il manifesto 25 gennaio 2006
Al processo G8 la Bolzaneto delle torture
«Botte in corridoio» Un teste rievoca le violenze nella caserma della polizia: picchiavano e dicevano «non ce n'è mai abbastanza per voi»
SIMONE PIERANNI
GENOVA
Botte e insulti nel «corridoio» delle torture, gas urticante spruzzato nelle celle. E' un lungo e dettagliato campionario di violenze, psichiche e psicologiche, quello che racconta il primo teste che rievoca quanto accadde nella caserma di polizia di Bolzaneto. E oggi si prospetta un'altra giornata affatto facile per le forze di polizia. A parlare sarà infatti Mark Covell, il giornalista e mediattivista britannico ferocemente picchiato pochi istanti prima dell'irruzione della polizia nella scuola Diaz. Ieri mattina è stata la volta di Eugenio Arecco, finito a Bolzaneto: «Per circa cinque ore - ha raccontato - sono rimasto in cella in piedi, con la faccia al muro, le mani dietro la schiena e le gambe divaricate». Il giovane ha ricordato di essere rimasto nella caserma dalle 17,30 di venerdì 20 luglio 2001 fino all'una circa di notte, quando venne rilasciato. Durante la permanenza subì pestaggi nel tristemente noto «corridoio», dove venne ripetutamente picchiato da parte di agenti della polizia penitenziaria posti ai lati, senza che il funzionario che lo accompagnava osasse dire niente.
«Quando mi hanno riaccompagnato in cella - ha detto - ho ricevuto anche una ginocchiata nei genitali. Io dicevo "basta" e loro rispondevano "non ce n'è mai abbastanza per voi"». Infine Arecco ha anche ricordato come «attraverso la finestra con le grate» fu spruzzato il gas urticante in dotazione al sesto reparto mobile della polizia, di stanza a Bolzaneto. Un racconto che conferma la tesi dei pm Vittorio Ranieri Miniati e Patrizia Petruzziello che nella memoria, depositata nel marzo del 2005, hanno stigmatizzato la violazione dell'articolo 3 della Convenzione europea dei diritti umani, che vieta la tortura e i trattamenti inumani e degradanti. Nella memoria hanno sottolineato inoltre l'attendibilità dei tanti racconti resi dalle persone che subirono violenze, compresi i riconoscimenti individuali su fotografie di dubbia chiarezza.
Il processo che vede quarantacinque imputati tra poliziotti, carabinieri, poliziotti penitenziari e personale sanitario, accusati a vario titolo di violenza, lesioni, abuso di autorità contro detenuti o arrestati, falso, abuso di ufficio, entra dunque nel vivo con le prime testimonianze delle centinaia di testi previsti (le parti civili sono 255). Tra gli imputati (nomi meno famosi degli imputati del processo Diaz), alcuni come l'allora vicequestore Perugini, attualmente sotto processo per l'aggressione a un manifestante minorenne, il generale Doria e altri, ispettori e sottoufficiali, rispondono anche dell'operato dei loro sottoposti e dei reati che avrebbero dovuto impedire o denunciare.
Nelle udienze di questa settimana, oltre alla testimonianza di una delle vittime, sono stati ascoltati anche testi appartenenti alle forze dell'ordine. La deposizione dei più attesi non ha fornito alcun elemento utile al processo: Giovanni Calesini - all'epoca dei fatti vicequestore vicario e a stretto contatto con il questore Colucci - e Giorgio Gaeta - allora dirigente del sesto reparto mobile, presente a Bolzaneto - hanno specificato di non avere sentito, visto e udito nulla di strano.
Mentre nel processo per la Diaz è atteso oggi un teste rilevante: Mark Covell, giornalista britannico, picchiato nel cortile della scuola, poco prima dell'irruzione. La testimonianza del suo pestaggio - ripreso in un video già mostrato in udienza - può dimostrare quali fossero le reali intenzioni dei poliziotti presenti per la «perquisizione» nella scuola.
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