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Aihe: [NuovoLab] Bernocchi: «Contro la guerra un corteo controcorrente»
liberazione 15.3.06

Il 18 marzo giornata mondiale per il ritiro delle truppe. Intervista al portavoce dei Cobas
Bernocchi: «Contro la guerra un corteo controcorrente»


Checchino Antonini
«Perché questa volta sembra così difficile richiamare nelle piazze le bandiere arcobaleno?». A una manciata di giorni dall’anniversario dello scoppio della guerra, non si può cominciare l’intervista con Piero Bernocchi, storico portavoce dei Cobas, senza la domanda fatidica. Perché, a guardare da Roma la “seconda potenza mondiale” (come il New York Times definì il movimento pacifista), sembrano anni luce quelli che ci separano dall’invasione di Roma ad opera di tre milioni di persone il 15 febbraio del 2003.

Vero Bernocchi?

Non si può attribuire tutte le responsabilità all’efficacia della mobilitazione. In Inghilterra, ad esempio, l’attenzione è ancora altissima anche se non si è ottenuto il ritiro delle truppe. C’è anche una difficoltà a trovare un elemento di collegamento, come accadde per il Vietnam, con chi resiste lì. E poi c’è un dato molto italico: il ruolo del centro sinistra che ha lavorato ai fianchi per dividere il movimento. Perché in questa orripilante campagna elettorale, una delle più mefitiche dal dopoguerra, ogni cosa risulta inquinata. Dobbiamo mantenere il senso delle proporzioni: in Iraq e in Palestina continuano a morire civili innocenti, gli Usa preparano una nuova guerra, non è possibile dimenticarcelo.


Conteranno le polemiche sorte intorno ad alcuni cortei recenti?

C’è un terrore diffuso, sembra che manifestare sia diventato eversivo. E’ un clima costruito ad arte dal governo ma sarebbe irresponsabile evitare il passaggio del 18 marzo. Passano settimane nel commentare uno slogan imbecille e non si parla di torture, contractors italiani, prigioni clandestine e fosforo bianco. Per quanto imbecille, uno slogan non ammazza come il fosforo bianco.


Ce l’hai anche col centro sinistra?

Certo, il centrosinistra non ha fatto nulla per smontare quel clima perché la nostra piattaforma gli creerà problemi.


Impossibile far finta di non aver visto le immagini milanesi.

Nessun parallelo è possibile con Milano: lì c’è stata una catena di responsabilità gravi che vanno messe nell’ordine: la prima è di chi ha consentito la manifestazioni della teppaglia nazista, che nega l’Olocausto. Sono gli stessi soggetti che si scandalizzano per una bandiera israeliana bruciata. Ci sono poi responsabilità serie del centrosinistra che è scappato: non ha fatto nulla per impedire la manifestazione neofascista, né per organizzare una seria iniziativa antifascista. Dopo c’è l’area antagonista che ha lasciato soli qualche centinaio di giovanissimi e, in fondo, quella di chi è caduto nella trappola della questura e s’è andato a suicidare politicamente. Ma, per la manifestazione di sabato i presupposti sono completamente diversi.


Torniamo alla piattaforma. Perché dicevi che crea problemi al centrosinistra?

La nostra è una piattaforma unitaria, rilanciata dal forum di Caracas, che non si limita a chiedere il ritiro delle truppe ma propone una linea di politica estera opposta a quella del governo e lontanissima da quella della maggioranza del centrosinistra. Per esempio quando si reclama il ritiro da tutti i teatri di guerra. Infatti, nell’Unione c’è chi non ha alcuna intenzione di ritirarsi dall’Afghanistan. Oppure sullo smantellamento basi e quando prende di petto le modalità con cui gli Usa spadroneggiano: i rapimenti, i voli fantasma. Chi si appresta a sostituire Berlusconi riconferma la fedeltà all’alleanza con gli Usa e partecipa alla pressione micidiale perché passi l’idea che i palestinesi vengano abbandonati a se stessi.


Cosa non c’è, invece, in questa piattaforma?

Mancano la solita denuncia del terrorismo e pure il punto sul sostegno esplicito alla resistenza. Parole d’ordine che si sono neutralizzate a vicenda. La prima perché, pur essendo tutti contrari alle stragi, non condividiamo la tesi sull’esistenza di una centrale “cosmica” del terrorismo internazionale. L’altra perché alcune componenti del movimento temevano di non poter prendere le distanze da certe componenti della resistenza irachena. La formula scelta è quella di mettere in campo i punti in comune ma è già tantissimo: anche in condizioni normali una manifestazione su questa piattaforma porrebbe un sacco di preoccupazioni a chi lavora per un esercito europeo o vuole lasciare le truppe straniere nei teatri di conflitto. Una scadenza comunque costruita controcorrente.





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