INCHIESTA
Ryan Air ha permesso di viaggiare a milioni di persone non ricche, però...
Quel che si nasconde dietro la compressione dei costi operata dalla prima
compagnia aerea «a prezzi popolari»: via le cose inutili, ma anche sfruttamento
estremo di tutto il personale. Con possibili ricadute anche sulla sicurezza
dei passeggeri
SERENA DANNA
GIUSEPPE LATOUR
Da dove ha preso tutti quei soldi? Il caimano irlandese si chiama Michael
O'Leary, amministratore delegato della Ryan Air. Nel 1985, con un capitale
iniziale di una sterlina, la compagnia aerea trasportava cinquemila passeggeri.
Due decenni dopo, i passeggeri sono quasi venticinque milioni e la pioniera
delle low cost è per tutti (analisti compresi) un modello da studiare e imitare.
Le ragioni di questo successo vanno ricercate ufficialmente nelle intuizioni
geniali di O'Leary: customer care ridotto all'osso, eliminazione delle spese
superflue, utilizzo degli scali secondari ignorati dalle compagnie maggiori
e flotte composte da un unico modello di aereo per abbattere i costi di manutenzione.
Ufficialmente, appunto. Quello che si nasconde dietro il biglietto a novantanove
centesimi poco c'entra con i colpi di genio dell'Ad: risparmio sulla sicurezza
di voli e passeggeri, sfruttamento dei lavoratori e aiuti di stato. Le accuse
contro la compagnia piovono da tutta Europa, ma la Ryan tira diritto e sceglie
la via del silenzio stampa.
Fresca, dissetante: spremuta di lavoratore
«Vuoi lavorare con noi? Vai su
www.crewlink.ie». Comincia con un application
form l'intricato percorso che l'aspirante operatore di volo intraprende per
realizzare i sogni promessi da O'Leary sul sito della sua compagnia: «Nuovi
amici, divertimento, fantastiche opportunità di lavoro».
Crewlink è la società interinale, con sede a Dublino, che si occupa di selezione
e gestione del personale per la Ryan Air. «L'agenzia serve a simulare la
nascita del rapporto di lavoro in Irlanda in modo tale da applicare al dipendente
la legge irlandese», ha dichiarato Mauro Rossi, coordinatore del trasporto
aereo per la Filt-Cgil. Al punto 5 del contratto standard Ryan Air viene
specificato che «gli aerei sono registrati nella Repubblica d' Irlanda, per
questo le prestazioni sono sottoposte alla legge irlandese». Continua Rossi:
«Il dipendente risulta assunto a Dublino anche se lavora stabilmente a Roma.
In questo modo, sfruttando la legge di un paese per il quale i diritti dei
lavoratori sono spesso un optional, si aggirano le nostre leggi in materia
di fisco e previdenza». Inviata la domanda, il futuro steward riceve l'invito
di Crewlink a un seminario di selezione: «Alla fine del seminario - racconta
Paola, ex hostess recentemente licenziata - mi comunicano che sono stata
scelta per un corso di formazione. Il prezzo era 1500 euro, vitto e alloggio
esclusi». Training concluso, arriva il «contratto di prova» Crewlink: dodici
mesi con una sola settimana di preavviso in caso di licenziamento. Come si
legge nel contratto, molte spese essenziali vengono tagliate direttamente
dallo stipendio: «Il costo del parcheggio dell'aeroporto, riservato allo
staff, sarà detratto dal salario» (punto 15); «Il costo dell'uniforme, fornita
dalla compagnia, sarà scalato mensilmente dal salario» (punto 17). Inoltre,
il dipendente non ha diritto a pasti pagati dalla compagnia e non può ricaricare
il cellulare utilizzando corrente Ryan Air.
Il ricambio continuo, alimentato dai costosi corsi di formazione, servirebbe
a sgravare la compagnia da doveri nei confronti dei lavoratori. «A parte
rare eccezioni - afferma Rossi - i contratti non vengono rinnovati. Allo
scadere dell'anno di prova il dipendente si sente dire che non risponde più
ai canoni aziendali e viene fatto fuori». Luca, ex-steward, racconta: «Quando
mi ammalavo, spesso continuavo a volare per paura di essere licenziato. Ci
avevano detto che dovevamo evitare di assentarci. Allo scadere del contratto,
quando è cominciato il corso di formazione per i nuovi sventurati, un po'
alla volta ci hanno mandato a casa tutti».
Chi garantisce lavoratori così bistrattati? Nessuno, visto che la Ryan di
fatto non consente ai suoi dipendenti di riunirsi in associazioni sindacali.
E quei pochi che chiedono aiuto a sindacati esterni ne pagano le conseguenze:
nel maggio 2005 la compagnia low cost ha annunciato aumenti di stipendio
del 3 per cento solo per i dipendenti non iscritti al sindacato.
«La notizia è allarmante - ha dichiarato Claudio Genovesi, segretario nazionale
della Fit-Cisl - ricordiamo che molti lavoratori Ryan sono italiani. Bisogna
garantire il diritto alla rappresentanza e la libera espressione associativa.
Qualsiasi discriminazione in questo senso contrasta apertamente con la nostra
Costituzione».
Posto 1-A? Io vado a piedi
Il 13 febbraio 2005 l'emittente inglese Channel 4 manda in onda un documentario
dal titolo «Ryan air: caught napping». Realizzato dalla Steve Boulton Productions,
il filmato denuncia le carenze della compagnia in materia di sicurezza. Le
giornaliste inglesi Charlotte Smith e Mary Nash, superate le selezioni per
diventare operatrici di volo, lavorano per due mesi, armate di telecamera,
alle dipendenze della low cost.
Stando alle immagini trasmesse, gli standard di sicurezza del vettore irlandese
sarebbero molto più bassi della media europea: l'ispezione di transito tra
atterraggio e decollo, normalmente affidata a un tecnico, sarebbe, sugli
aerei Ryan Air, tra le competenze del pilota. Ugualmente sbrigativo il controllo
dei documenti di identità dei passeggeri all'imbarco. Il filmato mostra una
scena in cui miss Nash riceve l'ordine di non verificare i passaporti per
affrettare il decollo dall'aeroporto di Göteborg. A causa dei pesanti turni
imposti agli operatori dalla compagnia (fino a 10 ore al giorno per 5 giorni
consecutivi), hostess e steward vengono più volte sorpresi a dormire in volo.
Durante la fase di training, la classe di miss Smith viene informata dall'istruttore
che, in caso di atterraggio violento del Boeing 737-200, il passeggero seduto
nel posto 1-A può essere colpito da un pezzo di metallo sporgente posto all'altezza
della testa.
Lo stesso training pare essere una farsa: un insegnante scherza con miss
Nash sul fatto che la parte più difficile del test finale consisterà nello
scrivere il nome sul foglio. Tesi confermata anche da ex-dipendenti italiani:
«Il corso - ha dichiarato Paola - è durato un mese. Non abbiamo neanche visto
un aereo fino al giorno prima dell'esame, quando ci hanno portato in Inghilterra
e abbiamo fatto delle prove su un aereo fermo, di notte». E se in Italia
l'abilitazione di assistente di volo viene rilasciata dall'Enac (Ente nazionale
per l'aviazione civile), dopo otto mesi di addestramento e attenti esami,
per lavorare con Ryan Air è sufficiente un brevetto firmato O'Leary, rilasciato
dopo il corso e non riconosciuto dalle altre compagnie. Purtroppo l'approssimazione
colpisce anche i piloti. Massimo Notaro, presidente dell'Unione Piloti racconta:
«Di regola il neo-pilota ha bisogno di un periodo lungo di supervisione da
parte del comandante e di un istruttore. In Ryan Air i tempi sono ridottissimi
e quasi subito può volare da solo». In Italia ogni anno sono necessari corsi
di aggiornamento mentre, riferisce Notaro, «per la compagnia irlandese le
reminiscenze della preparazione iniziale sono sufficienti».
Mi può dare un aiutino?
Come già detto, la compagnia, anziché passare per i grandi e costosi scali
nazionali, ha deciso di posizionare quasi tutte le sue basi in piccoli centri
periferici. Ottima mossa, visto che, invece di pagare le società di gestione,
la Ryan Air, risorsa cospicua per scali minori, viene fortemente agevolata
proprio da chi amministra gli aeroporti: «Le società di gestione - si legge
in una nota del Sult (sindacato unitario lavoratori trasporti) - per attirare
traffico sovvenzionano con soldi pubblici le compagnie low cost, falsando
la concorrenza e determinando di fatto la più completa destrutturazione del
sistema di trasporto aereo italiano». Proprio il Sult ha presentato, nel
dicembre 2005, un esposto contro la Ryan Air e l'aeroporto di Alghero, denunciando
che «la società di gestione aeroportuale darebbe sostanziosi contributi alla
linea aerea».
Il problema non è solo italiano. La Commissione europea, nell'aprile 2004,
ha obbligato la compagnia a restituire quattro milioni di euro all'aeroporto
belga di Charleroi. I soldi sarebbero arrivati direttamente dalle casse della
regione Vallonia, configurando un illecito aiuto di stato all'azienda.
Interrogato, il morto non rispose
Il sindacato europeo dei trasporti si sta mobilitando per dare voce ai lavoratori
della compagnia e lo fa attraverso un sito dal nome esplicativo:
www.ryan-be-fair.org.
La pagina web dà testimonianza delle iniziative prese in tutta Europa contro
Ryan Air. In Francia, dopo la messa in onda del documentario di Channel 4,
il governo ha chiesto una verifica alle autorità dell'aviazione civile.
In Italia tutto tace: l'Enac, responsabile dell'aviazione civile, al momento
resta inerte. Dopo varie sollecitazioni, l'ente non ha voluto prendere posizione
sull'argomento, limitandosi a una dichiarazione di circostanza.
Lo stesso vale per l'Anpac (Associazione Nazionale dei Piloti Aviazione Commerciale)
che, a quasi due mesi, dalla messa in onda del filmato, dichiarava con sorprendente
sollecitudine: «Se i contenuti trasmessi dovessero riflettere la situazione
di Ryan Air, riteniamo che le istituzioni competenti e i cittadini debbano
essere subito informati». Gli unici segni di vita arrivano dalla Cgil che
ha scelto di portare la vicenda davanti ai giudici. Impresa ardua per la
mancanza di lavoratori disposti a mettersi in conflitto con Ryan Air. In
attesa di una normativa europea, la strada intrapresa è chiara: bisogna dimostrare
che il rapporto di lavoro nato e svoltosi in Italia è sottoposto a diritti
e doveri della legge italiana. Intanto dalla Ryan Air non si ottengono chiarimenti:
«La politica aziendale - spiega l'ufficio stampa - è quella di non rispondere
su determinati argomenti». L'unica persona che ci ha concesso un'intervista
è Bridget Dowling, responsabile marketing per l'Italia: «I nostri dipendenti
- ha dichiarato - non possono lamentarsi. La retribuzione media è di cinquantamila
euro all'anno e la mancanza di rappresentanze sindacali è una loro scelta.
Hanno votato esprimendosi contro la possibilità di riunirsi in associazioni».
E la notizia degli aumenti di stipendio ai lavoratori non iscritti al sindacato?
«Su questo argomento - conclude - non sono autorizzata a rispondere».
Da Il manifesto del 20 aprile 2006
Ugo Beiso