atrocità che ci vorrebbero secoli per descriverle. Ora
il sistema giudiziario razzista in vigore in Texas si appresta ad ucciderlo pur
sapendo che non sarà la sua esecuzione ad arginare i mali del paese. Servirà
solo a dimostrare che nelle disgraziatissime colonie d’America l’oppressione
furoreggia trionfante.

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