[NuovoLab] Libano: ancora una missione di guerra

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Author: Edoardo Magnone
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To: veritagiustiziagenova
CC: forumgenova
Subject: [NuovoLab] Libano: ancora una missione di guerra
Articolo vecchiotto che rende l'idea sulla politica delle armi basata sulla
"riduzione del danno" e del "impedire una guerra".

Edordo Magnone

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Libano: ancora una missione di guerra

Appare sconcertante, oltre che inaccettabile, persino più che nel voto per la
missione in Afghanistan, la facilità con la quale l’intero centrosinistra e
gran parte dell’area pacifista (o soi-disant tale) hanno approvato l’immissione
di militari italiani nella guerra in Libano. Per l’Afghanistan qualche voto
contrario in Parlamento ed un certo imbarazzo nelle aree pacifiste pur
sottoposte alla “sindrome del governo amico” almeno si manifestarono: stavolta
l’accettazione di una seconda missione bellica, travestita “more solito” da
missione di pace, si accompagna quasi alla soddisfazione di chi si sente
portatore di azioni virtuose. Già è sorprendente che coloro che tanto ci hanno
ossessionato con la mistica della non-violenza integrale, del “mai neanche uno
schiaffo”, e con lo spregio delle resistente armate - che con tutta evidenza
sono il primario ostacolo alle mire imperialistiche Usa - oggi per due volte
consecutive trovino naturale che truppe armate, e non civili o diplomatici,
pretendano di imporre la pace. Ma c’è poi l’aggravante dell’invio di militari
in un panorama bellico persino più esplosivo di quello afgano. Nessun membro
del governo Prodi può ignorare la portata del conflitto libanese, collocato
esattamente nel cuore della guerra permanente Usa: e il fatto che Israele non
ha deciso di massacrare la popolazione libanese e di prendere di petto
Hezbollah per recuperare due soldati, ma che ha fatto da braccio armato,
persino stolido, alla volontà statunitense di destabilizzare totalmente la
zona, di arrivare ad uno scontro diretto con la Siria e di mettere con le
spalle al muro l’Iran, nella prospettiva del “grande Medio Oriente”, dal
Mediterraneo fino alle porte di Cina e India, dominato dagli Usa, con in mano
le chiavi energetiche del pianeta, mentre si delinea uno scontro mortale per
l’egemonia globale con le nuove (e vecchie) potenze emergenti. Né è pensabile
che il governo e i pacifisti colpiti dalla sindrome non abbiano percepito la
grande novità di questo conflitto: e cioè che, contrariamente a quanto sempre
successo, l’esercito israeliano si è dimostrato impotente di fronte alla
guerriglia di una decina di migliaia di combattenti ben organizzati, armati
decentemente e disposti a morire, seppur non in modo suicida, che hanno
dimostrato di poter colpire Israele in modo ben più dirompente che con gli
attentati suicidi. E’ questa sconfitta e l’evidente isolamento della barbara
aggressione israeliana che hanno costretto Olmert all’accettazione del “cessate
il fuoco”, assai di più della pur importante mobilitazione mondiale. Ma di
fronte a tale sconfitta, due sono le ipotesi per il futuro: la prima, altamente
improbabile, prevederebbe un salto di coscienza nella leadership israeliana sui
rischi che il proprio paese corre nel nuovo scenario continuando a fare il
“panzer” Usa, e la presa d’atto di inevitabili trattative per dare una vera
patria ai palestinesi e per restituire territori al Libano e alla Siria; la
seconda, assai più probabile, vede Israele seguire fino in fondo il progetto
Usa di destabilizzazione della zona. In entrambi i casi la presenza di truppe
Onu e italiane appare o inutile o altamente dannosa e provocatoria. Nel primo
caso ciò che il governo dovrebbe fare è convincere Israele a trattare sul serio
una pace stabile con i vicini; mentre nel secondo, quello nell’ordine delle
cose, le truppe finirebbero, nel tentativo impossibile di fare il “lavoro
sporco” che non è riuscito ad Israele, per essere utilizzate per dimostrare,
pagandone il prezzo, “l’inaffidabilità” di Hezbollah, consentendo poi ad
Usa-Israele di intervenire con una guerra a tutto campo e “alle fonti”. Perché
dunque tanta “leggerezza” da parte del centrosinistra? La risposta è la stessa
che per la missione afgana. Il governo si fa carico delle esigenze
sub-imperialistiche del capitalismo italiano che, privo di ricchezze
strategiche e di forza economica autonoma, ritiene di poter partecipare al
banchetto liberista mondiale solo attraverso un ruolo politico “mediatorio” che
richiede però un forte impegno militare. In quanto all’area governativa
“non-violenta”, e al Prc in primo luogo, ci sembra che predomini la nefasta
teoria della “riduzione del danno”, che qui si accontenta dei proclami sul
non-disarmo di Hezbollah come per l’Afghanistan si affidava alla peregrina tesi
della non-uscita da Kabul: in generale la linea appare quella del restare al
governo a tutti i costi. In quanto, infine, a tanto pacifismo senza se e senza
ma, abbiamo già detto della sindrome: ma in più (vedi Tavola della Pace) c’è il
rilancio della micidiale teoria del “riprendiamoci l’Onu”, e persino un certo
entusiasmo nell’illusione di un uso “buono” di uno strumento che oscilla senza
scampo tra impotenza e piena subordinazione al dominio Usa. Per tutti coloro
che, come noi, sono con la resistenza dei popoli e che ne vedono con
soddisfazione crescere la forza e che vogliono contribuire al loro successo con
la mobilitazione italiana ed europea no-war, si profila l’appuntamento deciso al
Fse di Atene della settimana di iniziative tra il 23 e il 30 settembre (con
manifestazioni nazionali sabato 30), anche con la ovvia proposta di estendere
la piattaforma ai nuovi eventi libanesi.

Piero Bernocchi

da Liberazione 22 agosto 2006