04.12.2004
Roma melting pot. Cinquantamila migranti in corteo
di Rachele Gonnelli
«Piove ma non si piange, la Bossi-Fini ci fa piangere ma non si
piange, no, no, non si piange». Il dj da strada lascia il suo
italiano dalle o chiuse e prosegue il suo rap in inglese, un rap che
parla di peace and love sulle note di Bob Marley e il parterre
balza, canta, balla, scivola lungo via Cavour quasi di fretta.
Qualcuno soffia bolle di sapone e tutto sembra leggero.
Cinquantamila persone che, più che sfilare, corrono per le strade di
Roma seguendo i quattro quarti degli Alfa Blondie, gruppo della
Costa d'Avorio che ha scalato le top ten europee o i successi del
rai algerino.
Marocchini, bengalesi, senegalesi, nigeriani, palestinesi, rumeni e
per la prima volta anche tanti cinesi. La Chinatown romana di piazza
Vittorio è presente in massa. Hanno una musica loro, fatta di
campanelli e piatti d'ottone, come bonzi tibetani e portano stretti
striscioni con elaborati ideogrammi di carta colorata e una magra,
ma precisa, traduzione in italiano: "Rinnovo subito". Persino loro,
il popolo-formica da un miliardo e più di esseri umani, si sono
stufati delle file ai commissariati per i permessi di soggiorno,
delle burocrazie e del tempo perso, della mancanza di diritti.
Italiani non ce ne sono moltissimi. È una manifestazione di
migranti. Sono loro a portare le bandiere dell'Arci, dei Cobas, di
Rifondazione o del Comitato 3 febbraio. E li portano più come drappi
colorati e mantelli, come ornamenti da manifestazione, parte di un
tutto indistinto che prescinde dalla differenza dei simboli. I loro
slogan sono semplici: «Permesso di soggiorno subito», «Rinnovo
subito» «basta Cpt» . Sul camion del "comitato di lotta per la casa"
romano - quello delle occupazioni in via del Porto fluviale - si
legge: «Per la libertà di vivere, il diritto all'abitare, non
smettere di baccajare». I metalmeccanici cingalesi di Brescia invece
esibiscono un elegante striscione rosa con la scritta bilingue:
«Stranieri uniti». Mentre le delegazioni rumena e albanese
esibiscono cartelli plastificati con lo stemma nazionale, quello
rumeno nello stamma con leoni rampanti ha inserito la cartina della
Romania e quella dell'Italia, divise in regioni: piccola lezione di
geografia.
Al lato del corteo un ragazzo e una ragazza tendono un enorme
striscione con un disegno di un muro spaccato e la scritta
"Smantelliamoli tutti, no ai Cpt". È un lavoro fatto da tre amici di
Reggio Calabria. «Sono entrato in uno di questi centri - spiega
Francesco Svelo, 42 anni, avvocato - grazie a una collaborazione con
una radio privata e ho raccontato alla mia compagna e al mio amico
le condizioni incivili in cui trattiamo questa gente, indegne di un
paese civile». Poi la radio privata ha deciso di non rinnovare il
contratto di collaborazione a Francesco, «hanno detto che facevo
corrispondenze troppo di parte, di una parte che non faceva piacere
alla giunta di centrodestra, credo», racconta lui. Ma non si sono
lasciati andare, lui e la sua compagna hanno due progetti: una
istallazione-monumento ai migranti morti in mare per conto dei padri
comboniani e una radio web interamente autoprodotta.
Più avanti, all'altezza di Santa Maria Maggiore, colpisce uno
striscione invece veramente piccolo, quasi uno straccetto, tenuto da
una quindicina di uomini di pelle scura, alti e allampanati, le
facce segnate da solchi profondi, gli sguardi vacui. La scritta
sembra cirillico ma dice "Hurria- onlus". Cos'è? Gli uomini alti non
rispondono, disorientati, si fanno invece avanti spuntate dal nulla
tre ragazze sui vent'anni. «Siamo un'associazione senza fini di
lucro di Caltanissetta - dice Roberta, 22 anni - siamo nate dalle
lotte di quest'estate con la Cap Anamur e ci occupiamo di rifugiati
politici». Roberta ha deciso di occuparsene a tempo pieno, fa
servizio civile. Cerca di dare assistenza o almeno delle
informazioni a quanti, usciti dal cpt di Pian del Lago vengono
«sbattuti fuori e costretti a vivere con 17 euro ogni 15 giorni».
Quelli che fanno richiesta di asilo possono aspettare anche un anno
e mezzo o due che la commissione deliberi e nel frattempo si
spostano per cercare un lavoro, magari vanno a Nord, a Milano,
Bergamo, Varese ma devono tornare a prendere questi pochi spiccioli
che con cui lo Stato vorrebbe garantirgli una sopravvivenza. «750
euro in due anni, e questo perchè non abbiamo una legge sul diritto
d'asilo e perchè non l'abbiamo? - si domanda Roberta - perchè così
si incrementa il lavoro nero». Il Sud è anche fatto di persone come
Roberta o come Francesco, che non si rassegnano. Capaci di tenere il
passo con il popolo dei migranti, un popolo che va di fretta e che
non ha tempo di piangere o di avere paura.
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