[Forumlucca] Perché mi candido - Anna Pizzo

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Perché mi candido
di Anna Pizzo
Redazione di "Carta"
Secondo la definizione di Carta, sono una candidata sostenibile ["che si può sostenere e non inquina"]. Cosa che mi induce a una riflessione sulla permanenza degli ossimori e a una doppia considerazione: la prima è che, nella mia vita, non avrei mai pensato di essere candidata ad alcunché, per via della mia distanza e parziale indifferenza/insofferenza nei confronti delle forme della rappresentanza politica. La seconda è che non mi piace granché la parola "sostenibile", che viene associata, nell'abbinata classica, a "sviluppo", e che prelude a una fregatura o quanto meno a una sorta di tollerante compatibilità.
Non mi pare che sia questo il caso di chi, come me, alla fine e dopo qualche mal di pancia, ha deciso di vedere se è possibile, e a quali condizioni, voltare definitivamente una pagina e cominciare a scriverne una nuova. Che comincia, necessariamente, con il pronome "noi".
Siamo "noi" insieme, ciascuna delle persone, donne e uomini che ho scoperto, con sorpresa e senso di conforto, essere come me candidati - io nel Lazio, altri e molti in tutte le regioni, sia quelle facili che quelle "inespugnabili" - e con le quali ho condiviso un lungo tratto di strada. Compresi quelli con cui ci siamo incontrati a Porto Alegre e a Genova, e ancora il 15 febbraio del 2003 e il 19 febbraio scorso, per Giuliana e Florence, ma già prima a Comiso e a Camp Darby, nel Chiapas e a Mumbai.
Se avessi le inossidabili certezze dei miei vent'anni, direi con una certa enfasi che "veniamo da lontano e andiamo lontano". Da qualche anno, invece, ho cominciato ad apprezzare le distanze brevi, le periferie, gli incontri ravvicinati. A guardare le cose dal basso, dove tutto sembra più buio ed è invece più limpido. E a sbirciare di traverso, scoprendo che è come avere un grandangolo, che rischia di distorcere i profili, ma permette un punto di vista largo.
A Rifondazione, che mi proponeva la candidatura nel "listino" del candidato presidente, dapprincipio ho risposto timidamente chiedendo tempo per pensarci su. Stavo per partire per Porto Alegre e lì, a dire il vero, la distanza da elezioni, faccende politiche, candidature e simili è diventato siderale. Al ritorno, invece, la questione è diventata impellente: pochi giorni alla chiusura delle liste, qualche consiglio da amiche e amici [equamente divisi tra favorevoli e contrari] e una decisione da prendere in gran fretta.
A pensarci adesso, credo che a farmi decidere siano state le seguenti circostanze, in ordine sparso:
1) Claudia, una mia amica che, con generosità e sincerità, mi ha detto: "Vorrei che ti candidassi, così avrei almeno una ragione per andare a votare, cosa che per la prima volta avevo deciso di non fare".
2) Vittorio, un mio amico eletto da poco deputato europeo, che mi ha aperto gli occhi: "Togliti dalla testa - mi ha detto - che se sarai eletta dovrai fare un lavoro di poco conto, una specie di vacanza. Proprio perché sei indipendente, proprio perché hai molto a che fare con i movimenti, proprio perché sei identificata con Carta, che è un mezzo di comunicazione sociale, potresti diventare un interlocutore per mille problemi, mille richieste, mille vertenze. La tua vita cambierà, e molto". La mia vita è cambiata molte volte, alcune delle quali in modo totale. E' stata sempre una grande fatica, e tuttavia non rinuncerei a nessuna. Se fossi un gatto, farei il conto di quante me ne restano per arrivare a sette. Siccome non lo sono, mi piace pensare che non ho esaurito la scorta e che posso ancora cambiare.
3) Chicca, Patrizia, Rina e Andreina, che mi hanno indotto a pensare "in positivo" al rapporto tra la mia candidatura e il giornale che faccio. Dapprincipio ero convinta che una candidatura, sebbene indipendente, fosse una contraddizione per chi lavora in un giornale che non ha mai risparmiato analisi piuttosto definitive sulle forme della rappresentanza e della politica novecentesca. Anzi, che di quella critica ha fatto uno degli elementi costitutivi della propria biografia. Perciò ne abbiamo parlato, in redazione, con esiti non molto differenti da quelli del "sondaggio" tra i miei amici: alcuni preoccupati, altri interessati. Una discussione che ha oscillato, alla ricerca di un difficile punto di equlibrio [ma come avrebbe potuto essere diversamente?], tra il rispetto per la scelta personale e l'immagine di Carta che mi si è incollata addosso da quando, sei anni fa, e dopo venti anni di lavoro al manifesto, mi sono imbarcata, con pochissimi altri sconsiderati bucanieri, in questa complicata traversata.
Chicca, Patrizia, Rina e Andreina mi hanno invece detto con franchezza: ma come, proprio voi che siete quelli del bilancio partecipativo, voi che scrutate passo passo ogni movimento della società civile, ogni spiraglio di democrazia, ogni luogo, grande e piccolo, dove le persone cercano di riprendersi nelle mani il loro destino, ora potreste dimostrare che le belle teorie possono essere anche buone pratiche. Voi, quelli che non hanno esitato a proporre "Fuori programma", il Cantiere sul che fare, senza temere di essere fraintesi.
Sappiamo, hanno aggiunto con sincerità, che il Lazio non è stato fino ad ora luogo di sperimentazione e che solo alcuni minicipi a Roma, e altri pochi segnali stanno a indicarci che una strada si è aperta: ma non vale la pena provarci? Domande non peregrine, dettate dall'amicizia e da una consonanza, ma che, non lo nego, hanno solleticato anche il mio amor proprio.
4) Il fatto che me lo abbia offerto Rifondazione non è stato indifferente. Nonostante la mia scarsa dimestichezza con i partiti, posso affermare con certezza che non avrei fatto la stessa scelta se la proposta fosse stata avanzata da qualsiasi altra formazione politica. A meno che non si fosse affacciata una "cosa" [ma mi pare che stiamo parlando per ora di fantascienza] che non si lega a nessun partito ma che nasce altrove e cresce ovunque. Una cosa in grado di raccogliere il meglio dell'esplosione pugliese o di quelle si è tentato di provocare altrove con risultati a volte grandiosi, troppo spesso mortificati.
5) Infine, qualche considerazione personale, che quindi frega solo a me e a pochi altri. Sono venticinque anni che il lavoro e la vita privata per me si sovrappongono, dal momento che, prima al manifesto e poi a Carta, io e il mio compagno abbiamo condiviso tutto di questa professione che è anche passione e perfino una strana forma di militanza. Così, a distanza di tanti anni, non so più dire dove finisca il lavoro e dove cominci la vita privata. So che, per esempio, l'idea di fare Carta venne "affinata" sul traghetto che ci stava portando in vacanza in Sardegna [maggio 1997]. Per la prima volta, ora, si apre la possibilità di lavorare [in parte] in posti diversi, con diversi compagni di lavoro e differenti ritmi. E non è detto che sia un male.
Infine, restano almeno due domande [per ora]: questo vuol dire che, se vincerà Marrazzo e diventerò consigliere regionale, lascerò Carta? Seconda domanda: se il centrosinistra dovesse governare la regione, cosa concretamente potrò fare io? Alla prima domanda è facile rispondere che Carta e il lavoro "politico" non sono stati e non saranno mai in alternativa. E che il mio mestiere resta quello di fare [direi fabbricare] giornali. Quanto a cosa fare in caso di sconfitta di Storace [effetto collaterale da non disprezzare], penso che tutto quello che non è stato possibile costruire prima [ed è molto] dovrà essere fatto subito dopo. Diamoci dunque un appuntamento: il 22 e 23 aprile potremmo vederci, con tutti quelli che hanno una buona idea o un'esperienza da condividere. Si potrebbe cominciare così.
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