Date: Mon, 8 Nov 2004 18:59:41 +0100
From: Roberto Brambilla <r.brambilla@???>
Ecco un interessante articolo sull'impronta dei sistemi di trasporto scritto
da Stefano Caserini del Politecnico di Milano.
E' uscito sul giornale della fiera delle utopie concrete
(
www.utopieconcrete.com)
Roberto B.
L'IMPRONTA ECOLOGICA DEI SISTEMI DI TRASPORTO
S. Caserini, DIIAR Politecnico di Milano
Guardando in una bottiglia un litro di benzina ci potremmo meravigliare che in 
quel liquido colorato ci sia la forza per muovere noi, mille kg di plastica e 
ferraglia dell'automobile, amici e parenti e bagagli vari magari per 10 - 15 km. 
Vista così l'automobile non sembrerebbe quel "disastro termodinamico" quella 
"pentola a pressione semovente", come è stata definita.
Eppure provate una sera a uscire di casa avendo cura di lasciare accese tutte le 
luci di casa, lampade e lampadine, piccole medie e grandi. Andate a zonzo poi 
tornate a casa, dopo circa 3-4 ore e 3-4 km percorsi.
Rivedere le luci di casa accese farà scattare in (quasi) tutti un moto di 
ripulsa, un auto-rimprovero ecologista, per l'inutilità o l'evitabilità dello 
spreco.
Ma se si fanno due conti si può dimostrare che il consumo energetico di tutte 
lampadine di casa accese per 3 - 4 ore non è superiore all'altro consumo, quello 
della benzina necessaria per spostarsi per i 3-4 km.
Certo, dipende dal tipo di automobile, se avete un'utilitaria o il macchinone, o 
magari un SUV, quei gipponi da città. Così come dipende dal tipo di lampadine, a 
incandescenza, alogene o a risparmio.
Fate i conti e sarete d'accordo: i consumi, gli sprechi energetici delle nostre 
automobili sono spesso sottovalutati.
Abbiamo parlato della sola benzina (o gasolio) consumato per spostarci. Ma è 
solo una parte dell'impatto ambientale degli spostamenti motorizzati.
Perché si potrebbero aggiungere i consumi legati alla costruzione e manutenzione 
del veicolo, per produrre l'acciaio, la plastica, le gomme, il vetro. O 
l'energia necessaria per costruire le strade, i viadotti, le gallerie. O quella 
per portare il carburante alla pompa sotto casa.
Quindi potremmo considerare i rifiuti che si producono per costruire un veicolo, 
o considerare lo spazio fisico occupato dalle strade e dai veicoli (e che lo 
spazio sia una risorsa ce ne accorgiamo, nelle nostre città...).
Per fare questi confronti, o tanti altri, ci può allora venire in aiuto 
l'impronta ecologica.
***
L'impronta ecologica esprime i diversi consumi di risorse in un'unica unità di 
misura, la superficie di terra bio-produttiva utilizzata. L'impronta non è 
identificabile con un appezzamento di terreno con una localizzazione precisa. 
Anzi, la globalizzazione del commercio ha aumentato la probabilità che le aree 
bio-produttive necessarie a sostenere il consumo (specialmente dei Paesi ricchi) 
siano sparse per tutto il pianeta.
Pur avendo meno di 10 anni, essendo stata definita a metà degli anni '90 dai 
ricercatori Wackernagel e Rees, la metodologia dell'impronta ecologica ha avuto 
negli ultimi anni un notevole successo e una larga diffusione.
Numerose sono le applicazioni al territorio di numerose province e regioni 
italiane ed estere: l'impronta ecologica viene considerata come un mezzo per 
iniziare a rendere anche quantitativo il dibattito sullo sviluppo sostenibile, 
sull'uso delle risorse.
Perché è utile ogni tanto fermarsi a fare di conto, a valutare anche in modo 
"quantitativo" la sostenibilità del nostro modello di sviluppo, tramite 
indicatori in grado di valutare quanto la Terra sia in grado di sostenere la 
presenza umana, la sua popolazione e le sue attività, in relazione al tenore di 
vita e allo sviluppo tecnologico.
Alla fine l'impronta ecologica di un individuo, di una città o di una regione 
viene confrontata con la terra mediamente disponibile sul pianeta.
***
Vediamo un breve esempio: un'automobile con un consumo medio di 13 km/l produce 
una quantità di anidride carbonica (CO2) stimabile, sulla base di un fattore di 
emissione di 2.36 kg/l, in circa 182 g CO2/km (1 /13 x 2.36 x 1000).
Nella metodologia dell'impronta ecologica questa anidride carbonica, per evitare 
un'accumulo sul pianeta, dovrebbe essere assorbita da una superficie forestata: 
considerando un tasso di sequestro di CO2 di 0.52 kg/mq/anno (ogni kg di CO2 è 
assorbito in un anno da 1.92 mq di foresta), si ricava un'impronta ecologica di 
0.41 mq/km, che rappresenta l'impronta legata al rifornimento. Per valutare 
l'impronta complessiva legata all'uso dell'automobile sarà da aggiungere 
l'impronta dovuta alla costruzione e manutenzione del veicolo e delle strade, 
ecc., e si arriva a circa 0.6 mq/km. Questo significa che percorrendo 20.000 km 
all'anno si ha un'impronta complessiva di circa 12.000 mq, ossia 1,2 ettari. 
Ebbene, questa superficie equivale allo "spazio" che avremo mediamente a 
disposizione nel 2050, quando sul pianeta saremo circa in 10 miliardi.
Ma è solo un esempio; applicando la metodologia dell'impronta ai diversi mezzi 
di trasporto, sulla base di dati medi italiani ed europei, si ricava che 
l'impronta di uno spostamento di 1 km in automobile è il doppio di quella dello 
stesso spostamento con i mezzi pubblici, quattro volte quella del treno, 30 
volte quella dello spostarsi a piedi e 50 volte dello spostarsi in bicicletta. 
Ma è un terzo di uno spostamento in aereo.
***
Non stupisce quindi che se si calcola l'impronta ecologica del nostro sistema di 
trasporto, basato su un uso massiccio dell'automobile e sempre più dell'aereo, 
si conclude che non è un sistema esportabile, utilizzabile in ugual misura da 
tutti gli altri abitanti del pianeta, in quanto ci vorrebbe almeno un'altra 
Terra per sostenere questo consumo.
Da qui l'utilità dell'impronta, per le amministrazioni pubbliche o i semplici 
cittadini. Perché anche in Italia, sommessamente, si è iniziato a parlare della 
necessità di ridurre i consumi e di risparmiare energia, anche se la necessità 
di una conversione ecologia dei sistemi di produzione e degli stili di vita e di 
consumo rimane nell'ombra.
Nonostante l'ultima guerra abbia mostrato in modo fin troppo crudo le 
conseguenze reali e tragiche della nostra dipendenza dal petrolio.
E nonostante l'Italia abbia ratificato nel giugno 2002 il Protocollo di Kyoto, e 
quindi preso un formale impegno a ridurre le emissioni di gas serra, causati 
dalla produzione di energia, dal riscaldamento delle abitazioni, dai trasporti e 
dalle attività industriali e agricole. Impegno fino ad ora disatteso, in quanto 
le emissioni continuano allegramente  a crescere (+ 6 % dal 1990 al 2000) e i 
trasporti sono la voce che più contribuisce a proseguire nella direzione 
sbagliata (+ 20 % dal 1990 al 2000).
***
L'impronta ecologica esprime gli impatti a scala globale del sistema dei 
trasporti; non considera quelli a scala locale, come la congestione, 
l'inquinamento atmosferico e acustico, la perdita di spazi di socialità, 
l'incidentalità, ecc.
Ogni inverno le automobili sono sul banco degli imputati per gli elevati livelli 
di polveri fini nell'atmosfera. Evidenti sono i contributi delle emissioni dai 
tubi di scappamento di veicoli diesel, in particolare per i veicoli più anziani, 
mentre le auto a benzina producono PM10 per l'usura dei pneumatici, dei freni, 
per l'abrasione dell'asfalto. Ma le polveri fini si formano anche dalla 
condensazione di altre sostanze inquinanti, solfati e nitrati, emessi dal tubo 
di scappamento (il cosiddetto PM10 "secondario"). Al settore traffico saranno 
richiesti i maggiori sforzi per rendere più pulita l'area delle città, per 
rispettare la cura dimagrante prevista dalle Direttive Europee, che chiedono 
alle città italiane di diminuire in modo sostanziale i livelli medi annui delle 
concentrazioni di polveri nell'atmosfera.
Anche se i problemi dell'inquinamento da traffico raggiungono le prime pagine 
dei quotidiani nazionali solo durante i periodi critici invernali, è ormai 
chiaro che non serve occuparsene solo nelle emergenze, con i blocchi del 
traffico: è necessaria una strategia per risolvere a lungo termine il problema 
della mobilità nelle aree urbane e della qualità dell'aria.
Così come non serve, o potrebbe essere pericoloso, puntare tutto sulla 
tecnologia, su fantomatici veicoli "puliti" o "ad emissioni zero" (a gas 
naturale, elettrici, a idrogeno, a biocarburanti, ad aria compressa, ecc) sulla 
cui efficacia gli esperti sono quantomeno in disaccordo.
Negli ultimi anni i benefici delle migliori tecnologie motoristiche sono stati 
annullati dal maggiore utilizzo dei veicoli e dal passaggio a veicoli più 
grossi. Per questo le polveri fini nelle città non diminuiscono e i gas serra 
aumentano, come aumenta l'impronta ecologica.
Forse la via più saggia e razionale sarebbe di considerare che i limiti 
biofisici del pianeta non possono essere superati, fino a quando non c'è prova 
del contrario.
Lo statunitense Richard Costanza ha scritto che l'impronta ecologica è un 
indicatore scettico, assume come ipotesi che la tecnologia non è in grado di 
cambiare in modo significativo l'entità della pressione umana sull'ambiente: 
"...l'impronta ecologia è una misura di quanta fede nella tecnologia è richiesta 
per considerare sostenibile l'attuale modello di sviluppo e consumo".
Di questo ci parla l'impronta ecologica. Della necessità di una mobilità 
diversa, meno energivora e più sostenibile. Che faccia della sobrietà e del 
senso del limite le premesse per un mondo di pace.
Siti web
http://www.ecofoot.net/
http://www.rprogress.org/programs/sustainability/ef/
http://www.bestfootforward.com
http://www.ecologicalfootprint.com
http://www.iclei.org/iclei/ecofoot.htm
http://www.provincia.bologna.it/ambiente/impronta_ecologica/
http://www.retelilliput.net/Gruppi/GLTIES (Mailing-list italiana)
Alcuni riferimenti bibliografici
Chambers N., Simmons C., Wackernagel M. (2002) Manuale delle Impronte 
ecologiche. Edizioni Ambiente
Wackernagel M. e Rees W.E. (2000) L'impronta ecologica. Come ridurre l'impatto 
dell'uomo sulla terra. Edizioni Ambiente
S.Caserini, R. Salvetti (2003) L'impronta ecologica come strumento della 
Valutazione Ambientale Strategica. Atti del 58° Corso di aggiornamento in 
Ingegneria Sanitaria-Ambientale: "Valutazione di impatto ambientale: metodi, 
indici ed esempi", Politecnico di Milano, 26-30 maggio 2003. Edito a cura del 
DIIAR del Politecnico di Milano
Costanza R. (2000) The dynamics of the ecological footprint concept. Ecological 
Economics 32, 341-345
Wackernagel M. e Rees W.E. (1996) Our ecological footprint: Reducing Human 
Impact on the Earth New Society Publisher, Gabriola Island, BC
WWF (2002) "Impronta ecologica. Evoluzione del modello e risultati raggiunti 
nell'applicazione.", Dossier allegato a Attenzione, rivista WWF per l'ambiente e 
territorio, n. 25, giugno 2002 a cura di Paolella A., Bilanzone G., Bologna G.