manifesto
«G8, ecco i torturatori»
Nella caserma di Bolzaneto ogni stanza ha un nome e un cognome: orari, entrate, uscite, responsabili, tutto è stato registrato (meno precisione, casualmente, fu utilizzata per «gli ospiti» della caserma Nino Bixio). Giuseppe Azzolina, 50 anni, giunto a Bolzaneto venerdì 20 luglio, racconta in aula che un agente «mi prese la mano, mi divaricò le dita fino a lacerarla e svenni». Viene cucito senza anestesia, 25 punti. Giorni dopo vede un'auto del 118, alla guida c'è il suo torturatore. Lo riconosce: dalle indagini viene rinviato a giudizio Massimo Pigozzi, assistente capo della Ps, nonché volontario presso la Croce verde. La testimonianza di Azzolina coinvolge anche un altro imputato, il dottor Toccafondi, responsabile organizzativo del servizio sanitario a Bolzaneto: è lui il medico che lo teneva fermo mentre gli veniva cucita la ferita. E ancora, il primo teste della mattinata, un giovane arrestato il 20 luglio, ricorda un agente che lo accompagna in cella e che non si cura minimamente «del fatto che altri mi picchiavano». Durante le indagini è stato possibile risalire a un nome: Massimo Salomone, ispettore della polizia di stato. (s.p.).
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liberazione
Un assistente capo della ps riconosciuto dalla vittima del pestaggio nel carcere provvisorio del luglio genovese del 2001
«Mi spaccò la mano». Primi riconoscimenti per Bolzaneto
Si chiama Massimo Pigozzi, è assistente capo della polizia, era in servizio a Genova durante il G8. E' il primo agente riconosciuto ieri in aula da una parte lesa nel processo per gli abusi e le violenze avvenute nella caserma della celere di Bolzaneto, a nord della città, sito trasformato, con decreto di Castelli, in carcere provvisorio per le retate di manifestanti. A condividere il primato con Pigozzi c'è il medico del carcere di Marassi, Toccafondi. Entrambi fanno parte del drappello "interforze" dei 44 imputati, un po' carabinieri, un po' agenti di ps, e medici e infermieri penitenziari oltre agli agenti di custodia, compreso qualche Gom, le teste di cuoio delle prigioni, eredità del governo di centrosinistra.
In tre ore di drammatico resoconto, un cinquantenne, già ferito in via Tolemaide (la strada dove si consumò la carica senza ragione di un drappello di carabinieri contro un corteo autorizzato che scendeva dallo stadio Carlini e che innescò gli scontri nei quali maturò l'omicidio di Carlo Giuliani), ha ripercorso la propria disavventura. Fu prelevato al S. Martino, luogo che ricorre spesso nei racconti delle vittime dei misfatti di polizia di quei giorni e dai molti misteri ancora inesplorati. A Bolzaneto, una volta sceso dal cellulare, il cinquantenne e gli altri "ospiti" del cellulare fu costretto a sedersi sul muretto all'entrata della caserma. Il personale con divise di ogni sorta era agitato dalla falsa notizia della morte di un carabiniere. Subito si avviò il lavorìo del comitato di "benvenuto" con calci e pugni e insulti e sputi. Un agente alto, robusto, neri capelli corti e occhi scuri afferrò la mano di Giuseppe Azzolina, questo il nome del cinquantenne che, una volta in infermeria, ebbe paura a dire come si fosse procurata la ferita. Fecero seguito venticinque punti senza anestesia nell'infermeria del lager a nord di Genova, e un'invalidità permanente. Dall'infermeria dove fu "curato" transitò nella cella dove, come gli altri, fu costretto a stare in piedi per ore con la faccia al muro.
Dieci giorni dopo, dalle parti del S. Martino, Azzolina riconobbe l'autista di una ambulanza della Croce verde di Quinto, quartiere alla periferia est di Genova. Gli chiese se si ricordava di lui. Lui negò ma qualche tempo dopo lo vide a bordo di una vettura della polizia. Ancora oggi, ad Azzolina quella mano gli trema così forte da farlo smettere di lavorare.
Quando Azzolina, agitatissimo, ha detto di non essere in grado di raccontare ancora è iniziata la deposizione di Giorgio Schenone, quarantenne, che si trovava sul medesimo cellulare partito dall'ospedale. L'uomo aveva un braccio rotto da una manganellata durante la manifestazione. Fu lui a cedere l'ultimo posto a sedere ad Azzolina e fece il viaggio seduto a terra. Anche il suo è un ricordo doloroso di calci alle gambe e sputi da parte del "comitato di benvenuto" messo in piedi da uomini di diversi corpi di polizia che si accanirono perfino sul braccio già ingessato. Conferma il trattamento particolare toccato ad Azzolina. Con la coda dell'occhio riuscì a vedere chi lo avrebbe fatto urlare: «una persona abbastanza giovane con i capelli corti e scuri». «Dicevano - ha ricordato - che non saremmo usciti vivi da lì perché era stato ammazzato un loro collega».
Che. Ant.
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