Come spesso accade, dopo un Social Forum ci si affretta a valutare lo stato
di salute del movimento, le sue prospettive, la sua capacità propositiva,
con la gioia alterna dei suoi simpatizzanti o dei suoi detrattori. Questo
esercizio seppur comprensibile ai suoi albori, rischia ora di diventare
parte di una routine mediatica se non auto-assolutrice che non permette di
andare a fondo delle contraddizioni che questi processi hanno
cristallizzato, e per elaborare strumenti e processi adatti ed efficaci per
confrontarsi con le sfide globali e praticare alternative possibili. Sfide
che oggi sono ben diverse rispetto a quelle degli anni ruggenti di Seattle
e Genova e non possono essere riassunte esclusivamente in un concetto
abusato di opposizione alla guerra globale permanente come estrema sintesi
delle contraddizioni del neoliberismo. Fare la conta dei numeri, o
affidarsi esclusivamente alla capacità convocatoria espressa nel rituale
liturgico dei cortei di piazza, se da una parte aiuta a sentirsi parte di
una comunità globale, dall'altra non contribuisce ad una analisi -
costruttiva seppur critica - delle dinamiche e delle opportunità che questo
soggetto politico molteplice e collettivo dovrà necessariamente costruire
nel percorso verso Porto Alegre 2005. Chi ha avuto occasione di assistere
e partecipare qualche mese fa al Forum Sociale delle Americhe ed ora al
Forum Sociale Europeo di Londra, non può non rilevare alcune diverse
impostazioni di fondo. Ad esempio nel Forum Sociale delle Americhe è emersa
con evidenza l'urgenza di un cammino di rivitalizzazione del processo del
Forum Sociale Mondiale in quella che Immanuel Wallerstein chiama il
crocevia del FSM, una svolta necessaria per approfondire i livelli di
partecipazione e rafforzare i meccanismi di costruzione di convergenze.
Secondo Wallerstein cio' che determinera' la capacita' del Forum Sociale
Mondiale di servire l'obiettivo di trasformare il mondo in senso piu'
democratico ed egalitario sara' la maniera nella quale l'FSM potra'
sviluppare meccanismi volti a conciliare lo spazio aperto con una attivita'
politica reale e concreta. Pertanto la soluzione risiede nella promozione e
la creazione nell'FSM di uno spazio istituzionale per alleanze e attivita'
politiche multiple senza che nessuna di queste sia attivita' propria
dell'FSM. Lo spazio aperto dovrebbe servire non solo per lo scambio di
opinioni ed analisi tra i vari movimenti , ma anche per confrontarsi
sull'efficacia dei mezzi e degli strumenti del proprio agire politico. Alla
luce di cio' l'FSA ha rappresentato un'importante occasione di
sperimentazione del nuovo corso che l'FSM dovrebbe intraprendere gia' dalla
prossima riunione di Porto Alegre. Era questo in verita' l'obiettivo che si
erano riproposti i coordinatori della segreteria operativa del FSA, al fine
di contribuire al'articolazione sociale, allo sviluppo di idee, ed
all'approfondimento del pensieri critico, costruendo alternative al
neoliberismo. Invece a Londra si è assistito soprattutto ad un rituale
tutto europeo, influenzato a dismisura dalle polemiche politiche locali,
dalla dicotomia tra "orizzontalisti" e "verticalisti", che poco giova al
quel salto di qualità che il movimento ora come non mai necessita. Lo ha
detto bene Susan George, in un suo impeccabile contributo pubblicato dal
Guardian: basta con i "cahiers de doleances", è ora di lavorare su
proposte concrete. E se il problema non fosse tanto nel movimento e del
movimento in quanto tale, ma nella prospettiva di analisi? Cosa intendiamo
oggi per movimento? Esiste un movimento in quanto soggetto identificato ed
identificabile o proprio in quanto soggettività collettiva, tale il
movimento è fatto di processi che esprimono potenzialità e opportunità
diverse a seconda del nostra chiave di analisi? Perché se dalle Plenarie,
alle quali ha partecipato il "jet-set" del movimento, poco di concreto
sembra essere emerso, lo stesso non può dirsi degli incontri più ristretti,
dove i partecipanti spesso hanno dimostrato di essere un palmo più avanti
nella metabolizzazione dei fenomeni e dei problemi rispetto a chi i
workshop o i seminari li teneva. Calma, non è il caso di allarmarsi,
significa che ad oggi la capacità di analisi critica e di "volgarizzazione"
delle organizzazioni e dei movimenti sociali ha avuto un gran successo. Ci
sarà da allarmarsi se chi quotidianamente lavora sui temi propri del
movimento non colga l'esigenza diffusa di risposte concrete e praticabili,
ne più e né meno come ci dice la Susan George. E' quello che in una certa
maniera è accaduto in quegli incontri nei quali sono state proposte nuove
iniziative, si sono costruite ipotesi di rete e di campagne comuni, una fra
tutte quella sulle EPA (Economic Partnership Agreements - vedi
www.stopepa.org) la finestra attraverso la quale l'Unione Europea vuole far
ingoiare ai paesi in via di sviluppo quelle politiche di liberalizzazione
dei servizi e degli investimenti accantonate nel tentativo di rivitalizzare
il processo del dopo-Cancun. La differenza tra una preoccupante forma di
"campaign-shopping", nella quale i partecipanti ai Forum arrivano come ad
una fiera delle buone intenzioni, e scambiano sul mercato politico le loro
merci, i loro briefing, le loro nuove campagne, ed un movimento politico
realmente radicale, starà però in ciò che succederà nei prossimi mesi. Il
Forum di Londra, con le sue diverse stratificazioni e le sue moltitudini si
rivelerà un fallimento se quelle campagne, e quelle iniziative si
svolgeranno solo su linee parallele ma non convergenti, ripetendo la
separazione tra "specialisti" e "movimentisti", ovverosia tra chi
predilige l'approccio elitario ma stenta a dare questo legittimità e
radicamento sociale, e chi invece predilige l'approccio di piazza ,
mettendo però in secondo piano l'analisi e la proposta critica. "Voy
despacio porque estoy de apuro" dice un antico adagio di un popolo indigeno
ecuadoriano. Abbiamo fretta di cambiare il mondo, di costruire la giustizia
e l'eguaglianza, ma dobbiamo farlo con lentezza, facendo sì che le
opportunità politiche abbiano la loro naturale gestazione. Ed allora per
valutare l'esito del Forum di Londra, e non solo, ma ogni processo di
movimento, dovremo aspettare, sostenere e contribuire tutti affinché quei
nodi si trasformino nuovamente in reti, per poi sciogliersi nuovamente e
riannodarsi, trovando la necessaria sintesi in obiettivi sui quali
sollecitare le responsabilità dei decisori politici. Forse per questo sarà
opportuno continuare ad estendere gli intervalli di tempo tra un Forum e
l'altro. E non solo: ci sarà bisogno di accettare la sfida di svolgere
Forum in territori "vergini", ovvero in paesi dove il movimento non è
politicamente rilevante, come è successo finora, tra Italia, Francia,
Inghilterra e sarà nel 2006 in Grecia, ma laddove un Forum potrà
rappresentare un trampolino di lancio, ed una legittimazione per realtà
ancora in stato embionale, ma che necessitano del nostro sostegno, in
Europa Orientale ad esempio.