[NuovoLaboratorio] omicidio alpi la pista radioattiva

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da espresso.it
venerdi 21 gennaio 2005

Omicidio Alpi:
la pista radioattiva

Dall'inchiesta sullo spiaggiamento della motonave "Rosso", una nuova ipotesi
sull'assassinio della giornalista del Tg3. Un'esclusiva de "L'espresso"

di Riccardo Bocca

È una sequenza sconcertante. Si parte dalle rivelazioni sulla morte della
giornalista del Tg3 Ilaria Alpi e dell'operatore Miran Hrovatin. Si passa ai
rapporti tra grandi trafficanti d'armi e la 'ndrangheta. Si continua con lo
spionaggio militare e la costruzione di telemine usate dagli argentini nelle
isole Falkland. E ancora: si parla del piano per corrompere funzionari e
parlamentari europei. Si torna a fare il nome del gran maestro Licio Gelli.
Fino all'ultima, grave, novità: il ritrovamento in una discarica abusiva
sulle colline calabresi di diossina e altre sostanze tossiche.
Tutto questo, e altro ancora, sta emergendo dalle indagini e le audizioni
relative al caso della motonave Rosso, spiaggiata nel dicembre del 1990 a
Formiciche, in provincia di Cosenza. Per 14 anni si è sospettato che
l'imbarcazione dell'armatore Ignazio Messina trasportasse rifiuti nocivi o
radioattivi, e che lo spiaggiamento fosse stato un fuori programma dopo il
tentativo non riuscito di affondare la nave. Su questa ipotesi ha lavorato
la Procura di Reggio Calabria, stoppata nel 2000 dall'archiviazione e dalla
morte sospetta del capitano di corvetta Natale De Grazia, consulente chiave
dei magistrati. Ora i faldoni sono passati alla Procura di Paola, la quale
lavora su due capi d'accusa: l'affondamento doloso e lo smaltimento di
rifiuti nocivi.
Ancora tre mesi, assicura il sostituto procuratore Francesco Greco, e
l'inchiesta sarà chiusa. Nel frattempo sono in molti ad aspettare col fiato
sospeso. Gli investigatori inseriscono infatti la vicenda della Rosso in un
più ampio scenario ambientato tra gli anni Ottanta e Novanta, quando 47 navi
affondarono misteriosamente nel Mediterraneo. La stragrande maggioranza
degli indizi in possesso degli inquirenti fa pensare che a bordo di queste
navi ci fossero rifiuti pericolosi, e che il traffico internazionale avesse
come protagonisti industriali e politici, mafiosi e trafficanti d'armi.
Un'ipotesi di gravità assoluta, anche per le coperture che una simile
attività richiedeva. Come altrettanto gravi sono i sospetti che da sempre
pesano sull'ingegner Giorgio Comerio, il faccendiere lombardo che in quel
periodo propose a vari governi un singolare sistema per smaltire la
pattumiera radioattiva: stiparla in missili-penetratori e spararla sotto i
fondali marini.
Di tutto ciò si sta occupando, oltre che la magistratura, la Commissione
bicamerale sul ciclo dei rifiuti presieduta dal deputato di Forza Italia
Paolo Russo, tra i primi a lanciare l'allarme nazionale. E proprio la sua
Commissione ha convocato a Cosenza il 18 e il 19 novembre scorsi alcuni
personaggi fondamentali della vicenda. Carabinieri, magistrati, esperti di
radioattività, ufficiali delle capitanerie di porto, ambientalisti,
testimoni oculari. Ciascuno ha raccontato nel corso di audizioni riservate o
del tutto segretate particolari clamorosi e sconosciuti. Un impressionante
quadro d'insieme che 'L'espresso' propone in queste pagine, partendo dal
cosiddetto business delle 'navi a perdere' fino ai giorni nostri.

Per cogliere l'importanza del caso Rosso bisogna infatti tornare a 17 anni
fa, quando al largo di Capo Spartivento, davanti a Reggio Calabria, affonda
la nave Rigel. Gli inquirenti sospettano che trasportasse scorie
radioattive, e le stranezze non mancano. "L'imbarcazione", dice Angelo
Barillà di Legambiente alla Commissione sul ciclo dei rifiuti, "affondò con
il mare liscio come l'olio, senza nemmeno lanciare il mayday". "Dopodiché",
continua il maresciallo dei carabinieri Domenico Scimone, "l'equipaggio fu
tratto in salvo dalla nave Karpen, proveniente dalla Jugoslavia, e condotto
in Tunisia, dove sparì dalla circolazione. A quel punto la Procura di La
Spezia spiccò un ordine di cattura internazionale nei confronti del
comandante, il quale aveva dichiarato l'affondamento con coordinate non
veritiere", ma inutilmente.
Per la cronaca, il relitto della Rigel non è più stato individuato. In
compenso è diventato il simbolo della stagione in cui le navi colavano a
picco una dopo l'altra nel Mediterraneo. E soprattutto è stato l'elemento
che ha permesso agli investigatori di intercettare il faccendiere Giorgio
Comerio, titolare della società Oceanic disposal management (O.d.m.) e
dell'omonimo progetto per sparare missili zeppi di scorie dentro i fondali
marini. "Durante la perquisizione nella sua casa di Garlasco", ricorda l'ex
titolare dell'indagine Francesco Neri (oggi sostituto procuratore generale
presso la Corte d'appello di Reggio Calabria), "ho trovato un'agenda con
l'appunto 'Lost the ship' al giorno 21 settembre 1987: proprio quando la
Rigel è affondata (...). Ecco come mi sono agganciato al Comerio: con questa
annotazione sull'agenda e con la constatazione dell'International maritime
organization che quel giorno nel mondo era affondata soltanto quella nave".
Da lì in avanti la figura di Comerio è diventata un punto fisso
nell'inchiesta di Neri. Un nome che rispuntava sempre: quando si studiavano
i traffici di rifiuti nucleari, quando si passava a quelli di armi, quando
si indagavano le relazioni con la malavita o i più incredibili segreti
militari. "Il giorno che lo interrogai (sulle scorie radioattive, ndr)",
racconta Neri, "mi disse: questi rifiuti non si possono buttare
nell'atmosfera con gli Shuttle perché esplodono. È pericoloso interrarli
perché i gas che si sprigionano coi terremoti possono provocare catastrofi
ancora peggiori. Quindi l'unico posto è il mare. Ha continuato dicendo che
lui li gettava con boe oceaniche di rilevamento e coi satelliti che controll
avano il sito. Affermava di aver scelto, tutto sommato, il modo meno
criminale di di sfarsene. Questa fu la sua difesa...".
Una tesi che non convinse il sostituto Neri. Una copia del piano O.d.m. di
Comerio era stato infatti trovato sulla plancia della motonave Rosso dopo il
suo spiaggiamento. E c'era dell'altro: "A Garlasco", ricorda Neri, "ho
sequestrato le telemine, i progetti di telemine e le loro fotografie. Credo
sappiate benissimo", prosegue rivolgendosi alla Commissione sul ciclo dei
rifiuti, "che le telemine sono state costruite per affondare i tre
incrociatori della marina militare inglese nella battaglia delle Falkland.
Tant'è vero che poi, quando scoprirono che Comerio era al servizio del
nemico e costruiva le telemine a Malta, tra gli inglesi stessi, fu espulso
(dall'isola, ndr). Lo stesso Sismi rimase spiazzato dagli elementi probatori
che acquisimmo durante le perquisizioni, perché Comerio veniva ritenuto un
truffatore, un 'acchiappafarfalle', mentre invece, come abbiamo scoperto
poi, godeva di copertura ad altissimo livello. Ad esempio ha sottratto (lo
studio per l'affondamento dei siluri con le scorie radioattive, ndr) a
Ispra, quindi all'Euratom ... Non so se qualcuno di voi (deputati, ndr)
abbia il permesso di andare ad Ispra, ma credo di no. Penso che neanche i
parlamentari italiani possano entrare lì come ci entrava Comerio... Fatto
sta che lui sottrae questo progetto, comincia con l'O.d.m. e si contorna di
tutti i grandi trafficanti d'armi - parliamo di Gabriele Molaschi, Jack
Mazreku e via dicendo. Se ne va in Guinea Conakri e stipula un contratto; se
ne va in Somalia e ne stipula un altro con Ali Mahdi. Praticamente i signori
della guerra all'epoca operavano in Somalia, dove c'erano due fazioni, e lui
si alleò con Ali Mahdi. Ci sono anche fax con i responsabili della
Somalia...".
In questo clima, spiegano lo stesso Neri e il maresciallo dei carabinieri
Nicolò Moschitta alla Commissione sul ciclo dei rifiuti, scatta il nesso tra
il traffico d'armi, quello delle scorie radioattive e la morte di Ilaria
Alpi. Un tragico incrocio che parte da lontano. "Comerio", racconta
Moschitta, "aveva progettato di affondare in mare le scorie radioattive, ma
prima di fare questa attività doveva ottenere alcune licenze dal Parlamento
europeo. Per riuscirci aveva redatto - sono atti e documenti che abbiamo
trovato - un progetto di corruzione di membri e funzionari del Parlamento
europeo. Una volta ottenuti questi permessi si sentiva autorizzato a
inabissare in mare tutto quello che gli capitava. Il suo", dice Moschitta,
"non era uno scherzo. Abbiamo trovato progetti di inabissamento riguardanti
quasi tutte le coste dell'Africa. Era interessato a tutti i Paesi, ma in
modo particolare a quelli dove la situazione politica era instabile, perché
secondo lui l'instabilità del governo consentiva di corrompere i vari
funzionari e gli stessi presidenti. Proprio come nel caso della Somalia".
Qui, testimonia il maresciallo Moschitta, "Comerio aveva corrotto Ali Mahdi,
riuscendo così a ottenere le autorizzazioni per inabissare le sue scorie.
Ricordo che un giorno, mentre svolgevamo questo tipo di accertamento, ci
pervenne una comunicazione da Greenpeace di Londra nella quale si diceva che
al largo della Somalia, nella zona di Bosaso, c'era una nave che inabissava
in mare dei fusti. Quelle indicazioni, da noi riscontrate, erano identiche a
quanto contenuto nel progetto O.d.m. di Giorgio Comerio". "Certo non potevo
fare una rogatoria con Ali Mahdi", dice alla Commissione il sostituto Neri,
"cioè andare in Somalia e farmi uccidere come hanno fatto con Ilaria Alpi,
quindi ho mandato gli atti al collega competente per l'indagine. Dopo
qualche tempo mi ha chiamato e mi ha detto che avevo ragione: la figlia del
sindaco di Bosaso aveva dichiarato che Ilaria Alpi era stata uccisa perché
seguiva il traffico dei rifiuti radioattivi in Somalia". "E l'unico che
inabissava rifiuti radioattivi", fa notare il maresciallo Moschitta, "era
questo signor Comerio".
Alla luce di tali testimonianze, si spiega il clima di pesantissime
pressioni che ha accompagnato negli anni il lavoro dei magistrati. Anche per
questo, racconta alla Commissione il sostituto Neri, "il Sismi ha
collaborato molto con noi. Ci ha fornito una certa copertura, tutelandoci
dalle minacce che abbiamo subito io, Domenico Porcelli e Nicola Maria Pace
(addirittura Porcelli ha scoperto una microspia nella sua stanza, ndr)". Ma
questo non ha evitato che l'indagine fosse segnata il 13 dicembre 1995 dalla
misteriosa morte del capitano di corvetta Natale De Grazia, insignito nel
giugno 2004 dal presidente Carlo Azeglio Ciampi della medaglia al valore
civile alla memoria. "Morì", ricorda alla Commissione Angelo Barillà di
Legambiente, "in un momento cruciale dell'inchiesta, mentre si spostava da
Reggio Calabria a La Spezia per interrogare l'equipaggio della Rosso. Fece
una sosta a Nocera Inferiore e insieme ad altre persone si recò al
ristorante. Lui fu l'unico a mangiare il dolce, dopodiché si rimise in
viaggio in automobile, si appisolò e morì". Ucciso da cosa? "L'autopsia è
stata effettuata una settimana dopo e allo svolgimento dell'esame autoptico
prese parte anche il medico dei familiari", spiega Barillà: "Il risultato
dell'autopsia fu: arresto cardiocircolatorio, ma ai partecipanti rimasero
comunque dubbi. Così un anno dopo i familiari ottennero che si rifacesse
l'autopsia, e a quanto mi risulta i parenti non hanno mai saputo l'esito".
Non c'è da stupirsi. Le indagini della Procura di Reggio Calabria hanno
toccato livelli straordinariamente alti, degni tuttora della massima
attenzione delle istituzioni. Il sostituto Neri, come riferisce lui stesso,
ritenne opportuno "informare il presidente della Repubblica dell'epoca
tramite il procuratore Agostino Cordova, che collaborava con noi, dicendo
che c'erano elementi che attentavano alla sicurezza della nazione". Il
Sismi, aggiunge il maresciallo Moschitta, "aveva già attenzionato il
nominativo del Comerio per l'operazione che riguardava la fuga di Licio
Gelli a Montecarlo. E il procuratore di Reggio Antonino Catanese, riferisce
l'ambientalista Barillà, "ha parlato del coinvolgimento di personaggi legati
alle cosche ioniche cointeressati ad attività con società tedesche rinvenute
nei libri contabili e nella documentazione sequestrata all'O.d.m. per
l'affondamento delle navi". Ma Neri e la sua squadra si erano spinti oltre:
"A casa di Gabriele Molaschi, socio di Comerio nell'O.d.m., trovai i fax che
gli erano stati inviati dalla Spectronix di Tel Aviv, nei quali si diceva di
intervenire presso l'Otobreda di La Spezia per poter acquistare i congegni
di protezione delle nostre autoblindo utilizzate in Somalia", dice alla
Commissione il maresciallo Moschitta: "Si raccomandava di non proseguire per
vie ufficiali, bensì sottobanco, e il Molaschi forniva l'ok, dicendo che era
tutto a posto e con l'occasione faceva presente che aveva bisogno di tante
armi". "Gli israeliani", riferisce il sostituto Neri, "controllavano tutti i
movimenti delle nostre truppe in Somalia. Non so per quale motivo volessero
controllarci, ma c'era spionaggio militare, vendita di armi, triangolazioni.
Comerio, quest'uomo che sembrava un fesso, un quaqquaraquà, uno che andava
abbindolando la gente, era invece al centro di un intrigo internazionale".
Poteva una grande impresa italiana come la Ignazio Messina & C. di scutere
affari con un personaggio del genere senza sospettare nulla? Poteva
trattare, com'è avvenuto nel 1988, la vendita della motonave Rosso senza
temere di essere coinvolta in traffici clandestini? E soprattutto: poteva
non sapere che sulla plancia della stessa Rosso c'era una copia del progetto
O.d.m.? È quello che non convince gli investigatori. I quali partono da un
punto certo: Comerio, come ha spiegato il sostituto Neri alla Commissione
sul ciclo dei rifiuti, aveva per la Rosso due progetti, entrambi rinvenuti
durante le perquisizioni: "Il primo prevedeva l'assemblaggio delle telemine
dopo la sua cacciata da Malta; il secondo il montaggio dei cosiddetti
penetratori (per sparare le scorie tossiche dentro i fondali, ndr)".
Eppure la Messina, 14 anni dopo lo spiaggiamento, continua a negare. Non
conta che il piano O.d.m. sulla motonave Rosso sia stato trovato da Giuseppe
Bellantone, allora comandante in seconda della Capitaneria di porto di Vibo
Valentia, e che lo stesso Bellantone lo abbia confermato a verbale. Per la
Messina è comunque un "falso ritrovamento", e lo scrive in un memoriale di
400 pagine che ha inviato alla magistratura e alla Commissione sul ciclo dei
rifiuti. "Vogliamo ristabilire la verità e allontanare le illazioni e le
pesanti accuse che pretenderebbero di collocarci al centro di una rete di
faccendieri, trafficanti d'armi, agenti dei servizi segreti, uomini di
governi e mafiosi", si legge. Parole che non convincono il presidente della
Commissione Paolo Russo, il quale commenta: "Le incongruenze contenute nel
dossier sono numerose e lampanti, sia riguardo alla fase dello spiaggiamento
sia in quelle successive. D'altro canto la mancanza di chiarezza
contraddistingue tutta questa storia, e la nostra trasferta calabrese lo
dimostra. Ci sono persone che coraggiosamente collaborano e altre che hanno
strani ripensamenti".
L'esempio più evidente è quello di un testimone fondamentale, qui senza nome
per ragioni di sicurezza, interrogato dai carabinieri lo scorso 17 febbraio.
In quell'occasione spiegò come due mesi dopo lo spiaggiamento della Rosso
fossero stati portati nottetempo nella discarica pubblica di Grassullo,
comune di Amantea, rifiuti della motonave "senza alcuna scorta della Guardia
di Finanza o dei vigili urbani". La stessa persona, alla quale di recente è
andato a fuoco un capannone agricolo, davanti alla Commissione ha negato
tutto.
Strano, ma non raro. Un simile comportamento è stato tenuto da un altro
testimone del caso Rosso: il marinaio Giuseppe Scardina, imbarcato sulla
motonave Rosso durante l'ultimo viaggio. 'L'espresso' nella sua inchiesta ha
pubblicato la deposizione del cuoco di bordo Ciro Cinque, il quale diceva:
"Ho il sospetto che nel carico ci fosse qualcosa che doveva affondare con
tutta la nave", aggiungendo che Scardina avrebbe commentato: "Tu hai
ragione, quello che hai detto è la verità, però io non mi possono mettere
contro la Messina: ho bisogno di lavorare". Lo stesso Scardina, tuttora
dipendente dell'armatore genovese, ha smentito lo scorso 9 ottobre: "Ero
imbarcato sulla Rosso al tempo del naufragio", ha scritto in una lettera ai
suoi superiori, "conoscevo il cuoco, ma non ho mai detto ciò che riporta il
giornale".
A questo punto 'L'espresso' è andato a rileggere cosa il marinaio Scardina
dichiarava il 7 giugno 1997 alla Guardia di Finanza sulle condizioni della
motonave e sullo scopo del viaggio: "Quando siamo partiti da La Spezia con
la motonave Rosso la nave era sbandata di due-tre gradi sul lato sinistro, e
quando prendeva mare lo sbandamento aumentava", diceva: "Tale sbandamento
era causato dal fatto che le valvole delle zavorre non mantenevano, quindi
perdevamo acqua e non mantenevamo la zavorra. La nave", continuava il
marinaio, "era in pessime condizioni, tant'è che il marinaio Borrelli
arrivati a Napoli da La Spezia volle sbarcare a ogni costo. Anzi, ricordo
che mi disse: 'Scardina, questa nave non mi piace, so che va ma non so se
ritorna'. Ricordo pure che a Napoli diede 50 mila lire al medico affinché
gli facesse un certificato per sbarcare. Era in ottima salute, sicuramente
(stava, ndr) meglio di me".
Non sarà facile per la magistratura sbrogliare questo groviglio di
ammissioni e ripensamenti. Troveranno, le tante persone che sanno e ancora
tacciono, il coraggio di parlare? E soprattutto: oltre agli eventuali
responsabili, riusciranno i cittadini calabresi a conoscere il reale stato
di salute del loro territorio? Sulla prima questione nessuno si sbilancia,
visto il clima di tensione che regna in Calabria attorno al caso Rosso.
Sulla seconda invece le ultime notizie sono importanti e preoccupanti
assieme. Il super consulente della Procura Ornelio Morselli ha infatti
trovato consistenti tracce di diossina in un sito che fonti confidenziali
hanno indicato a Foresta, comune di Serra D'Aiello. Non solo. Nei campioni
prelevati ci sono anche furani e policlorobifenili, suoi stretti parenti
altrettanto tossici, oltre a rame, nichel e zinco in concentrazioni fuori
legge.
"Visto il punto localizzato di rinvenimento, a un metro circa di profondità,
si può sicuramente affermare che la presenza di tali sostanze è dovuta
all'illecito smaltimento di rifiuti", scrive il consulente tecnico. E
aggiunge: se è vero che diossina e furani sono oggi "appena inferiori ai
limiti di legge", a differenza dei policlorobifenili che li superano, "si
può supporre che la loro concentrazione al momento dell'illecita discarica
fosse sicuramente superiore". Tra 1,2 e 1,5 volte maggiore dell'attuale
contenuto, afferma Morselli, sottolineando "che potrebbe essere un valore
sottostimato" e che "non considera l'accertata presenza, nello stesso tipo
di fanghi, di idrocarburi con forte potere solvente".
Per la Procura di Paola è un evidente passo avanti. Le sostanze analizzate,
scrive Morselli, non sono compatibili con la realtà artigianale calabrese,
viceversa "sicuramente ricollegabili ad effluvi e fanghi prodotti da
industrie". Dunque è sempre più teorizzabile che i fanghi provengano dalla
motonave Rosso. Il che, se da una parte autorizza l'ottimismo degli
investigatori, dall'altra pone serie domande sulla salubrità dell'area
indagata. Lo stesso consulente Morselli scrive nella sua relazione: "Non si
può escludere un possibile inquinamento delle acque fluviali adiacenti al
sito per l'estrema vicinanza di un torrente alla zona di discarica". Né
tantomeno si può calcolare "la pericolosità e la tossicità", visto che "ora
come allora è strettamente correlata al contenuto complessivo delle sostanze
in rapporto al quantitativo globale dei fanghi che le contengono, il quale
attualmente non è accertato".
Urgono a questo punto nuove verifiche. Urgono nuove analisi per garantire la
serenità della popolazione. Nel frattempo giunge dalle istituzioni locali un
importante segnale di collaborazione. L'Agenzia calabrese per la protezione
dell'ambiente ha predisposto un Piano di azione integrato e collaborerà alle
indagini sulla Rosso. In tempi brevi, si spera.

Quando una nave diventa una carretta

Nel voluminoso dossier che la Ignazio Messina ha inviato alla Commissione
sul ciclo dei rifiuti c'è un documento che giustifica l'improvvisa decisione
della Capitaneria di Porto di La Spezia, la quale il 7 dicembre 1990
autorizza la partenza della motonave Rosso malgrado le irregolarità
riscontrate nei giorni precedenti. Si tratta di un verbale di ispezione
tecnico sanitaria datato sempre 7 dicembre, nel quale si riferisce che gli
alloggi sono in condizioni "regolari" (eccetto qualche problema veniale),
che la mensa è in condizioni altrettanto "regolari" e che i locali igienici
sono in ordine, come pure l'ambulatorio e il riscaldamento.
Peccato che lo stesso giorno il comandante della Capitaneria di porto,
Francesco Donato, abbia spedito all'armatore una raccomandata a mano con un
altro rapporto, di ben diverso tenore, introdotto dalla "preghiera di far
conoscere l'eventuale avvenuta eliminazione" delle "deficienze" riscontrate.
Il contenuto, anche alla distanza di 14 anni, è impressionante: "Tutti i
locali della nave", si legge, "si presentano in stato di completo degrado e
abbandono", completamente insufficienti dal punto di vista dell'igiene,
contrari ad ogni elementare norma di vivibilità. I servizi igienici sono
sporchi, maleodoranti e ingombri di incrostazioni varie.. L'ambulatorio
all'atto della visita è apparso adibito a generico ripostiglio.. Le cabine
dell'equipaggio sono, come del resto gli altri locali in stato di degrado
tale da rendere oltremodo dubbia la loro abitabilità".
E questo è il meno, perché il peggio arriva con le dotazioni di armamento
della nave. "Lo scafo e la coperta", ad esempio, "incluse le sovrastrutture
sono diffusamente interessati da vistosi e notevoli fenomeni rugginosi, che
lasciano seri dubbi sulla consistenza e la robustezza delle lamiere
medesime". Quanto alla zona prodiera, "si presenta come un ammasso di
ruggine". E le dotazioni di salvataggio? "I salvagenti anulari sono logori e
tutti da restituire., la zattera autogonfiabile è sistemata sopra un
supporto talmente logoro dalla ruggine da cedere a una sommaria prova di
robustezza eseguita con un piede.". Per giunta, "la prova di ammaino
dell'imbarcazione di salvataggio a motore di dritta ha dato esito negativo,
poiché i cavi di ammaino, per la loro limitata lunghezza, non hanno
consentito all'imbarcazione stessa di giungere alla superficie del
mare".Perché una nave in simili condizioni è stata fatta partire dalla
Capitaneria di porto poche ore dopo?

Pasticci radioattivi

Durante le audizioni calabresi della Commissione sul ciclo dei rifiuti è
stato ascoltato Nicola Buoncristiano, direttore del dipartimento di Cosenza
dell'Arpa (Agenzia regionale prevenzione e ambiente) Calabria. Le sue parole
aiutano a comprendere com'è stata indagata la presenza nel territorio di
rifiuti radioattivi.
"Il 19 gennaio 2004 il comando dei Carabinieri per la tutela dell'ambiente
di Roma, su delega della Procura di Paola, ci chiede di mettere a
disposizione del personale per effettuare misure radiometriche e rilevare la
presenza di radiazioni ionizzanti in alcuni siti ubicati nel comune di
Amantea... Non furono rilevate situazioni di inquinamento radioattivo in
superficie. A meno che la sostanza radioattiva non sia affiorante e di
attività estremamente elevata, il terreno stesso è schermante alle
radiazioni."
"La vostra indagine era limitata a livello superficiale, e quindi non siete
andati in profondità.", commenta un membro della Commissione."Era
superficiale. No, infatti non avevamo strumenti adatti né la competenza
necessaria", dice Buoncristiano."Pertanto escludete la presenza di materiale
radioattivo esclusivamente in superficie. Non potete escludere tale presenza
in profondità...", fa notare la Commissione."Ci chiedevano soltanto di
verificare un sito, nel comune di Amantea.", risponde Buoncristiano. "E
comunque, se anche ci fosse una sostanza radioattiva schermata, non la
potrei rilevare. Non posso escludere che ci sia anche un metro sotto la
discarica. Un metro di terreno è sufficiente a schermare una sorgente
radioattiva, a meno che non sia una bomba atomica".