[NuovoLaboratorio] legambiente come sta il nostro mare

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Autore: ANDREA AGOSTINI
Data:  
Oggetto: [NuovoLaboratorio] legambiente come sta il nostro mare
da lanuovaecologia.it
Martedì 17 Maggio 2005

RAPPORTO|
L'anticipazione dell'agenzia Dire

Addio a 28 km di costa

Il nostro mare peggiora. Lo dicono i dati non ancora resi pubblici dal
ministero della Salute. Rispetto al 2004 aumentano del 7% i litorali in cui
sventola la bandiera nera a causa di batteri e sostanze chimiche. Rimangano
al palo i controlli. E la Campania si conferma la regione peggiore
Suona stonato, questa estate, il motivetto stessa spiaggia, stesso mare. Le
acque che circondano le nostre coste e dove già si immergono avanguardie di
bagnanti sono più sporche. Un incremento dell'inquinamento pesante, poiché
c'e' un 7% in più di litorali dove sventola la bandiera nera a causa di
batteri e sostanze chimiche. È come se dal Belpaese
fosse scomparsa da un anno all'altro, causa divieto di balneazione, una
spiaggia lunga ben 27,9 chilometri, paragonabile per estensione all'intero
litorale di Rimini.
In numeri assoluti ci sono oggi 433,6 chilometri vietati a tuffi e nuotate.
Sono circa 28 in più per l'appunto rispetto alla bella stagione del 2004,
quando i chilometri off limits erano 405,7. Resta invece sostanzialmente
stabile la costa non controllata, trascurata dalle analisi dei tecnici e
dunque interdetta per "insufficienza di prove": 1.057 chilometri l'anno
scorso, 1.060,5 chilometri adesso. Così come è pressoché identica (si è
passati dai vecchi 877,1 Km agli attuali 874,6) la lunghezza di quella
striscia permanentemente vietata per motivi indipendenti dall'inquinamento.
Qui sono i porti, gli aeroporti, le servitù militari e non i coliformi
fecali a impedire nuotate e tintarella.
I dati salienti del Rapporto 2005 sulla qualità delle acque di balneazione
del ministero della Salute, anticipati dall'agenzia Dire, sono riassumibili
in questi pochi numeri: il mare è più sporco, la Campania si conferma la
regione peggiore, per un motivo o per l'altro sono accessibili ai
vacanzieri solo i due terzi (4999,4 chilometri) dell'intera fascia costiera
italiana (7.375,3 chilometri). Se la settimana passata si era chiusa con
gli oscar dell'estate, le cinque vele della Guida Blu di Legambiente
assegnate alle perle del turismo marino, quella in corso si apre con
l'altra faccia della medaglia: la censura per le regioni dove una
insufficiente depurazione o una forte presenza di scarichi abusivi
provocano una grave contaminazione davanti agli arenili.


MARE MONSTRUM|Presentato il dossier di Legambiente

Cattive acque

Goletta VerdeUn illecito ogni 400 metri di costa. Sicilia, Campania e Lazio
le peggiori. 18.000 i reati accertati, in aumento del 7,2%. È allarme
depurazione: le infrazioni crescono del 75%. Male anche abusivismo e pesca
di frodo. I dati annunciati alla presentazione di Goletta Verde
Un mare nei guai. Solo nel 2003 le forze dell'ordine hanno contato 17.871
illeciti nelle 15 regioni marittime. Dall'inquinamento agli abusi edilizi,
dalle infrazioni al Codice della navigazione alla legislazione in materia
di pesca si può calcolare un illecito ogni 400 metri di litorale, con un
incremento del 7,2% rispetto allo scorso anno. È questa
la fotografia da Mare monstrum 2004, il dossier di Legambiente che
raccoglie i numeri e le storie degli assalti alle coste italiane. La
ricerca è stata presentata a Roma nel corso della conferenza stampa di
presentazione di Goletta Verde, la storica campagna di informazione e
monitoraggio della qualità delle acque di balneazione. «Un'indagine -
spiega Roberto Della Seta, presidente dell'associazione - che rivela il
clima di disattenzione e non di rado impunità che avevamo già denunciato lo
scorso anno e che continua a caratterizzare l'operato di privati e di molte
amministrazioni pubbliche del nostro paese. Inesorabilmente in crescita i
reati sui nostri mari quindi, secondo un trend che sembra aver ripreso
vigore nel corso degli ultimi anni».
In questo clima da far west aumentano le persone denunciate o arrestate,
che nel 2003 sono 7.164 rispetto alle 5.721 del 2002, e i sequestri
effettuati, 6.469 contro i 5.205 del 2002, con un incremento,
rispettivamente, del 25,2 e del 24,2%. La classifica per numero di reati in
valore assoluti vede la Sicilia, con 3.418 reati accertati (+ 20% rispetto
al 2002), riconquistare il primo posto strappando il primato alla Campania,
che scende in seconda posizione con 3.142 infrazioni (+8%). Terzo il Lazio
che risale con 2.219 reati, quasi il 71% in più rispetto al 2002, scalzando
dal podio la Puglia, che con 2.046 infrazioni si ritrova quarta in
classifica. In coda Abruzzo, Basilicata e Molise, che dimezza il numero di
infrazioni accertate (-52,7%).
Se si considerano invece le infrazioni per km di costa è la Campania la
prima nella classifica del mare illegale (6,69 nel 2003, nel 2002 erano
5,20), secondo si conferma il Veneto (6,51 nel 2003, 5,80 del 2002), ancora
terzo il Lazio, che da quinta regione si ritrova sul podio raddoppiando le
infrazioni per km di costa rispetto allo scorso anno (6,14 contro 3,59).
Chiudono la classifica Basilicata, Toscana e Sardegna.
Più consistente l'incremento percentuale delle infrazioni sul fronte della
depurazione: gli illeciti sono passati dai 697 del 2002 ai 1.224 dello
scorso anno (+ 75,6%). Vale la pena segnalare la situazione limite della
Regione Calabria in emergenza ambientale da ben 7 anni per quanto riguarda
la depurazione e per la quale la Relazione sul rendiconto 2002 della Corte
dei Conti ha avuto passaggi inequivocabili: «Le coste dei Comuni del
Tirreno sono altamente inquinate e alcune pericolose». Degli stessi giorni
è la serrata operata dagli operai impiegati nella gestione dei 51 impianti
di depurazione della provincia di Reggio Calabria, la cui sorte è stata
rimpallata per mesi fra Comuni, Regione e Ato della Provincia calabrese,
fino alla decisione di incrociare le braccia con le inevitabili conseguenze
sulla gestione della depurazione delle acque.
«La situazione della depurazione - dice Sebastiano Venneri, responsabile
Mare di Legambiente - è in netto peggioramento, mentre il ministero della
Salute continua incomprensibilmente a mancare l'appuntamento con l'informazione
lasciando, per il secondo anno consecutivo, i cittadini all'oscuro di
informazione sullo stato di salute
delle acque di balneazione. L'anno scorso i dati arrivarono a fine agosto -
continua Venneri - quest'anno sono disponibili sul sito del ministero solo
da qualche giorno, in ogni caso fuori tempo massimo per quanti avessero
voluto utilizzarli per programmare le proprie vacanze. E forse non è un
caso che alla disattenzione dell'amministrazione centrale faccia riscontro
un aumento degli illeciti, come se il disinteresse dimostrato si
traducesse, a cascata, in trascuratezza da parte di Regioni ed enti
locali».
Aumentano le infrazioni registrate sul fronte dell'abusivismo edilizio, che
passano dai 3.158 del 2002 ai 4.071 del 2003, con un incremento del 28,9%.
È facile in questo caso intravedere una responsabilità nel provvedimento di
condono edilizio che ha sicuramente determinato un aumento dei fenomeni di
abuso. Illeciti in aumento anche nel settore della pesca, un comparto
attraversato da una crisi cui non sembrano prospettate, da parte del
ministero competente, soluzioni adeguate. Si procede a tentoni, fra
proroghe e soluzioni ambigue, come quelle che hanno determinato di fatto il
rigurgito nell'uso delle reti spadare. I recenti interventi da parte della
Guardia di finanza nell'area del Tirreno centrale hanno addirittura
evidenziato casi di imbarcazioni che, pur avendo usufruito dei fondi messi
a disposizione dal piano di riconversione del settore, continuano a
utilizzare questi attrezzi, vietati da oltre 2 anni.
Sembra andare meglio per quanto riguarda gli illeciti nel settore della
navigazione e della nautica da diporto, come se il popolo di naviganti
cominciasse a prendere confidenza con permessi e divieti. Nell'anno
trascorso si è registrato una diminuzione dei reati, passati da 6.858 a
6.769.
E se quella in corso potrebbe definirsi l'estate degli ecofurbi, ecco che
puntuali arrivano le Bandiere nere di Legambiente, che ogni anno viene
consegnato dalla Goletta Verde ai "nuovi pirati del mare": amministrazioni,
politici, imprenditori, società private che si sono contraddistinti per
attacchi o danni all'ambiente marino e costiero. «A completamento dell'opera
di monitoraggio che portiamo avanti nel corso dell'anno - conclude il
presidente di Legambiente - ci sembra giusto "premiare" gli scempi più
eclatanti, anche per catalizzare l'attenzione dell'opinione pubblica su un
patrimonio di inestimabile valore, che troppo spesso sembra finire nel
dimenticatoio». Qualche esempio? La Finedim Italia Spa, società controllata
dal gruppo Fininvest che caldeggia il progetto Costa Turchese: un vero e
proprio scempio di oltre mezzo milione di metri cubi su un'area di 450
ettari nel Comune di Olbia. Il ministro della Difesa Antonio Martino che ha
autorizzato i lavori di ampliamento della base Usa a Santo Stefano,
ignorando il pronunciamento del Consiglio regionale della Sardegna. Il
governatore della Regione Calabria, Chiaravalloti, in qualità di
commissario per l'emergenza ambientale in Calabria, perché in quasi 7 anni
di attività, e nonostante centinaia di miliardi di vecchie lire spesi per
costruire depuratori e fognature, ha fallito l'obiettivo.

25 giugno 2004

MARE|
Tratto da La Nuova Ecologia di giugno

Veleni sul fondo

Una spiaggia affollataMercurio e benzoapirene nei sedimenti marini del
Friuli-Venezia Giulia, ddt in quelli del Lazio e della Liguria. I risultati
del dossier di Legambiente sui dati del ministero dell'Ambiente
Cromo, nichel, pesticidi. E ancora idrocarburi, piombo, ddt. Sono tante le
sostanza velenose che "riposano" in fondo al mare. Una vera e propria
discarica adagiata in profondità, che il ministero dell'Ambiente ha censito
attraverso il Programma di monitoraggio triennale 2001-2003. I dati,
elaborati da Legambiente e Wwf in un dossier pubblicato lo scorso aprile,
fotografano nel dettaglio lo stato di salute del mare italiano. Rivelando
non poche sorprese: a partire dalle cosiddette "aree di bianco", cioè quei
tratti di costa a minore carico antropico, in molti casi localizzate all'interno
delle aree marine protette, che non sono state risparmiate dalla
contaminazione.

Abissi malati

«L'inquinamento dei sedimenti marini è un fenomeno sempre più
preoccupante - dice Lucia Venturi, responsabile scientifico di
Legambiente - Anche perché in diversi casi riguarda i fondali costieri di
intere regioni: come il mercurio e il cromo in Friuli-Venezia Giulia e in
Veneto. Oppure il nichel presente sui fondali di Liguria e Toscana». Una
vera e propria mappa dei veleni insomma, che risparmia davvero pochi tratti
delle nostre coste: il piombo abbonda in Liguria, il tributilstagno
contamina gran parte dei sedimenti di Toscana e Basilicata. Il ddt eccede
sul fondo del mare del Lazio e della Liguria, gli idrocarburi policiclici
aromatici (Ipa) avvelenano l'Abruzzo. Mentre in Friuli-Venezia Giulia,
oltre a Ipa e nichel, si riscontra anche il benzoapirene. «Per la prima
volta - sottolinea Venturi - nel nostro paese è stato realizzato un
monitoraggio ambientale su tutto il territorio costiero attraverso metodi
di analisi e di campionamento omogenei. E i risultati, purtroppo, si vedono
anche dove ci saremmo aspettati una situazione diversa». Qualche esempio? I
sedimenti prelevati a Portoferraio, nel Parco nazionale dell'arcipelago
toscano, sono contaminati da cromo e nichel. Quelli di Punta Mesco, nel
Parco delle Cinque terre, da piombo, cromo e nichel. E ancora, nell'area
protetta di Miramare, in Friuli-Venezia Giulia, sono state trovate elevate
concentrazioni di piombo e Ipa, mentre in quella di Capo Rizzuto (in
Calabria) e a Punta Licosa (in Campania) abbonda l'arsenico.

Di chi è la colpa

«Trovare elevatissime concentrazioni di cromo - ricorda Sebastiano Venneri,
responsabile Mare di Legambiente - nei sedimenti prelevati nel mar Ligure,
dove la Stoppani di Cogoleto ha sversato selvaggiamente i suoi reflui
industriali, non ci stupisce. Ma il fatto che alte concentrazioni di altri
inquinanti si ritrovino in alcune "aree di bianco" è un dato che deve far
riflettere e indurre a prendere provvedimenti concreti». Su tutti, l'approvazione
in sede comunitaria del Reach: la normativa sulla registrazione,
valutazione e autorizzazione delle sostanze chimiche, che ne regolerebbe la
produzione e il rilascio nell'ambiente. Una misura richiesta dalla
commissaria europea per l'ambiente Margaret Wallstrom e da tutte la
associazioni ambientaliste europee, ma osteggiata dall'industria chimica
del Vecchio continente. Molti dei composti ritrovati, come il cadmio, il
mercurio, il ddt e i policlorobifenili, sono peraltro tossici,
bioaccumulabili e fortemente persistenti nell'ambiente. Sono assai presenti
nei sedimenti marini costieri, dove si ritrova la gran parte delle sostanze
immesse nell'ambiente da terra, trasformando l'ecosistema marino in una
sorgente continua di agenti contaminanti. «In mare - riprende Venturi -
arrivano perché trasportati dai fiumi dove scaricano, in alcuni casi
illegalmente, gli stabilimenti produttivi. Oppure, come nel caso dei
pesticidi utilizzati in agricoltura, per dilavamento superficiale dei
terreni coltivati».

L'allarme sanitario

In alcuni casi, visto che l'acqua marina desalinizzata è spesso utilizzata
nei cicli industriali, gli scarichi industriali vengono effettuati
direttamente in mare. E una volta in mare gli inquinanti cominciano a
circolare nell'ambiente, fino a che non sedimentano sul fondo o
attecchiscono su alghe, microrganismi o piccoli invertebrati. «I dati del
programma del ministero - aggiunge Venneri - sono ancora più preoccupanti
se si considerano le contaminazioni dei molluschi, che sono un rischio più
che reale per i consumatori». Questi veleni sono destinati a entrare nella
catena alimentare e si concentrano negli organismi marini ai vari livelli
trofici, provocando effetti dannosi. Gli effetti più gravi si manifestano
negli organismi che si trovano ai livelli più elevati della catena. Vale a
dire nell'uomo, che si alimenta dei prodotti provenienti dall'ambiente
marino. «Gli effetti sulla salute - sottolinea Venneri - sono ancora più
gravi se si considera che molti di questi inquinanti arrivano nel corpo
umano anche per altre vie: si pensi alle tracce di pesticidi che restano su
ortaggi e frutta o agli idrocarburi che respiriamo in ogni centro cittadino
o nei pressi di una raffineria di petrolio».

Futuro incerto

Nel censimento dei veleni non mancano alcune "vecchie conoscenze" del mondo
ambientalista: il cromo rinvenuto alla foce del Sarno, in Campania, fiume
massacrato dai reflui di numerose aziende campane del settore conciario, o
il mercurio trovato sui sedimenti di Priolo, in Sicilia, sversato
illegalmente (secondo l'inchiesta Mar rosso della procura di Siracusa del
gennaio 2003) dall'ex Enichem direttamente in mare. Abbondano inoltre i
metalli pesanti nei fondali del porto del Lido nord di Cavallino, il più
vicino alla laguna di Venezia, inquinati dall'area industriale di Porto
Marghera, dove si rileva la presenza elevata anche di arsenico, Ipa e Pcb.
Peccato però che non sia affatto scontata la proroga, da parte del
ministero dell'Ambiente, del programma di monitoraggio per i prossimi 3
anni. «Interrompere questo percorso - dice Lucia Venturi - creerebbe un
vuoto difficilmente colmabile in tempi brevi. È necessario che il ministero
rinnovi le convenzioni con le Regioni costiere e che queste affidino
nuovamente alle Arpa il monitoraggio, come era già avvenuto durante il
precedente piano triennale». Sarà possibile tenere così ancora sotto
osservazione i sedimenti marini e valutare l'efficacia delle azioni che
puntano a migliorare la qualità dei nostri mari.

Stefano Ciafani
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