[NuovoLab] La manifestazione del 18 marzo per la pace deve e…

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Aihe: [NuovoLab] La manifestazione del 18 marzo per la pace deve essere grande
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Intervista ad Alessandra Mecozzi, a capo dell’Ufficio internazionale della Fiom-Cgil
«La manifestazione del 18 marzo per la pace deve essere grande»


Gemma Contin
Un altro fronte di guerra sta per aprirsi nel Vicino Oriente. L’asse dello scontro armato si sta spostando infatti da Baghdad a Teheran, con le ultime
dichiarazioni di Condoleezza Rice, segretaria di Stato degli Stati Uniti d’America, responsabile e suggeritrice della politica estera di George Walker
Bush, cui ha fatto eco il ministro degli Esteri uscente Antonio Martino che ieri ha dichiarato: «Non sono ottimista sulla crisi tra Iran e Occidente, legata all’arricchimento dell’uranio. Dobbiamo essere preoccupati perché il capo del governo è Mahmud Ahmadinejad, noto antisemita che parla della distruzione di Israele e nega la shoa, anche se è necessario percorrere fino in
fondo la strade della diplomazia».

Dall’altra parte, le organizzazioni pacifiste e non violente tirano le fila in preparazione della manifestazione che si terrà a Roma sabato 18 marzo per la “Giornata internazionale contro la guerra e le
occupazioni”.
Dell’una e dell’altra cosa ne abbiamo parlato con Alessandra Mecozzi, responsabile dell’Ufficio internazionale della Fiom-Cgil.

Questa partecipazione del sindacato e dei lavoratori, assieme all’Arci e alle altre associazioni pacifiste e nonviolente, assume una valenza molto forte dopo
l’ordine del giorno contro le guerre che la Cgil ha posto al suo congresso, ma soprattutto in opposizione alla nuova escalation militare della Rice. Vuole commentare quelle dichiarazioni e spiegare lo sforzo che sta compiendo il
sindacato per la riuscita della Giornata del 18 marzo?

Intanto speriamo che questo nostro sforzo non venga vanificato. Proprio in queste ore siamo impegnati nella riuscita della manifestazione, per la partecipazione dei delegati, lavoratrici e lavoratori metalmeccanici della
Fiom, a questa iniziativa che riteniamo molto importante, come ogni iniziativa contro la guerra e per la pace. Ciò avviene però in un momento significativo a livello nazionale, perché siamo in fase preelettorale. Si tratta di dire con chiarezza che è indispensabile una politica radicalmente diversa da quella dell’attuale governo. Ed è un momento particolare anche per le dichiarazioni
che vengono dagli Stati Uniti, a pochi giorni dalla visita del presidente del Consiglio Berlusconi.

Qual’è la piattaforma condivisa su cui si impernia la Giornata e la partecipazione di tutte le associazioni?

Il segno è molto chiaro e la piattaforma, a partire da quello che è davvero indispensabile e irrinunciabile, cioè il ritiro delle truppe dall’Iraq, va molto al di là della stessa vicenda irachena. Riguarda l’iran, riguarda la
Siria, riguarda tutto il Medio Oriente. Riguarda il fatto che si vada a una soluzione della vicenda curda, la questione dell’occupazione dei territori palestinesi e la costruzione finalmente di uno Stato indipendente
che coesista con quello di Israele. Poi ci sono le questioni grossissime del disarmo, inteso sia come riduzione delle spese militari e ridefinizione delle
basi militari sia come lotta contro il riarmo e soprattutto contro il riarmo nucleare.

Quindi non una manifestazione a senso unico, come qualcuno vorrebbe, ma una messa in discussione della guerra e della logica delle armi a 360 gradi?

Sì, una rimessa in discussione su tutti i fronti e soprattutto “del sistema” di guerra. Poi ci sono i punti che riguardano questa artificiosa costruzione dello
“scontro di civiltà”, fomentata e agita usando le religioni e le etnie come strumento per giustificare le strategie di guerra, mentre si tratta sempre di
un conflitto di potenze la cui caratteristica di fondo è l’uso del terrore. E infine c’è tutta la questione dei diritti, del rispetto dei diritti umani, delle libertà democratiche, della libertà di circolazione dei migranti. Sono tutte questioni strettamente legate. Lo abbiamo visto con la questione delle prigioni illegali, con le prigioni segrete. Da Abu Ghraib a Guantanamo, ma anche i Cpt e ovunque e comunque si riduca la libertà degli esseri umani e degli individui, piegandoli alle logiche della guerra e alle ragioni dell’odio e della paura del nemico.

La manifestazione del 18 marzo si articola in diverse iniziative. Colpisce in particolare una, al mattino, al Palazzo della Provincia di Roma, che si chiama “Soldati contro la guerra”. Di cosa si tratta?

Avremo lì le testimonianze dei parenti, dei famigliari, di madri di soldati che si pronunciano per il rifiuto della guerra, dell’uso delle armi. Ed è importante perché sono persone che vengono da tanti paesi in guerra: la Palestina,
l’Afghanistan, il Kossovo, la Cecenia. Ma ci saranno anche soldati che vengono dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna, e i famigliari dei soldati di Israele che hanno rifiutato le armi. Probabilmente ci sarà anche la madre di un soldato russo impiegato prima nella guerra afghana e adesso in Cecenia. Mi sembra un momento e un segno molto importante, di rifiuto della guerra a partire dalle
soggettività e dalle scelte degli stessi militari.


Cosa si aspetta il sindacato? Quanti saremo?

L’augurio è che la manifestazione sia grande; ma la cosa importante è la qualità delle iniziative, degli obiettivi, dei soggetti e dei protagonisti che saranno presenti e parleranno durante la manifestazione, per ridare alla pace forza fiato ed anche nuovi terreni di soluzione e di praticabilità. Uno dei punti della piattaforma è infatti la richiesta di politiche estere alternative,
che partano anche dal rifiuto di logiche neoliberiste che “costruiscono” le “occasioni” di contesa, al fine di prevenire le guerre e per costruire invece soluzioni politiche pacifiche e pacificatrici, ponendo fine alle occupazioni e chiudendo i conflitti in corso.






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