Ciao inoltro, un po do fatti e acque pugliesi
rossana
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Da: Luca Graziano <graziano_luca@???>
Data: Mon, 11 Jul 2005 11:41:28 +0200 (CEST)
A: Luca Graziano <graziano_luca@???>
Oggetto: [debate] Italia - riformisti contro Vendola
Corriere della Sera, 11 luglio 2005
Polemiche
Acquedotto, riformisti (e buonsenso) contro Vendola
Il governatore è per la «ri-pubblicizzazione. «Il
dilemma non è ideologico - dice Nicola Rossi -: chi fa
investimenti per 3,2 miliardi?»
Emblema
Chi si ricorda di Cochabamba? Arroccata in una vallata
andina a 2.400 metri d'altezza, la terza città della
Bolivia ebbe il suo quarto d'ora di notorietà cinque
anni fa, quando si trovò in prima linea nella
battaglia
anti-globalizzazione: di fronte all'aumento delle
tariffe seguito alla privatizzazione dei servizi
idrici, la popolazione scese in piazza contro la
società californiana cui era stato appaltato il
servizio, la Bechtel, mettendo a ferro e fuoco la
cittadina per mesi, con morti e feriti, fino alla
ri-pubblicizzazione del servizio. Per tutti i
combattenti no global, quella sanguinosa battaglia è
la tappa centrale nella guerra per l'acqua come bene
comune. Da Cochabamba a Bari : «Il mio Acquedotto
Pugliese nasce sotto la bandiera della
ri-pubblicizzazione», annuncia il governatore Nichi
Vendola. Ad agitare quella bandiera, Vendola ha messo
Riccardo Petrella, l'economista spezzino docente di
Mondializzazione all'Università cattolica di Lovanio e
«no global dell'acqua», come si definisce lui stesso,
cui viene affidata la presidenza del più grande
acquedotto d'Europa, il terzo del mondo. Un grosso
ente con 20mila chilometri di tubi attraverso quattro
regioni e quasi 5 milioni di utenti, diventato società
per azioni nel 1999, grazie a un mutuo ventennale di
392 miliardi a carico dello Stato, concesso dal
governo D'Alema. L'acquedotto è ritornato in utile da
tre anni, grazie alla cura impartitagli
dall'industriale della pasta Francesco Divella,
chiamato a gestirlo dall'allora governatore di
centro-destra Raffaele Fitto, nella prospettiva di una
futura privatizzazione. Ora il professore no-global è
stato espressamente incaricato di fare marcia
indietro, mettendo fine alla «gestione economicistica»
di Divella, che Vendola ha rimproverato a Fitto
durante tutta la campagna elettorale, anche se la
privatizzazione dell'Acquedotto Pugliese è un obbligo
di legge posto in capo alla Regione all'atto stesso
del trasferimento della proprietà e la sua
inadempienza potrebbe essere sanzionata dal governo.
Punto e a capo, dunque. Ma siamo davvero davanti a
un¹«ubriacatura da privatizzazione», come la chiama
Vendola? A una «mercificazione» dei diritti
fondamentali, come la chiama Petrella? «Mi sembra che
il dilemma pubblico-privato sia un'alternativa mal
posta», commenta Nicola Rossi, ordinario di Economia
politica a Tor Vergata, che è stato il consigliere
economico del governo D'Alema. Per il deputato
diessino, il punto fondamentale è un altro: qual è la
missione che si vuole dare all'Acquedotto? «Il primo
obiettivo è senz'altro portare a termine il massiccio
programma d'investimenti che ci si è prefissi»,
puntualizza Rossi.
E aggiunge con aria scettica: «Mi auguro che il nuovo
consiglio sia in grado di farlo».
In effetti l'Acquedotto è un'azienda molto complessa,
con un giro d'affari di oltre 300 milioni e duemila
dipendenti: chi l'amministra dovrà realizzare il piano
d'investimenti da oltre 3,2 miliardi di euro,
programmato fino al 2017, per eliminare il più
possibile le perdite dalle reti idriche (49,5% in
Puglia, contro una media del 29% a livello nazionale),
riammodernarle, realizzare i potabilizzatori e altre
infrastrutture. «Per realizzare un piano di questa
portata ci vuole una governance chiara, lineare, non
complicata come quella che si va costruendo»,
specifica Rossi. Il secondo obiettivo, secondo
l'economista diessino, «dovrebbe essere di far uscire
l'Acquedotto dalla nicchia provinciale», che gli va
stretta. Anche questa non è una missione facile,
soprattutto se finisce ingarbugliata nelle pastoie
ideologiche. «Spetta ora alla Regione Puglia -
ammonisce Rossi - l'onere della prova che un
acquedotto pubblico funzioni bene quanto uno
privatizzato». E la dimostrazione potrebbe avere
conseguenze di vasta portata, se la generica
impostazione «pubblico è bello» - che Vendola vuole
applicare anche alla società di gestione degli
aeroporti (Seap) e al settore sanitario - dovesse
influenzare le future scelte dell'Unione sulle
liberalizzazioni.
«Come tutte le questioni serie - fa notare Antonio
Massarutto, uno dei massimi esperti italiani di acqua,
docente all'università di Udine e ricercatore dello
Iefe-Bocconi - la questione idrica va affrontata
seriamente, al riparo dalle frasi fatte, dalla
demagogia e dai condizionamenti ideologici». E' ovvio
ad esempio che quando si parla di privatizzazione non
è certo la proprietà pubblica delle risorse idriche
che si vuol mettere in discussione, come sembrerebbe
dagli slogan no global sul «diritto all'acqua».
«L'acqua è e resta una risorsa di proprietà comune e
come tale inalienabile, semmai è in discussione la
necessità d'introdurre un po' di logica economica
nella pianificazione degli interventi e nei diritti di
utilizzo», specifica Massarutto. «Chi teme che la
privatizzazione porti a un business dell'acqua su lla
pelle dei consumatori e dell'ambiente - argomenta
Massarutto - dovrebbe forse riflettere sul fatto che
il vero business, nel modello basato sulla gestione
pubblica, lo hanno fatto i costruttori di opere e
impianti spesso inutili, a spese dei contribuenti.
Per non parlare dei signori delle autobotti siciliane,
che sfruttano proprio le inefficienze del servizio
pubblico per vendere a peso d'oro l'acqua agli utenti
lasciati a secco».
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