[NuovoLaboratorio] Nablus 5 giugno

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Autore: Elisabetta Filippi
Data:  
Oggetto: [NuovoLaboratorio] Nablus 5 giugno
Ricevo dai volontari/ie del Presidio di Nablus.
Ciao
Elisabetta

Nablus, 5 giugno 2005

Ieri abbiamo deciso di unirci alla manifestazione contro il muro
organizzata dal comitato popolare del villaggio di Marda, vicino a Salfit.

Inizialmente eravamo un po’ timoros*.
Un arresto per noi potrebbe avere conseguenze fatali (espulsione,
divieto a rientrare nel paese per un numero x di anni). Poi abbiamo
pensato che non aveva senso rinunciare.

La manifestazione era prevista lungo il tracciato del muro previsto (e
legalmente contestato) tra due villaggi. Il tracciato andra’ a chiudere
il “cerchio” di Ariel, cioe’ circondera’ l’insediamento di Ariel (un
mostro da 20.000 persone) dal resto del Westbank, inglobandolo allo
stato di Israele assieme alle terre che lo circondano e riducendo cosi’
ancora di più i terreni palestinesi. Qui come altrove, il muro separera’
i/le palestinesi tra di loro, dalla loro terra, dalle infrastrutture e
dalle strade di collegamento.

Nella notte attivist* israelian* avevano trasformato i cartelli stradali
che portano ad Ariel (e ai due villaggi palestinesi) con adesivi che con
la stessa grafica e lo stesso colore dicevano cose come “tot kilometri
al muro dell’Apartheid”. Oppure “Ariel: terra rubata”. Facevano un
bell’effetto, ci voleva qualche secondo per capire il trucco!

Raccontarvi della manifestazione ci sembra impossibile.

E’ stato un bagno di energia positiva. I nostri cartelli dicevano:
“costruite fiducia non muri” “sradicate i coloni non gli alberi”
(cinquecento alberi sradicati nel paese due giorni prima per fare spazio
al muro).

Eravamo pochissimi per i criteri italiani da milioni di persone a piazza
San Giovanni. Forse duecento. Meta’ palestinesi e meta’ internazionali e
israelian*. Duecento persone disposte a affrontare i soldati per niente.
Per un simbolo. Il diritto a camminare sulla strada che collega i due
villaggi.

Prima di partire avevamo scelto una linea di prudenza: sempre indietro
con le donne anziane palestinesi. Ma neppure le donne anziane
palestinesi resistevano all’andare a gridare in faccia ai soldati cosa
pensano di loro, del muro, dell’occupazione. Figuriamoci noi.

Certo aveva un effetto galvanizzante (non solo per i/le palestinesi)
affrontare gli occupanti, contrastare il blocco con cui volevano
impedirci di uscire dal villaggio, impedire gli arresti. Tutto questo
anche grazie alla relativa sicurezza offerta dal primo cordone fatto
tutto di giovanissim* israelian*, presto sostituito da donne bambini
anziani palestinesi e di altre nazionalita’ che si alternavano di fronte
ai soldati.

Tuttavia sono state le relazioni tra di noi la cosa piu’ entusiasmante.

Abbiamo visto un ragazzo palestinese di forse diciotto anni arretrare
dalla mischia dopo un po’ stanco e assetato e chiedere in inglese a due
donne anziane israeliane se poteva bere dalla loro bottiglia.
Abbiamo visto un bambino palestinese parlare di dio con un cinquantenne
ateo israeliano che gli diceva io non credo in dio, ma dio e’ uno solo
per tutti gli esseri umani. E non ci punisce, ci ama.

Abbiamo visto una donna palestinese, cosi’ religiosa da non volere
essere fotografata, urlare per tre ore slogan in arabo, inglese, ebraico
dentro ad un megafono, e tutto il suo villaggio la seguiva ripetendo.
Abbiamo visto una bambina palestinese attaccarsi per tutto il tempo alla
mano di una ragazza israeliana, come se quella mano fosse l’unica
protezione dalla paura immensa che provava solo a vedere i soldati.
Abbiamo visto la stessa ragazza buttarsi in una mischia furibonda per
andare a riprendere il fratello della bambina catturato e picchiato,
uscirne con il ragazzo libero, e riprendere come una calamita la mano
della bambina che piangeva.

Abbiamo visto una donna palestinese sgridare i bambini che a fine
manifestazione chiacchieravano curiosi con i soldati ormai rilassati.
“Perche’?” le abbiamo chiesto.
“Se vogliono fare amicizia con i nostri bambini si tolgano la divisa e
le armi e parlino con loro da esseri umani, come gli israeliani che
hanno marciato con noi.” Effettivamente, la signora non ha torto….

Abbiamo parlato con un texano biondo e cristiano che vive a Falluja
cercando di mediare tra sunniti e sciiti e che ci chiedeva se non
avevamo paura a vivere a Nablus (?????!!!!!).

Abbiamo visto un bambino palestinese prima della manifestazione andare
dagli/dalle israelian* e chiedere sconvolto, sei ebre*? Anche tu? Ma sei
di Tel Aviv? Anche tu? Anche tu? Anche tu? E loro rispondere in arabo si
e tu?

Comunque siamo arrivat* la’ dove era previsto, ma non lungo la strada
(e’ per i coloni, ovviamente!) ma per i campi.
Uno strano effetto manifestare per i campi. È tutto diverso….

E’ stato bello constatare come la manifestazione fosse una chiara
espressione della societa’ civile: c’erano bandiere palestinesi,
cartelloni colorati ma pochi simboli di partito (unica eccezione
l’Almubadara, presente con il suo coordinatore, Mustafa’ Barghouti), ed
e’ grandioso vedere che la societa’ civile si sa muovere e si impegna
senza il bisogno di essere diretta dall’alto..

Quando siamo tornat* a casa volevamo raccontare tutte queste cose ai
nostri amici di Nablus.
Ma e’ quasi impossibile.
Da Marda (il paese dove eravamo) a Nablus non ci saranno dieci
kilometri. Ma ci sono mille galassie. Peccato non essere riusciti a
portare nessuno. Forse se quelle cose le avessero viste avrebbero saputo
raccontarle agli altri.
Ma: chi ha meno di 25 anni non ha diritto ad uscire dal checkpoint, chi
ne ha di piu’ lavora per aiutare la famiglia o ha una famiglia, le donne
non escono di casa, purtroppo il Medical Relief locale non ha
partecipato (era pero’ presente quello di Salfit).

Mille motivi che strangolano questa citta’, mentre fuori forse qualcosa
si muove. Non il processo di pace del governo israeliano, fatto di check
point, incursioni notturne, arresti, costruzione del muro, ampliamento
delle colonie.
Ma modi nuovi (o forse vecchi e dimenticati) di lottare e resistere.
Modi che testimoniano come si possa resistere in modo attivo
rifiutandosi di delegare ad altri, piu’ in alto in qualche scala
gerarchica, la propria lotta.

Tutto questo e’ fondamentale, in Palestina cosi’ come ovunque nel mondo.

Ruby, Quico, Sobrin. min Nablus
Presidio di pace a Nablus - http://assopace.blog.tiscali.it/
Associazione per la Pace - www.assopace.org